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di Aaron Pettinari
Ok della Corte d'Assise d'appello alla riapertura del dibattimento

La Corte d'Assise d'Appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino (giudice a latere Vittorio Anania), che celebra il processo di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia ha disposto la rinnovazione dl dibattimento. Tra le richieste più "rumorose" sicuramente vi era stata quella dei legali dell'imputato Marcello Dell'Utri, a cui si era associata anche la Procura generale, di citare a deporre l'ex premier Silvio Berlusconi per riferire "quanto sa a proposito delle minacce mafiose subite dal governo da lui presieduto nel 1994 mentre era premier".
Secondo la sentenza di primo grado la minaccia fu trasmessa per tramite dell'ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 12 anni.
I giudici, nelle motivazioni della sentenza dell'aprile 2018, avevano scritto che "con l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funzione di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992". Inoltre, si legge, che nonostante non vi sia “prova diretta dell'inoltro della minaccia mafiosa da Dell'Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell'Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano.
Già nelle motivazioni di appello i difensori di Dell'Utri avevano dunque chiesto di sentire l'ex Premier in quanto lo stesso non era mai stato sentito in aula, né in fase d'indagine. "E' indispensabile la testimonianza diretta del fatto o vittima della minaccia, Silvio Berlusconi - avevano sostenuto gli avvocati - in grado di riferire in merito all'eventuale minaccia che Marcello Dell'Utri ebbe a trasmettergli nel corso del 1994".
E lo scorso 11 luglio anche la Procura generale si era associata nella richiesta di audizione "fermo restando che andrà valutata con particolare attenzione l'attendibilità di Berlusconi, anche rispetto alle forme con le quali deve essere sentito, se come teste puro o, più correttamente, come teste assistito o imputato di reato connesso" (Berlusconi è indagato a Firenze assieme a Dell'Utri come mandante esterno delle stragi del '93, ndr).
Oltre all'ex Presidente del Consiglio, la cui testimonianza è stata fissata per il 3 ottobre prossimo, verranno ascoltati anche l'ex magistrato Antonio Di Pietro (che dovrà riferire del colloqui avuto con il giudice Borsellino dopo la strage di Capaci), i collaboratori di giustizia Giovanni Brusca, Gioacchino la Barbera e Francesco Squillaci e i direttori degli istituti penitenziari di Tolmezzo e Opera. La Corte ha deciso di sentire d'ufficio l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Luciano Violante, su quei ripetuti contatti che nel 1992 l'esponente ex Pci ebbe con il generale Mario Mori, condannato in primo grado, che era vicecomandante del Ros. Da risentire anche Gian Carlo Caselli - sempre d'ufficio - su alcune fasi delle indagini riguardanti la cattura di Totò Riina. Diversamente è stata respinta la richiesta di sentire l'ex numero due del Sisde Bruno Contrada, l'ex ministro Calogero Mannino (oggi assolto in appello nel processo stralcio che si celebra in abbreviato, i due boss di Brancaccio Filippo e Giuseppe Graviano, del pm Michele Prestipino e dell'ex procuratore di Palermo, Pietro Grasso.

Foto © Imagoeconomica

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