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di Aaron Pettinari e Karim El Sadi
Prosegue la requisitoria del Pg Fici

Continua, passo-passo, la requisitoria del sostituto procuratore generale Giuseppe Fici al processo d’Appello nei confronti dell’ex ministro Calogero Mannino, imputato per minaccia a corpo politico dello Stato nella tranche in abbreviato sulla Trattativa Sato-mafia. L'udienza si è tenuta lunedì scorso ed il sostituto pg Fici ha ripercorso alcune vicende che hanno riguardato l'ex politico Dc approfondendo quel “collaudato rapporto” avuto con personaggi “opachi” o “poco trasparenti” in particolare riferendosi, come aveva già fatto la scorsa udienza, all'ex comandante del Ros Antonio Subranni.

Il legame Mannino-Guazzelli-Subranni
Trait d'union tra i due era il maresciallo Giuliano Guazzelli, che aveva un legame diretto con l’ex deputato democristiano, e a cui lo stesso Mannino si rivolse nel febbraio 1992 per essere protetto dopo le prime minacce subite, in cui esternò il proprio timore di essere ucciso (“Ora uccidono me o Lima”). Un dato, quest'ultimo, riferito dal figlio di Guazzelli, Riccardo. Il padre verrà poi ucciso il 4 aprile, secondo l'accusa un ulteriore segnale dato a Mannino che a quel punto tornò ad incontrarsi più volte a Roma con il gen. Subranni ed anche con l’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada.
E proprio su Subranni si è concentrato Fici nella sua ricostruzione, partendo dal verbale di interrogatorio dell'8 settembre 1995 quando il Comandante del Ros fu sentito nell'ambito dell’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell’ex ministro Mannino, che poi si concluse con la sua assoluzione definitiva. Quando fu ascoltato dai pm Subranni ammise di avere avuto numerosi incontri con l’ex ministro nella sua segreteria politica a Roma. Secondo Fici "quelle dichiarazioni sono state rese in modo imbarazzante, trattandosi di un Generale dei Carabinieri, che aveva fatto determinate circostanze e le ha riconfermate poi tutte in dibattimento ma soltanto quando venne puntualmente contestato dal Pubblico ministero”.
Subranni disse anche che Mannino si sarebbe rivolto al Ros dei carabinieri affinché fosse dimostrata l’infondatezza delle accuse a lui rivolte dal pentito Rosario Spatola.
Un aspetto che lo stesso ex ministro, sentito dai pm il 1° marzo 1994, confermò ai pm ammettendo di essersi rivolto a Guazzelli per chiedergli di accertare se avesse ‘armato’ il pentito Rosario Spatola contro di lui. "Mannino - ha aggiunto Fici - era ben consapevole dell'anomalia dell'aiuto riservato dagli ufficiali dell’arma dei carabinieri, che avrebbero dovuto occuparsi delle indagini delegategli dal pm e non anche di individuare elementi di debolezza nelle ragioni d’accusa, quindi dando una mano al ministro Mannino".
Secondo il Pg dietro all'omicidio del maresciallo Guazzelli, che stava per andare in pensione e aveva maturato l’idea di far parte dei servizi segreti civili di Bruno Contrada a Trapani e Agrigento, "potrebbero esserci scenari ben più complessi di quello che si poteva immaginare all’epoca”.
Il procuratore generale si è interrogato sul motivo per cui “il ministro Mannino che approfittando di una riunione al consiglio dei ministri avrebbe potuto parlare della situazione di grave pericolo e invece parla di questa preoccupazione con un maresciallo dei carabinieri della sezione di polizia giudiziaria di Agrigento il maresciallo Giuliano Guazzelli, che non aveva alcun potere al riguardo”. “Non è dunque senza rilievo la circostanza - ha sentenziato il magistrato - che il ministro Mannino si sia rivolto per risolvere i suoi problemi di sicurezza ad un personaggio del calibro di Bruno Contrada. E ciò soprattutto in considerazione della circostanza che il secondo interlocutore privilegiato del Mannino è stato il generale Antonio Subranni, con riferimento al quale in epoca recente, ma alcune circostanze sono note da tempo, sono stati raccolti elementi che ne delineano un quadro di complessiva e preoccupante “opacità””.

13 febbraio 1996, Riccio e l'annotazione sul diario
A proposito della vicenda Guazzelli nel corso della requisitoria è stata anche ricordata l'annotazione ritrovata nell’agenda del colonnello dei CC Michele Riccio in cui si faceva riferimento ad un colloquio con il capitano Umberto Sinico ("uomo particolarmente vicino alla posizione dell'allora colonnello Mori").
“Sinico - è scritto nell'appunto - confermato Subranni aveva paura della morte di Guazzelli (maresciallo) vicino a Mannino, De Donno fu fatto rientrare di corsa dalla Sicilia - Guazzelli fu avvertimento per Mannino e soci?”. E per soci, aveva specificato Riccio deponendo in aula, si intendeva il Ros. “Si diceva che Guazzelli fosse stato ammazzato dalla Stidda - aveva raccontato Riccio ai magistrati - sollecitai Ilardo a parlarne e lui mi fece una faccia contrariata, facendomi capire chiaramente che i fatti non erano andati in quel modo” in quanto secondo il confidente, Guazzelli “non operava fattivamente in Cosa Nostra ma rappresentava altri aspetti” di cui avrebbe parlato in futuro, se non fosse stato assassinato. “Successivamente - aveva proseguito il teste - mi incontrai con Sinico nel suo ufficio e portai il discorso su Guazzelli. Mi disse che quando Guazzelli morì il generale Subranni si spaventò moltissimo, tanto che fece rientrare di corsa dalla Sicilia de Donno per paura che anche a lui potesse succedere qualcosa” aggiungendo che “Guazzelli era molto vicino a Mannino”. “Ilardo mi aveva anche detto - aveva quindi concluso Riccio - che Mannino sarebbe stato strettamente controllato dalla famiglia di Agrigento, cosa che avrebbe poi dovuto spiegare in sede di collaborazione”.
Il Pg ha anche ricordato che in un altro passaggio saliente delle dichiarazioni di Riccio Ilardo, 8 giorni prima di essere ucciso (proprio ieri è arrivata la sentenza di appello che vede confermati gli ergastoli per mandanti ed esecutori dell’omicidio, ndr), indicò Subranni come uno dei superiori di Riccio "dai quali avrebbe dovuto completamente diffidare".

Le Falange armata nell’omicidio Guazzelli

Un'altra ombra che si cela dietro l’omicidio Guazzelli riguarda la misteriosa rivendicazione dell'omicidio da parte della misteriosa sigla della Falange Armata. Fici, rileggendo anche larghi tratti della requisitoria del pm Roberto Tartaglia in primo grado, ha evidenziato come il 5 aprile del 1992, il giorno dopo l’omicidio Guazzelli, all’epoca in servizio alla polizia giudiziaria della procura di Agrigento, “qualcuno si fa carico di telefonare all’Ansa di Bari per rivendicare l’omicidio. Quell’individuo fa riferimento alle falangi armate, come avvenuto per l’omicidio di Salvo Lima. Anch’esso rivendicato dalle Falangi Armate. Vengono utilizzate le stesse identiche parole della rivendicazione”. Secondo il magistrato “chi ha rivendicato l’omicidio Guazzelli ha voluto accostare i due fatti di sangue in questione (l’omicidio Lima e Guazzelli, ndr) che all’apparenza nulla avevano in comune”. Inoltre a parlare della Falange Armata era stato anche il pentito catanese Malvagna il quale, in un verbale del 1994, fece riferimento ad una riunione ad Enna ed in quell’occasione Riina avrebbe detto “dobbiamo rivendicare determinati fatti di sangue facendo uso della sigla Falange Armata”. Per il procuratore generale su tale circostanza “la sentenza di primo grado del processo parallelo è cauta” poiché i giudici scrivono che la questione “non è riscontrata e non la possiamo ritenere assodata nella misura in cui lo stesso Riina in quel momento in cui si riuniva ad Enna in commissione regionale, quando si riuniva in sede palermitana con i capi mandamento di Palermo nessuno dei diretti protagonisti, Brusca, Cancemi e Giuffrè, ha fatto riferimento a una tale indicazione di Riina”.
Ma la stranezza resta.
Così come non si può non evidenziare come la Falange armata non si è distinta solo per le minacce di morte nei confronti dei suoi nemici, o le rivendicazioni delle stragi successive. Infatti vi è stata anche una “comunicazione di compiacimento per ciò che era avvenuto in sede ministeriale”, il 14 giugno 1993, quando venne sostituito al vertice del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Nicolò Amato con Di Maggio. Un'azione che fu definita come “una vittoria politica della Falange”. Vi è inoltre, tra i diversi messaggi intimidatori, “un messaggio di minaccia del 21 settembre 1993 al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Sulle considerazioni del pm relative a queste minacce secondo il pg Fici “il giudice di primo grado si è limitato a riassumere la ricostruzione senza alcuna valutazione, parimenti silenziosa è stata la difesa. Molto confortanti devono ritenersi invece - ha continuato il giudice - le valutazioni della corte d’Assise di primo grado della piena riconducibilità dell’omicidio Guazzelli a Cosa Nostra, e 'sulla scarsa volontà collaborativa del teste Riccardo Guazzelli e sul fatto che il maresciallo Guazzelli ha avuto intensi rapporti di collaborazione, oltre che di amicizia, con Subranni, anche aldilà delle proprie funzioni professionali'”.

Subranni e quella fretta di nascondere il “Corvo 2”
Restando sulle “anomale” attività del comandante Antonio Subranni e sul rapporto “molto stretto” ed “equivoco” con l’on. Calogero Mannino, il giudice Fici ha rispolverato una vicenda spinosa e tutt’oggi non chiarita che fece saltare gli equilibri delle sfere del potere di quegli anni. La questione Corvo 2, una lettera anonima di otto pagine che “descrivevano complessivamente l’instaurazione di un canale di comunicazione, in seguito ed a causa dell’omicidio di Salvo Lima, tra esponenti politici, tra cui Mannino, e i vertici di Cosa Nostra”. Quei fogli erano stati inoltrati a 39 destinatari (tra cui giornalisti, magistrati e altre figure istituzionali), di fatto l’anonimo era stato scritto a cavallo tra il 23 maggio ‘92 e il 19 luglio del 1992 ed era stato indirizzato, tra gli altri, anche a Paolo Borsellino. Lo stesso Borsellino si sarebbe successivamente occupato di quell’anonimo. Il pg Fici ha sottolineato, citando anche le carte del processo di primo grado, “un’anomala fretta di Subranni, destinatario, quale responsabile del vertice del Ros, di una articolata delega dell’allora procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino, per l’archiviazione del procedimento senza dar in alcun modo esecuzione alla delega di indagine e omettendo ogni accertamento”.
Sempre “un’anomalia” è stata “l’interlocuzione di Subranni con l’odierno imputato (Calogero Mannino, ndr), cioè il destinatario principale delle accuse dell’anonimo in questione, e non con l’autorità giudiziaria che aveva delegato le attività di indagine”. Particolare, quello contestato dal pg, già di per sé “indicativo di qualche cosa che non funziona per come dovrebbe funzionare”. Inoltre Subranni si adopera successivamente quando "fonti interne dei carabinieri rilasciarono dichiarazioni all’Ansa relative alle lettere di 'Corvo 2' e Subranni allega il lancio dell’Ansa a un biglietto da visita e lo indirizza al procuratore della Repubblica di Palermo Giammanco interloquendo confidenzialmente con un invito che dice 'caro Pietro buon lavoro, tuo affezionatissimo Antonio'”. Non solo.
“Facendo seguito al confidenziale invito rivolto al procuratore della Repubblica Giammanco di archiviare le indagini - ha proseguito Fici - e quindi subito dopo l’uccisione di Borsellino, ha rinnovato formalmente una tale richiesta di archiviazione al contempo dialogando sul contenuto di questo stesso anonimo con Bruno Contrada”. Su quest’ultimo il procuratore generale ha aperto una parentesi che dimostrerebbe l’incoerenza delle dichiarazioni di Subranni sul peso che attribuì al Corvo 2. Se inizialmente Subranni considerava "poca cosa" quella lettera anonima, successivamente ne avrebbe parlato proprio con Bruno Contrada. "Questa interlocuzione è stata quasi quotidiana - ha detto il Pg - week-end incluso fino a tarda nottata contraddicendo la circostanza che si trattava di un anonimo che non valeva nulla”. Sempre secondo l'accusa, parlando delle indagini commissionate al comandante del Ros dal procuratore della Repubblica, “Subranni decide di astenersi dal farle e dopo la morte del Borsellino, piuttosto che impegnarsi al proseguimento dei suoi doveri di ufficiale, insiste nell’intendimento di archiviare ogni cosa. E incontra tradendo i suoi doveri più elementari il principale destinatario dell’anonimo (Calogero Mannino, ndr) per discutere informalmente anche dell’anonimo e della sua identità oltre che alle preoccupazioni del ministro di essere ucciso”. Fici ha infine ricordato in aula che Subranni, dopo la morte di Borsellino, “scrive una nota formale ad Ailquò che era rimasto l’unico titolare delle indagini nell’ottobre 1992 dove si abbandonano i termini ufficiali e Subranni prega Aliquò di mettere la parola fine a quella vicenda”.

L’informativa “light” su Mafia appalti
Altro tema affrontato dal Pg è quello della famosa indagine Mafia-appalti. In particolare Fici ha ricordato come questa sia stata adottata anche dalla difesa come strumento per allontanare dalle accuse il proprio assistito. In particolare i legali dell’ex ministro si sono chiesti in dibattimento “se Subranni in quegli anni ha avuto una disponibilità in favore di Calogero Mannino com’è possibile che in quello stesso momento il Ros stava indagando Mannino per ‘Mafia e appalti’?”. Ma la realtà dei fatti è un’altra come ha poi spiegato il pg Fici. “La vicenda va ribaltata, Mannino non è stato affatto denunciato dai carabinieri, ma venne nascosto, e protetto per 19 mesi”. In breve, il 20 febbraio 1991 venne depositata dal Ros alla procura di Palermo un'informativa su appalti e servizi pubblici e mafia, documento che venne consegnato a Giovanni Falcone che non “potè lavorarci perché era già stato designato al Ministero degli affari penali”. Il 25 giugno dello stesso anno la procura di Palermo chiese una misura cautelare sulla base di quella informativa per 7 soggetti, tutti mafiosi, personaggi che vennero poi rinviati a giudizio ma, come ha spiegato Fici leggendo le carte del primo processo, “non vi erano politici”. Mentre “nei confronti di altri soggetti pur indicati da quella informativa la procura di Palermo richiese l’archiviazione”. Quello che si evince però dall’archiviazione è che “non c’era né Mannino né nessun politico” e quindi il magistrato si è chiesto: “Se Mannino non era tra i soggetti archiviati né tra i rinviati a giudizio dov’era allora? E se così è in che termini Mannino rientrava nell’attività del Ros?”. La risposta basata sulla ricostruzione storica è “tranciante” secondo Fici. “Mannino non era affatto in quell’informativa “Mafia Appalti”, non era tra i soggetti denunciati e non era menzionato neppure di sfuggita”. Da qui il mistero “mafia appalti” si infittisce e viene “sfruttato per esigenze difensive”. “Accade che subito dopo la richiesta di archiviazione di Luglio prese piede una fittissima campagna di attacco alla Procura di Palermo addirittura accusata di avere coperto nelle indagini del Ros le posizioni dei politici e tra questi quella dell’on. Mannino”. In pratica su molti giornali si scriveva che “il Ros con quella informativa ha denunciato Mannino e altri politici importanti ma la procura di Palermo li ha fatti sparire. Sui giornali venivano pubblicati stralci di quelle intercettazioni che però la procura di Palermo non aveva in quella informativa”. Intercettazioni che riguardavano anche la posizione di Mannino “per cui sicuramente c’era stata una fuga di notizie misteriosissima perché riguardava atti investigativi che la procura di Palermo in quel momento neanche aveva”. Ma è solamente nel settembre del 1992, 19 mesi dopo, che il mistero si dipana. Il 5 settembre ’92 “un’imprevista campagna di stampa stava per fare scoppiare lo scandalo perché erano uscite fughe di notizie di intercettazioni non depositate”, ha rammentato carte alla mano Fici. Il Ros di Subranni “deposita alla procura di Palermo una seconda informativa di mafia appalti che questa volta conteneva, e non poteva essere altrimenti dopo la fuga di notizie, riferimenti a Calogero Mannino e altri politici”. Non solo. Questa seconda informativa completa, “conteneva informazioni su Mannino di un anno antecedente alla prima informativa del 20 febbraio 1991”. Quello che si evince, dunque, dalla ricostruzione dell’accusa è che ci sono state due informative una prima, risalente al febbraio 1991, cosiddetta “light”, ovvero “depurata dagli elementi su Mannino e sui politici”, e una seconda “già pronta e completa che aveva seguito chissà quali canali occulti”, arrivata con la fuga di notizie del 5 settembre 1992. Perché “solo a quel punto, costretto dalla fuga di notizie, il Ros di Antonio Subranni consegna alla procura una versione piena”. E in tutto questo per il procuratore generale “non ci sono parole per commentare”. La requisitoria proseguirà il prossimo 6 maggio.

Foto © Imagoeconomica

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