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di Aaron Pettinari
Il collaboratore di giustizia sentito al processo d'appello

"Subito dopo la strage di Capaci fui incaricato di uccidere l'onorevole Mannino. Mi adoperai per studiare le abitudini. Poi Riina, tramite Biondino mi bloccò. In sostanza mi disse che ci avrebbe pensato lui". A parlare è il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, sentito ieri al processo d'appello contro l'ex ministro Calogero Mannino (assolto in primo grado), accusato di minaccia a Corpo politico dello Stato in un procedimento stralcio del dibattimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, che si celebra con il rito abbreviato. Brusca, ha dunque risposto alle domande dei pg Sergio Barbiera e Giuseppe Fici, così come aveva già fatto nel processo che si è celebrato in Corte d'Assise: "Dovevamo farlo o attraverso un'autobomba o se c'erano altre possibilità. Così diedi l'incarico a Gioacchino La Barbera ed Antonino Gioé di cominciare a studiare dove abitava, dove aveva la segreteria, insomma le sue abitudini su Palermo, visto che lui era originario di Sciacca".
Alla domanda sul perché Mannino doveva essere ucciso in un primo momento Brusca ha dichiarato di non aver mai discusso del motivo specifico con Riina ("si parlava o che era in contrasto o che non aveva mantenuto l'impegno, ma non lo so dire") poi ha aggiunto di sapere che l'ex politico Dc "era stato cercato da parte di Riina per alcune richieste, per aiutarlo ad aggiustare qualche processo o qualche altro favore. Tra gli anni '80 e '90 aveva cercato un contatto con lui tramite un tale notaio Ferraro, di Castelvetrano. L'interesse in particolare riguardava il processo Basile, con imputati Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio e Armando Bonanno".
Nel dibattimento in Corte d'Assise era stato molto più diretto (“Mannino, ad esempio doveva morire perché non aveva aggiustato, tramite il notaio Ferraro, il processo per l’omicidio del capitano Basile").
Brusca ha poi raccontato delle riunioni della Commissione provinciale dove si decise che Salvo Lima e Ignazio Salvo dovevano essere uccisi per non aver rispettato i patti assunti con le cosche e Falcone e Borsellino andavano assassinati perché ritenuti nemici della mafia e ha detto di non ricordare di aver sentito allora il nome di Mannino.  
Durante la deposizione Brusca ha anche ricordato di quella volta che Riina gli disse che "qualcuno si era fatto sotto e che aveva fatto sapere cosa volessimo per far finire queste stragi. Lui mi rispose che aveva fatto avere un 'papello' grosso così, tipo un foglio A4. In un incontro successivo mi disse che il terminale ultimo delle richieste era l'onorevole Mancino". Quel documento qualche anno dopo Brusca lo avrebbe visto quando gli fu mostrato in un interrogatorio. "Quando mi mostrarono il documento consegnato da Massimo Ciancimino ritrovai gli stessi obiettivi da raggiungere di cui parlavamo con Riina. Il maxi processo, l'applicazione della legge Gozzini anche per i mafiosi, l'interesse per le misure di prevenzione di natura patrimoniale, l'eliminazione della legge sui collaboratori di giustizia riducendola ai minimi termini. A parte la riduzione delle tasse sulla benzina erano gli stessi" ha detto ancora il pentito.
Tra gli argomenti di cui ha parlato ieri Brusca vi è stato anche la cosiddetta seconda trattativa, avviata tramite Paolo Bellini e delle stragi. Rispondendo alla domanda su chi fosse a conoscenza della trattativa ha fatto i nomi di Bagarella e Provenzano ma anche "Rinia mi disse che i 'picciotti' Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro sapevano. Così come Antonino Cinà, Salvatore Biondino e Vincenzo Sinacori".
L'ex capomafia di San Giuseppe Jato ha anche spiegato che per far ripartire la trattativa, "che si era bloccata", Cosa nostra doveva portare avanti altre stragi ("Personalmente mi occupai di organizzare l'attentato a Pietro Grasso, poi mi disse di sospendere") e "anche i catanesi avevano dato un contributo uccidendo l'ispettore Lizio".
"Anche dopo l'arresto di Riina - ha aggiunto - ci fu una riunione a Belmonte Mezzagno tra me Bagarella e Provenzano. Io non sapevo del discorso dei carabinieri e presi iniziativa per continuare le stragi, per farli venire a trattare. Lì per lì non ho fatto caso allo sguardo di Provenzano e Bagarella ma a un dato punto Bagarella voleva assecondare le mie volontà. Dovevamo portare avanti gli attentati a nord come suggeriva Bellini. Ma Provenzano non voleva le stragi in Sicilia ed anche in generale non era d'accordo e doveva giustificarsi con altri come Giuffré e Spera. Così Bagarella gli disse di mettersi un cartello con scritto 'io non so nulla'".
Nella deposizione un passaggio è stato dedicato anche alle famose intercettazioni di via Ughetti quelle in cui si parla de "l'Attentatuni" di Capaci: "Dopo l'arresto Antonino Gioé, tramite il fratello mi mandò a dire che tutti gli argomenti erano fuori, che questi discorsi degli attentati erano fuori, che erano stati intercettati in via Ughetti e che sapevano tutto. Quindi mi manda a dire di stoppare che già sapevano tutto. Io di questo fatto mi confronto con Bagarella e glielo comunico. Lui alla presenza degli altri mi prende per miserabile perché io dicevo 'prendiamoci un attimo'. E loro proseguono con l'attività stragista".
Questo significa che nelle intercettazioni di via Ughetti si parlava anche dei progetti di attentato del 1993, in Continente? Il dato non è stato approfondito in aula. Brusca ha infine riferito del rapporto con Vittorio Mangano e del compito a lui assegnato di contattare Silvio Berlusconi nel 1994. Il processo è stato quindi rinviato al 14 settembre quando ad essere sentito sarà Massimo Ciancimino.

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