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Arringhe finali per i legali Ass. Familiari Vittime Georgofili e Centro Pio La Torre
di Aaron Pettinari
“Mai più interlocutori tra Stato e mafia. Mai più interlocutori tra uomini dello Stato e la mafia. E' questo che chiediamo con una sentenza che sia da monito affinché nessuno mai più si sogni di fare una mediazione con rappresentanti mafiosi. I risultati sono esclusivamente tragici. E ormai, dopo la morte di Riina e Provenzano, sono rimasti solo gli intermediatori”. Danilo Ammannato, legale dell'Associazione Familiari Vittime dei Georgofili (la strage di Firenze), alza il tono della voce nel concludere la sua arringa chiedendo “una sentenza giusta” e la condanna degli imputati.

La responsabilità morale
In particolare Ammannato, che nel corso dell'arringa ha ripercorso le varie fasi del dialogo tra istituzioni e Cosa nostra ed illustrato le prove che dimostrerebbero il reato di “attentato o minaccia a corpo politico dello Stato” (art.338 c.p.p.), ha puntato il dito contro gli ufficiali del Ros. “Assieme alla Presidente dell'Associazione, Giovanna Maggiani Chelli, che si è sempre battuta come una leonessa per chiedere verità e giustizia, ci siamo posti una domanda: se Mori non fosse andato da Vito Ciancimino ci sarebbe stata la strage di Firenze? La risposta è logica. Mario Mori e gli altri carabinieri del Ros imputati sono moralmente responsabili della strage dei Georgofili. Sono moralmente responsabili del sangue di quei 5 morti e dei 48 feriti. La strage di Firenze, infatti, non ci sarebbe stata se Mori e i suoi non fossero andati a trattare con Riina. Perché fu proprio la trattativa a rafforzare la volontà stragista dei corleonesi. Un dato che è scritto anche in sentenze passate in giudicato”. Il riferimento è alle sentenze per le stragi del 1993. E in aula sono state ricordate le motivazioni della sentenza Tagliavia con i giudici che scrissero con chiarezza che la trattativa “indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un 'do ut des'. L'iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia” e “l'obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno con Cosa nostra per far cessare la sequenza delle stragi”.
Ammannato, rivolgendosi in particolare ai giudici popolari, ha poi aggiunto: “Probabilmente non volevano quei morti. Ma sono penalmente responsabili. La loro condotta, che è provata, ha rafforzato la volontà criminale dei corleonesi e di Cosa nostra, agevolando la catena minatoria che è durata dal 1992 al 1994. Chi va fuori pista in montagna, e magari genera una valanga che causa morti, quei morti non li ha voluti. Ma la verità è che fuori pista, con il divieto, non ci si può andare. E quell'intermediazione avviata nel 1992 era illegale”. “Loro sono stati i mediatori illegali – ha proseguito – Nel diritto penale i mediatori sono ugualmente responsabili. Come nei processi di droga, quando si condanna il fornitore, lo spacciatore ma anche chi presenta lo spacciatore al fornitore, concorre al reato di spaccio di stupefacenti e qui si concorre alla minaccia a corpo politico dello Stato”.
L'avvocato dell'Associazione familiari vittime dei Georgofili ha poi ricordato le vicende che, a suo dire, confermerebbero l'esistenza dell'intermediazione tra parti del Ros e la mafia. Dalla mancata perquisizione del covo di Riina (“Fu fatto apposta per far sparire gli archivi di Riina che ora sono in possesso del boss latitante Matteo Messina Denaro e gli garantiscono l'impunità”) alla mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola, per finire con la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso nel 1995. La vicenda di Ilardo e Riccio è impressionante – ha detto il legale – Scandaloso che Ilardo non sia stato protetto nonostante la sua volontà di collaborare. Mori ha detto che Riccio faceva tutto solo per sé. Riccio ha dimostrato che puntualmente relazionava passo passo ciò che Ilardo gli riferiva. Addirittura quando è stato arrestato gli è stato detto che se consegnava la documentazione su Palermo sarebbe stato spostato ai domiciliari. Onore al merito del colonnello Riccio.

Più fasi della minaccia
Durante la propria discussione Ammannato ha individuato “più fasi della minaccia a corpo politico dello Stato”, quindi ha ricordato le dichiarazioni di collaboratori di giustizia di primo piano come Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca, Francesco Onorato, Giovanbattista Ferrante e Antonino Giuffrè “che sono convergenti e riconosciute attendibili” sul piano di Cosa nostra di “eliminare i rami secchi, colpire i nemici di Cosa nostra ed uccidere i politici traditori”. Una minaccia che “è stata percepita dal Governo come raccontato dal ministro Scotti, l'ex ministro Carlo Vizzini, l’ex segretario della Dc Ciriaco De Mita, Fanfani ma anche la vicenda Mannino che Cosa nostra voleva eliminare dopo Lima”. E' in quel momento che secondo l'avvocato ha luogo la prima fase che porterà all'azione dei carabinieri “che hanno cercato anche un appoggio politico”.

Papello “prova regina”
Ammannato ha anche parlato delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino “che sono riscontrate in larga parte anche dai fratelli Giovanni e Roberto. Poi si è concentrato su quella che ritiene essere “la prova regina”, ovvero il papello. “I periti hanno chiarito che non vi è traccia di manomissione – ha detto – Il compianto pm, Gabriele Chelazzi, ha cercato a lungo questa prova. Voi qui la avete assieme alle molteplici dichiarazioni in merito, non solo del figlio di Vito Ciancimino ma anche dei collaboratori di giustizia. C'è chi dirà che Ciancimino ha testimoniato in maniera graduale, che ha detto falsità. Io credo che vada valutato per quel che ha riferito in aula e come ha ricordato Di Matteo qui si è suicidato.
Ammannato ha più volte ringraziato i pm del pool di Palermo (Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi) per il lavoro svolto in fase di indagine ed anche per aver chiesto di sentire l'ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Una testimonianza che secondo il legale, assieme alle agende di Ciampi, “ha dimostrato la percezione del ricatto della mafia, che colpiva con le bombe, da parte dei vertici istituzionali”.

La seconda e la terza fase dell'intermediazione illegale
Secondo Ammannato la seconda fase della minaccia ha luogo nel secondo semestre del 1992 “quando a Riina viene sostituito Bernardo Provenzano. Dopo la strage di Borsellino Vito Ciancimino lo dice chiaramente che Riina era un pazzo. Prima del suo arresto c'erano altri segnali come il progetto di morte per uccidere Pietro Grasso e il proiettile fatto trovare al giardino di Boboli. Venne trovato sotto la statua del pretore romano Marcus Cautius, l'inventore della cauzione nell'istituto del diritto romano. Erano quelli i colpetti per costringere quelli che si 'erano fatti sotto' di muoversi. E cambierà la mediazione con Provenzano al posto di Riina”.
Secondo Ammannato la “terza fase” è quella che ha visto tra il 1993 ed il 1994 come interlocutori, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, in una prima parte Vittorio Mangano e poi i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Marcello Dell'Utri per arrivare a Silvio Berlusconi. Ancora una volta sono state ricordate le parole riferite da Gaspare Spatuzza sull'incontro al “Bar Doney” con Giuseppe Graviano (“Mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”) nonché la presenza di Dell'Utri proprio in quel gennaio 1994, a Roma, nei pressi dello stesso bar.
“Questi fatti – ha concluso Ammannato – non si possono nascondere, né distruggere o frantumare. Per questo chiediamo una sentenza giusta. E non ci arrendiamo neanche di fronte a quanto avvenuto a Firenze nei giorni scorsi con il cartellone con la scritta 'Riina Santo subito'. O è una goliardata oppure il segnale che a Firenze questa associazione dà fastidio. Firenze è diventata una città martire della mafia”.

Centro studi Pio La Torre: “Il dialogo cercato con Cosa nostra l'ha rafforzata”
A concludere le arringhe delle parti civili è stato l'avvocato Ettore Barcellona, per il Centro Studi Pio La Torre, che ha ribadito come in questo processo “è stato ricostruito un pezzo significativo della storia del nostro Paese e la verità processuale, all'esito della lunghissima ed articolata istruzione dibattimentale, non potrà essere differente da quella che ha prospettato il pm”.
Secondo il legale “le azioni di un numero di soggetti con incarichi pubblici ed istituzionali alla ricerca di un dialogo e che hanno stretto accordi anche contrabbandati come ragioni di Stato, hanno agito sicuramente non per interesse pubblico, ma personale”. “I risultati gravissimi – ha aggiunto – sono la realizzazione degli scopi di Cosa nostra e l'aumento del suo prestigio con la convinzione che con lo Stato si può trattare, che si piega ai ricatti. E' emblematica la frase di Riina 'Io al Governo gli devo vendere i morti'”.
Barcellona ha anche invitato la corte a non parcellizzare le fonti di prova “che vanno valutate nell'insieme che evidenzia la responsabilità penale degli imputati. Porto la mia esperienza personale al processo Grande Oriente quando il colonnello Riccio, per la prima volta interrogato, riferì le dichiarazioni di Ilardo e parlò di Mezzojuso, del summit con Provenzano e che andò dai suoi superiori. Disse che Mori gli rispose che 'non c'era il tempo di organizzare l'operazione e di limitarsi ad osservare'. All'epoca io rimasi sbalordito e la mia valutazione era di assoluta inverosimiglianza di un fatto del genere. Oggi, alla luce di quanto ricostruito con questo processo, quelle parole assumono un valore diametralmente opposto ed hanno una verosimiglianza che allora non poteva avere”. Il processo è stato infine rinviato al 9 febbraio quando prenderanno la parola le difese.

In foto: l'intervento dell'avvocato Danilo Ammannato

Dossier Processo trattativa Stato-Mafia

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