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aula bunker ucciardone3di Aaron Pettinari
Libera, De Gennaro, Comune di Palermo ed Avvocatura dello Stato si associano a richieste pm
Dopo la conclusione della requisitoria dei pm con le richieste di pena per gli imputati oggi, al processo trattativa Stato-mafia, in corso all’aula bunker di Palermo, è stata la volta delle parti civili. C’è stato chi, come l’Avvocatura dello Stato rappresentata dall’avvocato Fabio Caserta per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Presidenza della Regione Siciliana, si è semplicemente associato alle richieste dei pm (Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia) consegnando le conclusioni con le richieste di risarcimento, e chi ha voluto comunque esprimere delle considerazioni sul processo ed i motivi che hanno portato alla costituzione come parte civile.

Il Comune di Palermo: “La trattativa c’è stata
L’avvocato Airò Farulla, legale di parte civile per il Comune di  Palermo ha voluto ribadire che “la trattativa tra Stato e mafia c’è stata e questa difesa ne è quasi certa”.
Nel corso della sua arringa ha poi parlato anche dell’esame dell’ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sentito al Quirinale il 28 ottobre 2014.
Il pm - ha aggiunto - ha chiarito i punti chiave in cui si ricava la prova di questa trattativa tra Stato e mafia. In particolare voglio ricordare proprio la deposizione del Presidente della Repubblica Napolitano. Pur  trincerandosi dietro legittime chiusure rispetto a  colloqui avuti con collaboratori, Napolitano ci ha detto una cosa  importantissima, che in quel periodo il Capo del Governo, il Ministro degli Interni, il Governo ebbero un momento di paura e che fosse in atto un colpo di Stato da parte della mafia. Una paura che ha portato poi lo Stato a richiedere alla mafia quella famosa trattativa”. Poi ha concluso: “Il tradimento da parte di alcuni soggetti dello Stato c’è stato. Lo Stato ha provato a trattare, indipendentemente dal risultato. La trattativa c’è stata ed ha rafforzato il potere intimidatorio della mafia”.

Libera e l’odio di Riina per don Ciotti
Successivamente è stata la volta dell’avvocato Salvatore Battaglia, a nome dell’Associazione Libera - Nomi e numeri contro le mafie. Dopo aver ricordato che il reato contestato non è quello di “aver trattato con la mafia” ha aggiunto che “la trattativa non è il frutto dell’ingegno di qualche pm, né di qualche fantasioso o vanesio predicatore antimafia. La Corte sa che questo termine è stato utilizzato diversi anni prima che il processo iniziasse e che viene richiamato anche da sentenze irrevocabili. Furono gli imputati Mori e De Donno a chiamarla trattativa, seppur minimizzandola grottescamente e dicendo di aver offerto ai ‘vari Riina, Provenzano e soci che si costituiscono e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie’. Cosa vuol dire ‘tratteremo bene’? I familiari delle vittime di mafia meritano risposte”. Il legale di Libera ha anche parlato di un “canale sotterrano invisibile ed occulto di interlocuzione che non riguardava la segretezza delle indagini e non era in corso un’operazione di polizia giudiziaria. E il risultato straordinario è stato quello di convincere Cosa nostra dell’utilità delle bombe. E questo dialogo tra presunti vertici dello Stato e mafiosi avveniva per tramite di Vito Ciancimino, il più mafioso dei politici ed il più politico dei mafiosi. Non poteva muoversi di persona, quindi lo faceva tramite Massimo. Questi, non è un testimone, non è un teste chiave e nemmeno superteste. E’ un imputato che ha gravi colpe ed è un personaggio pasticcione. Ed i suoi pasticci li ha pagati e li sta tuttora pagando”.
Battaglia ha anche ricordato le parole di Totò Riina, intercettato durante il passeggio con Alberto Lorusso, contro il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti. Minacce che hanno portato anche all’apertura di un’inchiesta, poi archiviata dal Gip di Milano. “Il giudice - ha ricordato il legale - ha riconosciuto che quelle frasi erano intimidatorie e il Gip dà conto del palese astio di Riina contro don Ciotti e l’attività antimafia svolta”. 

I legali di De Gennaro chiedono la condanna di Ciancimino
Ultimo ad esporre le proprie valutazioni è stato l’avvocato Francesco Bertorotta, legale assieme a Franco Coppi dell’ex prefetto Gianni De Gennaro. In particolare questi si è soffermato sull’imputazione contestata nei confronti di Massimo Ciancimino, accusato di aver calunniato De Gennaro con la consegna di un foglietto in cui compariva il nome dell’ex prefetto e che le perizie hanno dimostrato essere stato manomesso.
Nella sua esposizione il legale dell’ex capo della Dia ha ricordato alla Corte la condanna ricevuta dal figlio dell’ex sindaco di Palermo, emessa dal tribunale di Caltanissetta per il medesimo reato. Secondo l’avvocato Bertorotta vi sarebbe un “disegno calunnioso dell’imputato” che precede la consegna materiale del fogliettino alla Procura di Palermo. A lungo nella sua esposizione ha anche affrontato alcuni temi che esulano dai capi di imputazione contestati al figlio di don Vito; dalla mancata individuazione del signor Franco-Carlo alla mancata individuazione di Gross, passando per la pubblicazione del libro “Don Vito” scritto a quattro mani con il giornalista Francesco La Licata.
Quindi ha ricordato l’interrogatorio datato 15 giugno 2010, quando Ciancimino jr raccontò ai pm dell'elenco di nomi "che appartenevano alla grande architettura, a chi insieme a mio padre aveva manovrato la storia dell'ultimo ventennio. Appartenenti al quarto livello. Mio padre disse che se avessi fatto quei nomi sarei stato preso per pazzo e la mia vita sarebbe stata a rischio". In quell'occasione il teste aveva detto che, davanti ai suoi occhi, Vito Ciancimino aveva cerchiato il nome "Gross" e aggiunto il nome "De Gennaro", collegando con una freccia il primo al secondo.
Nella memoria depositata nel processo nisseno per la calunnia nei confronti di De Gennaro e Narracci la difesa di Ciancimino jr aveva evidenziato che “mancava la consapevolezza dell’odierno imputato di accusare un soggetto innocente. Lo stesso, infatti, si è limitato a raccontare quanto riferitogli dal padre sulla vicenda, nell’assoluta certezza della veridicità dei fatti narrati”.
Ed anche lo stesso Ciancimino ha sempre sostenuto di non aver mai voluto produrre niente di falso o accusare innocenti. Sull’appunto, durante il processo, ha comunque ammesso di aver dichiarato il falso sulla sua genesi. “Non è vero che mio padre scrisse 'De Gennaro' e cerchiò il nome 'F/C Gross' davanti a me - aveva detto all’udienza del 7 aprile 2016 - Stavo avallando i consigli del signor Rosselli (amico di don Vito e appartenente ai Carabinieri, ndr) per spiegare la natura dei rapporti tra mio padre e De Gennaro e sollevare dalle responsabilità i Carabinieri e i reali artefici della trattativa, della regia delle stragi". "Ho detto consapevolmente un fatto non vero e me ne assumo la responsabilità - aveva sempre spiegato Ciancimino - mi è stato confezionato un pacchetto completo da Rosselli, mi aveva raccontato questo episodio e che queste spiegazioni le dovevo riferire alla Procura". “E’ vero o no che il fogliettino è stato dato da Rosselli-Rossetti e che quindi Ciancimino ha ricevuto una polpetta avvelenata - si è chiesto il legale - Che dietro Ciancimino ci possa essere stato un suggeritore non lo escludiamo perché ci sono alcune vicende che ci lasciano perplessi. Che sia stato lui o insieme a lui a falsificare il documento non possiamo saperlo e che il documento sia stato fatto da Rosselli-Rossetti, da Ciancimino o fatto insieme, o che lui conoscendone la falsificazione l’ha portato comunque alla procura di Palermo, resta il dato che dichiarando che sapeva essere falso il riferimento si determina il reato di calunnia per cui ci associamo alle richieste del pm”.
Nei confronti di Ciancimino jr l’accusa ha infatti chiesto la condanna a 5 anni per il reato di calunnia. Durante la requisitoria il pm Di Matteo aveva evidenziato come quella del figlio dell’ex sindaco di Palermo fosse una figura “controversa e discussa” ma allo stesso tempo aveva sottolineato come “dopo l’inizio della sua collaborazione, alcuni rappresentanti delle istituzioni hanno recuperato la memoria. Mi riferisco a Liliana Ferraro, a Claudio Martelli, a Luciano Violante, che hanno chiesto di essere sentiti dalla procura di Palermo, anche se su quei mesi del 1992 erano già stati citati nei processi per le stragi”. Quindi aveva concluso: “Massimo Ciancimino ha evidenti e molto gravi colpe, ma è stato un testimone importante, un teste privilegiato. Il suo contributo dichiarativo non deve essere esaltato o preso come 'oro colato'. Ugualmente non può essere pregiudizialmente cestinato buttando via il bambino insieme con l'acqua sporca ma va vivisezionato e valutato con approccio laico. Diverse sue dichiarazioni risultano riscontrate dalle parole di altri soggetti, collaboratori di giustizia e non”.
L’udienza riprenderà domani quando proseguiranno le arringhe delle parti civili dell’Associazione familiari vittime dei Georgofili e del Centro studi Pio La Torre.

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