Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“La vicenda Ilardo è il frutto avvelenato della trattativa. E’ il frutto avvelenato della condotta di Mori e di Subranni”. E’ con queste parole che il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, ha ripreso la propria requisitoria parlando dei fatti che si verificarono con il mancato blitz a Mezzojuso, il 31 ottobre 1995, nel casolare in cui era presente Bernardo Provenzano. “In quel momento storico in cui si sviluppò la collaborazione informale di Ilardo tra il ’94 e il 96 - ha ricordato il pm - Provenzano non poteva essere catturato perché era il garante da parte mafiosa di quegli accordi scaturiti dalla trattativa che erano il frutto di quel percorso dei carabinieri che avevano contattato Vito Ciancimino per sapere cosa volesse Cosa nostra per far cessare quella strategia”.
Parlando del contributo offerto dall’allora confidente Di Matteo ha evidenziato come “quella di Ilardo è una storia più unica che rara nel panorama delle vicende di mafia e antimafia. Una vicenda eccezionale, vergognosa e tragica nell’epilogo che ha avuto per Ilardo, ucciso il 10 maggio 96, otto giorni dopo aver incontrato i magistrati e gli ufficiali del Ros e cinque giorni prima che Ilardo avrebbe assunto formalmente veste collaboratore giustizia”.
Secondo l’accusa quella poteva essere una “collaborazione devastante per Cosa nostra e per tutti quelli che colludevano con essa” anche tenuto conto dei “risultati eccezionali con arresti importanti, la scoperta di covi e dei latitanti”.

La mancata cattura di Provenzano
Sul mancato arresto del capomafia corleonese Di Matteo, rivolgendosi alla corte, ha ribadito con forza che “Provenzano non poteva essere catturato perché un eventuale suo arresto o un’eventuale sua collaborazione avrebbe scoperto le carte. Avrebbe comportato per il Ros che il loro comportamento scellerato venisse a conoscenza dell’autorità giudiziaria e dell’opinione pubblica”. Mori e De Donno, dunque, “non hanno voluto catturare Provenzano, non perché pregiudizialmente collusi con la mafia ma perché preoccupati di rispettare il patto con Cosa nostra e di garantire la perpetrazione della segretezza di quell’accordo”.
Secondo l’accusa vi è un unico filo che lega la trattativa con la cattura di Riina, la mancata perquisizione del covo in via Bernini, la mancata cattura di Santapaola, quella di Provenzano e soprattutto il mancato sviluppo delle indagini dopo l’uccisione di Ilardo “che comunque avrebbe condotto all’arresto di Provenzano”.
“Indagare sulle dichiarazioni di Ilardo avrebbe creato un problema - ha aggiunto Di Matteo - Già nel 1994 aveva detto a Riccio degli accordi con Forza Italia intermediati da Dell’Utri. Si voleva evitare che attraverso Ilardo emergessero vicende troppo imbarazzanti e scabrose”.

La professionalità di Riccio

I pm hanno evidenziato la professionalità del colonnello Michele Riccio che gestiva il rapporto con Ilardo. “Lui blindò la segretezza del confidente e grazie a quel rapporto per la prima volta vennero acquisiti i pizzini di Provenzano - ha ricordato Di Matteo - Mai gli apparati investigativi avevano avuto un’arma come quella. Quando i carabinieri del Ros presero in mano l’indagine ‘Oriente’ con l’aggregazione di Riccio al Ros, il 30 ottobre 1995 avevano in mano la chiave per arrestare Provenzano e per aprire quella porta per individuare e scardinare il sistema Provenzano. Mori mortificò gli sforzi di Riccio e quella chiave venne presa e gettata via allo scopo di salvaguardare la latitanza di Provenzano e quella trattativa”.
Di Matteo ha evidenziato come Riccio avesse “sempre informato Mori di tutte le indagini”, indicando i riscontri con le agende del colonnello Riccio e perfino con le annotazioni del 1994 dello stesso imputato Mori. "La decisione di non intervenire non poteva che competere a Mori - ha continuato il pm - Riccio era solo un aggregato. Ed ancor più grave, in spregio alle regole, fu il comportamento di Mori dopo Mezzojuso con l'omissione di qualsiasi approfondimento e comunicazione all'autorità giudiziaria nonostante le fotografie e le informazioni su Giovanni Napoli, Ferro e Vaccaro. A Mori venne detto che Napoli aveva la gestione della latitanza di Provenzano e che Cono era il suo vivandiere in quel casolare che sarebbe stato utilizzato altre volte dal capomafia per incontri di questo tipo". 
Di Matteo ha rilevato che, come risulta dalle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia, Provenzano rimase in quel territorio fino al 31 gennaio del 2001. Di tutti i rilevamenti il Ros non informò mai la Procura. Secondo i pm sono "imbarazzanti" le dichiarazioni di alcuni testi come Ierfone, in merito alla relazione svolta sulla masseria di Mezzojuso il 23 maggio 1996. Poi il pm ha anche riletto parti delle sentenze come quella per la mancata perquisizione del covo di Riina o sul mancato blitz a Mezzojuso. "Il Ros - ha detto Di Matteo in aula - pose in essere un comportamento di slealtà ed omissioni gravi secondo i giudici, il tutto correlato da una serie di ricostruzioni testimoniali. E' plausibile che ancora si possa ritenere che questi fatti siano il frutto di un caso o di una coincidenza fortuita? E' possibile che ancora oggi si possa ritenere che questi fatti siano il frutto di equivoci o del mancato coordinamento tra Ros ed autorità giudiziaria? Io credo che sarebbe sbagliato continuare su questa strada. Con il buon senso e la logica comune non perdiamo di vista un presupposto fondamentale: Vito Ciancimino, Riina, Santapaola e Provenzano. Il protagonista è sempre Mori".
E poi ancora ha chiesto il pm ponendo alcuni interrogativi: "Se fosse stato Mori un superficiale come si può conciliare il giudizio che è stato posto alla base il 1 ottobre del 2001 quando il governo Berlusconi lo nomina come direttore del servizio civile? Siamo di fronte ad una scelta sbagliata, visto che sei stato protagonista di comportamenti in cui hai agito in maniera anomala e vieni premiato? Sei un fortunato a cui non è stata rilevata l’incapacità o anche quella scelta è stata mirata da altri criteri che sono legati ad una valutazione di opportunità e continuità politica?".

In foto: la requisitoria del pm Nino Di Matteo

ARTICOLI CORRELATI


Processo Mori-Obinu: ''zone d'ombra'' ma prove insufficienti

Trattativa, Di Matteo: ''Cercato la verità con orgoglio nel rispetto della legge''

Leggi tutti gli articoli sul Processo Trattativa Stato-Mafia

Dossier Michele Riccio

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos