Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Ha veicolato le minacce di Cosa nostra”

“A fine '93 Marcello Dell'Utri si è reso disponibile a veicolare alle istituzioni il messaggio intimidatorio per conto di cosa nostra: cioè stop alle bombe in cambio di norme che avrebbero attenuato il regime carcerario per i mafiosi. Ciò è avvenuto quando un nuovo governo si era appena formato, nel marzo del 1994, con la nomina di Silvio Berlusconi alla carica di presidente del Consiglio". E’ il ruolo dell’ex senatore Marcello Dell’Utri al centro della requisitoria del pm Del Bene al processo trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d'assise di Palermo all’aula bunker dell’Ucciardone. Dopo aver fatto riferimento ai riscontri riguardo le dichiarazioni di Brusca sui contatti con Vittorio Mangano, ex stalliere di Arcore e divenuto reggente del mandamento di Porta Nuova dopo l’arresto di Salvatore Cancemi, il pm ha ricordato proprio il contributo offerto da quest’ultimo: “Cancemi ha riferito che Riina gli aveva detto di dire a Mangano di farsi da parte, perché lui aveva per le mani Dell’Utri. Quest’ultimo era considerato come l’anello di congiunzione e la conferma viene sempre da Cancemi che parla di questi rapporti del 1991 quando Riina gli disse che si dovevano ‘garantire di più Dell’Utri e Berlusconi e che se li era messi nelle mani”.

Nuovo referente politico
Di Dell’Utri ha anche parlato Massimo Ciancimino, imputato al processo ma anche testimone, il quale “ha escluso che il padre Vito conoscesse l’ex senatore o che fosse suo socio. Tuttavia aveva saputo che aveva fatto da tramite per Milano 2. Inoltre ha dichiarato che dopo l’arresto del padre proprio Dell’Utri era subentrato come nuovo referente politico a seguito delle stragi del 1992. E fonte del padre era Bernardo Provenzano”.
Secondo l’accusa conferme a riscontro verrebbero anche da alcuni pizzini di Provenzano, fatti avere all’ex sindaco mafioso di Palermo.
“La missiva - ha detto Del Bene - voleva ricordare a Berlusconi i patti che avrebbero raggiunto con l’intento di pressarlo per riportarlo ai suoi doveri”. A dimostrazione dei rapporti tra Provenzano e Dell’Utri il sostituto procuratore nazionale antimafia ha anche fatto riferimento all’intercettazione in carcere di Riina, quella del 5 settembre 2013, in cui il Capo dei capi critica il suo compaesano. “Come gli passava di andare a Como a trovare a quello... Marcello...” aveva detto a Lorusso il boss corleonese.
Del ruolo di Dell’Utri nel nuovo progetto politico parlano anche altri pentiti come Nino Giuffré, ritenuto attendibile, il quale ha più volte parlato della “sponsorizzazione” di Forza Italia all’interno di Cosa nostra con Marcello Dell’Utri che era ritenuto “garante”.

Le dichiarazioni di Cartotto
Riscontri a Giuffré sulla tempistica della nascita di Forza Italia a metà del 1993, secondo i pm, arrivano dal teste Enzo Cartotto. “Questi - ha ricordato Del Bene - ha dichiarato che nella primavera del 1992 Dell’Utri parlò di un nuovo progetto politico da sostituire alla Dc di Lima e questo avveniva tra l’omicidio Lima e la strage di Falcone. E anche Graviano, nelle intercettazioni, riferendosi a Berlusconi, dice che ‘già nel ’92 voleva scendere lui’”. Secondo il pm Cartotto è attendibile in quanto, “fino al 2013 ha avuto rapporti economici con Berlusconi e se ci sono rapporti di astio non lo foraggi”. A questo dato, secondo l’accusa, si aggiungono le intercettazioni telefoniche del 2011 che dimostrano i rapporti amichevoli con la segreteria di Berlusconi quando di fatto avvisa della citazione avuta dalla Procura di Palermo. Altri riscontri sul ruolo di Dell’Utri e sulle indicazioni di voto a Forza Italia arriverebbero poi da Siino, Cannella, Calvaruso, Di Filippo, La Marca, Ciro Vara, Malvagna, Monticciolo e Giuliano. Quest’ultimo ha conosciuto in carcere Vittorio Mangano il quale gli avrebbe detto di essere preoccupato per alcune minacce ricevute dalla sua famiglia per non farlo pentire. “Quelle minacce - ha ricordato Del Bene - secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia sarebbero arrivate da un soggetto politico ‘Dell’Utrio’, che doveva abolire il 41 bis e farsi promotore di una strategia di delegittimazione dei pentiti”.

Spatuzza e i “morti che non ci appartengono”
Secondo l’accusa “Dell’Utri si è attivato a portare il messaggio ricattatorio a Berlusconi e la conferma viene sa Spatuzza che parla dei Graviano nella strategia di attacco allo Stato del 1992 e del 1993. E’ lui che racconta dell’incontro a Campofelice di Roccella, nell’autunno 1993, in cui il boss di Brancaccio gli dice di fare un attentato ai Carabinieri. E’ sempre Spatuzza a contestare che c’erano stati dei ‘morti che non ci appartengono’. E Graviano rispondeva che bisognava andare avanti perché ‘così chi si doveva dare una mossa si sveglia’ e che ci sarebbe stata ‘una situazione che andrà bene soprattutto per i carcerati”.
L’ex killer di Brancaccio parlerà anche di altri due episodi chiave come il fallito attentato allo stadio Olimpico del gennaio 1994 e l’incontro al bar Doney con Giuseppe Graviano. “Questo avviene 2 o 3 giorni prima del giorno dell’attentato - ha ricordato Del Bene - Graviano aveva un’espressione gioiosa e gli disse ‘che avevano tutto grazie a persone serie e non come quei socialisti’ e questi soggetti erano ‘Berlusconi di Canale 5 e il compaesano, Dell’Utri’. Gli disse anche ‘ci siamo messi il paese nelle mani’. Inoltre Graviano diceva che bisognava dare il colpo di grazia per dare una mossa”. Da lì a poco, però i fratelli Graviano verranno arrestati e l’attentato all’Olimpico, fallito, non verrà più ripetuto. Il pm ha ricordato anche la convinzione di Spatuzza che i due “fossero stati venduti” e il colloquio avuto tra lui e Filippo Graviano in cui il capomafia di Brancaccio gli parlò della “dissociazione” quando l'allora procuratore nazionale, Pierluigi Vigna, aveva avviato una serie di colloqui investigativi. In quell’occasione Graviano gli disse anche che "se non arriva niente da dove deve arrivare anche noi cominciamo a parlare con i magistrati”.

In foto: la requisitoria del pm Francesco Del Bene

ARTICOLI CORRELATI

Processo trattativa, Del Bene: ''Graviano genuino e spontaneo nelle intercettazioni''

Stato-mafia, Del Bene: ''Legge uguale per tutti, Dell'Utri va trattato come Bagarella''

Trattativa, Del Bene: ''Dell'Utri autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos