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di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Nella requisitoria ricostruito il passaggio da “Sicilia Libera” a “Forza Italia”

“In assenza di un partito politico in grado di interloquire con le sue richieste i vertici di Cosa nostra decisero di proporsi come forza politica tutta siciliana e tutta mafiosa. Così nasce ‘Sicilia Libera’. Un movimento che ha in sé tutti i protagonisti del reato di attentato a corpo politico dello Stato che contestiamo agli imputati di questo processo. C’era l’obiettivo strategico di creare un nuovo rapporto con la politica affinché fosse Cosa nostra ad esprimere con i suoi uomini le scelte politiche, senza mediazioni. E le stragi erano la premessa necessaria della ristrutturazione dello scambio dialettico con la politica”. E’ con queste parole che il pm Francesco Del Bene ha iniziato la propria parte di requisitoria al processo trattativa Stato-mafia. “Alla fine del 1993 - ha proseguito il sostituto procuratore nazionale antimafia - il boss Leoluca Bagarellaaveva due strade: patrocinare una nuova forza politica o riesumare il vecchio separatismo siciliano, con la creazione di macro regioni autonome che avrebbero consentito di monopolizzare gli interessi politici con interessi economici leciti ed illeciti. Così si sarebbe creata una zona franca per Cosa nostra, senza ripetere gli errori del cognato, Riina, in modo da essere interlocutore diretto con gli altri movimenti politici”.
E’ in particolare Tullio Cannella ad aver raccontato le vicissitudini che portarono in un primo momento alla creazione del partito politico indipendentista, “Sicilia Libera”, per poi virare fino all'appoggio dato a Forza Italia per le elezioni del 1994.
Ricordando le sue dichiarazioni Del Bene ha ribadito che “alla fine del 1993 il boss mafioso Leoluca Bagarella,cognato del capomafia Totò Riina, sa già della discesa in campo di Silvio Berlusconiper le politiche del 1994 e a dicembre decide dirottare il suo sostegno a Forza Italia, e di fatto decide di dare sostegno a Marcello Dell'Utriattraverso i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.Così, lascia perdere il Movimento 'Sicilia Libera' che aveva fondato e di fatto confluisce in Forza Italia. Gli obiettivi erano sempre quelli. La ricerca di un movimento politico che avrebbe assicurato gli impegni per risolvere le questioni come la legge dei pentiti, il carcere duro e la normativa antimafia”.
Del Bene, proseguendo con l’esposizione dell’accusa rappresentata assieme ai pm Nino Di Matteo, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia, ha anche citato alcune frasi tratte dalla sentenza definitiva del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Marcello Dell'Utri che sta scontando una condanna a sette anni. "Dell’Utri non esce fuori dal cilindro - ha ricordato il magistrato - ma vi sono i pregressi rapporti risalenti sin dagli anni Settanta con esponenti di Cosa nostra e ciò è riscontrato nelle sentenze. E’ provato l’incontro tra Stefano Bontade, Girolamo Teresi, Francesco Di Carlo con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. La Cassazione ci dice che tra Cosa nostra e Berlusconi e Dell'Utri il rapporto era paritario, inoltre viene ribadito che Dell'Utri era un nuovo autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra". "Gli agganci potenti con esponenti politici li avevano i fratelli Graviano del mandamento di Brancaccio a Palermo - ha aggiunto Del Bene - E questo lo confermano sempre i pentiti. Erano loro che si occupavano di politica per risolvere i problemi di Cosa nostra, come la legislazione sui collaboratori di giustizia. Questa affermazione di Cannella si colloca con quella di Gaspare Spatuzza in merito alle confidenze nell'autunno 1993 di Giuseppe Graviano. Che in quella circostanza gli disse: 'C'è in piedi una situazione che, se andrà a buon fine, ci permetterà di avere tutti i benefici, anche per il carcere".
"Il collaboratore Cannella ha riferito anche che 15 giorni prima della scadenza per la presentazione delle liste elettorali per le politiche del 1994 - ha aggiunto il pm - si rivolse a Leoluca Bagarellaper avere la possibilità di inserire un candidato del suo movimento 'Sicilia Libera' nel Polo delle Libertà. Bagarella gli disse che lo avrebbe messo in grado di contattare un soggetto per l'inserimento di un candidato per il Pdl. La persona che avrebbe incontrato era Vittorio Mangano", lo 'stalliere di Arcore', oggi deceduto.
Il pm Del Bene ha poi parlato degli attentati di Cosa nostra alla Standa di Catania, che all'epoca era di proprietà di Silvio Berlusconi. Secondo l'accusa gli attentati intimidatori sarebbero cessati solo dopo un accordo tra Cosa nostra e Berlusconi, "attraverso l'intermediazione di Marcello Dell'Utri". Quindi ha citato alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Già in una delle scorse udienze, il pm Roberto Tartaglia aveva spiegato: "I boss puntarono all’intimidazione, per poi raggiungere il patto”, disse il magistrato nella requisitoria, citando proprio gli attentati alla Standa di Catania del 1990-91: “Il pentito Malvagna ci ha raccontato che scese un alto dirigente Fininvest per risolvere la questione”. Era Dell’Utri, ha detto un altro pentito, Maurizio Avola, e avrebbe incontrato il capomafia Nitto Santapaola.
Ed oggi Del Bene ha aggiunto: “I viaggi di Dell’Utri in Sicilia in quel periodo storico sono confermati dai pentiti ma anche il teste Bonferraro ha confermato la discesa di Dell’Utri a Catania. Questi attentati erano finalizzati ad estendere i rapporti di Dell’Utri con il proprietario della Standa. Gli attentati si interromperanno immediatamente. Non possiamo poi dimenticare le parole di Riina. Anche lui ha fornito delle conferme nelle intercettazioni in carcere con Lorusso nell’agosto 2013.
“La vicenda della Standa - ha chiosato il pm - ha consentito di saggiare l’affidabilità e la disponibilità di Dell’Utri. Ed anche per la fine del 1993 e all’inizio del 1994 sarà necessaria una nuova sequenza, per mantenere l’intimidazione e la minaccia per il mantenimento del patto affinché Berlusconi non facesse come i Salvo e Lima con Riina”. Il pm ha anche ricordato le parole del Capo dei capi per cui "Berlusconi era una persona inaffidabile mentre Marcello dell'Utri era una persona seria che ha mantenuto la sua parola". Del Bene ha parlato dell'attività di riscontro "ampia e dettagliata" alle dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca che le ha apprese direttamente e ha cristallizzato un quadro probatorio univoco che dimostra circostanze importanti quale punto di partenza dell'impianto accusatorio per Dell'Utri. E' proprio l'ex boss di San Giuseppe Jato ad aver riferito di una riunione in cui, assieme a Bagarella, aveva incaricato a Vittorio Mangano di riprendere i contatti con Dell’Utri per arrivarea a Berlusconi. L'obiettivo era sempre quello di "svuotare il 41bis ed ottenere beneifici per detenuti per mafia. Un'interlocuzione che si prefiggeva di creare uno stabile rapporto per riavviare la trattativa per le esigenze di Cosa nostra. Brusca aveva detto a Mangano di esercitare forte pressione su Berlusconi, altrimenti avrebbero fatto altri attentati. Mangano si disse disponibile all'incarico affidato sostendeno di poter contattare Dell’Utri. Dopo alcuni giorni Mangano porta la risposta di Dell’Utri che si era messo a disposizione ed aveva ringraziato facendo anche un riferimento alla sinistra Dc che sapeva delle bombe del ‘93". Per la procura, un riscontro importante è nelle agende di Dell'Utri. Alla data del 12 novembre 1993, infatti, si fa cenno all'ex fattore mafioso di casa Berlusconi: "Vittorio Mangano a Milano per parlare di questioni personali". "Mangano - ha evidenziato Del Bene - era stato in carcere dal 1980 al 1990, era un mafioso conclamato che incontrava Dell'Utri. I rapporti sono stati intrattenuti fino al 1995, quando è stato arrestato. E certi incontri avvenivano in una coincidenza temporale imbarazzante".

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