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di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Le annotazioni nell’agenda di Ciampi dimostrano che i primi sei mesi del ’93 era necessario cambiare radicalmente la politica carceraria. Inoltre documentano il mendacio di Scalfaro e il suo attivismo” nella vicenda 41 bis e nella sostituzione dei vertici del Dap. E’ questa la considerazione del pm Vittorio Teresi nell’ambito della requisitoria al processo trattativa Stato-mafia. Se nelle scorse udienze l’ex Capo dello Stato era stato dipinto come il “principale attore anche in vicende che hanno segnato snodi nel dialogo tra Stato e mafia” oggi l’accusa ha passato in rassegna quegli elementi da cui si evincono chiare responsabilità. “Quando lo abbiamo sentito il 15 dicembre 2010 Scalfaro - ha ricordato il pm - ha detto ‘non so nulla’ e rispetto all’avvicendamento di Amato ha dichiarato ‘non ho alcun ricordo di Amato. Nessuno mi ha mai messo al corrente su presunte trattative o mancata proroga del 41 bis’. Ma negli appunti di Ciampi ricaviamo altro”. Nelle agende, infatti, vi sono almeno cinque riferimenti ritenuti importanti dall’accusa. Il 13 maggio del 1993 l’ex premier annotava l’esito di un colloquio con Parisi (“auspica legge per sollevare magistratura da tangentopoli, autore Di Maggio…”) e conferma il contatto con Scalfaro. Il 3 giugno 1993 rispetto all’assetto del Dap si parla di un incontro con Scalfaro, Conso e Gifuni (“Conso propone trasferimento Amato a Strasburgo… dopo cena mi chiama Amato che cerca di non essere trasferito… tengo duro”). Il giorno successivo sempre Ciampi scrive: “Scalfaro preoccupato che Conso non tenga Amato” poi “Passa trasferimento di Amato nonostante una prima rinuncia di Conso”. Il 6 giugno ancora un’annotazione riguardante l’ex Capo dello Stato (“Scalfaro rappresenta preoccupazione per il seguito successione Amato… Conso avrebbe nominato un vice (Falcone) troppo duro. Suggerisce che gli venga affiancato il giudice Di Maggio… Parisi conferma. Chiamo Conso gli suggerisco di dare un segnale…”) ed il giorno dopo annota “conferma che la successione di Amato è stata accolta favorevolmente nel carcerario”. “E’ vero - ha commentato con forza Teresi facendo riferimento al comunicato della Falange Armata del 14 giugno del 1993 - quella successione è stata accolta favorevolmente da Cosa nostra e dalla Falange Armata, da nessun altro. La Falange Armata però di ‘vittoria politica’”.
Durante l’esposizione Teresi ha anche ricordato alcuni passaggi chiave di quell’avvicendamento ricordando alcune testimonianze avute nel corso del dibattimento.
E’ stato Nicolò Amato a riferire di alcuni “interventi impropri da parte dell’ufficio legislativo del ministero della giustizia e dalla direzione affari penali del ministero della giustizia retta da Liliana Ferraro su alcune proposte di decreti 41 bis al ministro Claudio Martelli".
Amato che ha dichiarato di non aver mai avuto contezza, all’epoca, delle minacce nei suoi confronti (“Se io avessi avuto contezza di quella lettera come avrebbero potuto cacciarmi?… io non sarei mai stato d’accordo ad un ammorbidimento del regime di 41 bis e mi hanno nascosto quella lettera…”). “Amato - ha proseguito Teresi - riferisce dei colloqui con Parisi, Ciampi e Gifuni, sulle voci che giravano. Tutti parlavano del fatto che lui era stanco e che Scalfaro aveva deciso così”. Altri riscontri importanti, secondo l’accusa, verrebbero dall’ex capo di Gabinetto al ministero della Giustizia Livia Pomodoro o quella di Gifuni che ha confermato sia la volontà di Scalfaro di sostituire Amato che le interlocuzioni tra Scalfaro ed i cappellani Curioni e Fabbri.

La scelta di Di Maggio
Amato ha anche riferito in aula dell’ostracismo fatto nei suoi confronti da Di Maggio e che quest’ultimo non aveva alcuna esperienza per essere nominato al Dap. Dichiarazioni che, secondo i pm, vengono confermate anche da Monsignor Fabbri e dal vice Curioni.
“Anche Fabbri ha parlato di un incontro con Scalfaro in cui il Capo dello Stato disse che era necessario sostituire Amato al Dap, lasciando interdetti Fabbri e Curione - ha ricordato Teresi nella ricostruzione - Sempre Scalfaro disse che era necessario che loro due si incontrassero con Conso per avere un nominativo per sostituire Amato quando di norma non c’è alcun passaggio alla Presidenza della Repubblica per la sostituzione dei vertici del Dap. L’indomani Curione e Fabbri vanno da Conso che si mise le mani nei capelli. Capriotti era definito dai cappellani come una persona molto buona e pia e Conso non oppose alcunché alla proposta di Curione e Fabbri”.
“La scelta - ha aggiunto il magistrato - in uno dei momenti di più grande fibrillazione è stata fatta dalla Chiesa senza nessuna garanzia di professionalità. I due presero contatti con Capriotti che disse ‘me l’hanno proposta’. Aveva delle titubanze ma Curioni lo pressava perché Scalfaro aveva premura e Capriotti finisce per accettare”.
Altri contributi testimoniali ricordati sono stati quelli di Fazzioli, sulla nomina di Di Maggio, quella di Calabria sulla “mancanza di ragioni concrete che giustificassero la sostituzione di Amato”, e quella del dottor Falcone sulle “preoccupazioni” di Conso e la nomina di Di Maggio.

Le telefonate D’Ambrosio-Mancino
Riferimenti alla nomina di Di Maggio sono anche presenti nelle intercettazioni tra il consigliere giuridico Loris D’Ambrosio e l’ex ministro Nicola Mancino.
“In quella telefonata - ha ricordato Teresi - vi era una richiesta di aiuto di Mancino per capire quale dovesse essere il suo atteggiamento con la Procura di Palermo e D’Ambrosio non poteva dare notizie false. Si parla di manovre nella stanza della Ferraro per la nomina di Di Maggio”. Il pm ha poi ricordato la testimonianza “costellata da tanti non ricordo, non so, non credo” della dottoressa Ferraro e quella di Tito Di Maggio che ha “confermato i rapporti del fratello con Scalfaro”.

Foto originale © Massimo Capodanno

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