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di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Il pm su Brusca: “E' attendibile. Dipinge un quadro in cui manca solo il mediatore”

Dalle dichiarazioni di Giovanni Brusca a quelle dei familiari di Massimo Ciancimino, passando per le testimonianze di Pino Lipari, Angelo Siino, Rosario Naimo, Giuseppe Di Giacomo e Salvatore Annacondia. Sono questi i temi affrontati dal sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, in questo terzo giorno di requisitoria al processo trattativa Stato-mafia.
E' un dato di fatto che il primo a parlare di “papello” e di trattativa non è stato il figlio di don Vito ma il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca. E' l'ex boss di San Giuseppe Jato a raccontare le confidenze fatte da Riina sul fatto che le istituzioni “si erano fatte sotto” e che il Capo dei capi aveva presentato un “papello di richieste grande così” dicendogli di desistere dal progetto di attentato a Mannino.
“Questi discorsi – ricorda Di Matteo rivolgendosi alla Corte – Brusca li colloca tra le due stragi, quella di Capaci e quella di via d'Amelio. Brusca ha anche riferito che in quella stessa circostanza Riina gli confidò che il terminale della trattativa era Mancino e che la sinistra democristiana sapeva”. Parole che per l'accusa confermerebbero quanto detto da Ciancimino jr rispetto all'ex ministro degli Interni e rispetto al contropapello. Il collaboratore di giustizia, imputato al processo trattativa “ha sempre dichiarato di non aver mai saputo chi fossero i mediatori di quella trattativa ma di aver semplicemente dedotto, dopo aver ascoltato l'udienza di Firenze con le testimonianze di Mori e De Donno, che i mediatori fossero i carabinieri”.
“Brusca – dice Di Matteo – dipinge dunque un quadro in cui manca solo il mediatore. Quello che dice è attendibile. E se nei primi interrogatori, esprimendosi in termini di dubbio, collocò le confidenze di Riina nel periodo successivo alla strage di via d'Amelio successivamente, in termini di certezza, ha collocato questo colloquio a cavallo tra le due stragi collegandolo con l'incontro in cui si parlò delle fasi preparatorie dell'omicidio di Vincenzo Milazzoed Antonella Bonomo, avvenuto il 16 luglio 1992”.
Tasselli che, come sostenuto dall'accusa, riscontrano quanto dichiarato da Ciancimino jr sulle tempistiche dei dialoghi tra il padre e gli ufficiali dell'Arma.

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Massimo Ciancimino durante un'udienza presso l'aula bunker del carcere dell'Ucciardone di Palermo


Pino Lipari e la collaborazione mancata
Tra le testimonianze che si sono succedute in questi anni all'aula bunker di Palermo di particolare rilievo è sicuramente stata quella dell'ex ministro dei lavori pubblici di Bernardo Provenzano, Pino Lipari.
Il suo ruolo di “consigliere” è stato riferito da collaboratori di giustizia come Angelo Siino e Antonino Giuffré. “Lipari – evidenzia Di Matteo – in aula ha premesso con forza che negli interrogatori che aveva reso nel 2002 a Palermo lui aveva detto la verità. In quelle dichiarazioni conferma l'incontro tra Vito Cianciminoe Riina in via Sciuti, così come il suo ruolo nelle 'vicende politiche' di Cosa nostra raccontando anche il tentativo di bloccare la legge Rognoni-La Torre”. “Lipari – aggiunge il magistrato - dice nel 2002 che mentre era ancora detenuto e si trattava di una fase precedente alla strage di via d’Amelio, la moglie lo andò a trovare in carcere e gli disse che alcune sere prima era stata fermata sotto casa da un ragazzo con il casco, Massimo Ciancimino, che le aveva detto di riferire a Pino Liparicome si poteva fare per trovare di una interlocuzione diretta con 'il primario', ovvero Riina. Questa è una conferma alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Quando è stato chiamato adeporre in questo processo era un testimone assistito, non aveva nulla da guadagnare dal riferire quei fatti. Quando ne aveva avuta la possibilità processuale come al Mori-Obinu, si era avvalso della facoltà di non rispondere”. Ma Lipari parla anche del papello e della trattativa.
Apprendendo i fatti direttamente da Vito Ciancimino: “Ciancimino mi parlò della trattativa, mi disse ‘io volevo un appuntamento col ‘primario’, con Riina e tu non me lo hai dato… quindi mi hai depistato… e siccome non potevo parlare con Provenzano… Vito Cianciminomi dice ‘mi sono ricordato che il medico curante della famiglia Riina è il medico Cinà al quale ho prospettato tutta la situazione’. Mi dice: ‘gli ho spiegato i termini della trattativa… siamo confusi con questa strage… era successa quella di Capaci”. “Queste cose – sottolinea il sostituto procuratore nazionale antimafia – le ha messe a verbale nel 2002. Vito Ciancimino gli racconta delle richieste, della richiesta di passaporto, che Cinà gli aveva fatto avere il papello delle richieste e che questo era stato consegnato ai Carabinieri e materialmente fu consegnato da Vito Ciancimino a De Donno”.
Non solo. E' sempre Lipari a raccontare delle confidenze ricevute da Provenzano sulla trattativa (“Provenzano mi dice: ‘non poteva essere una iniziativa personale dei carabinieri questa trattativa, c’era il benestare di qualche entità superiore’”) ed anche di quelle ricevute proprio da Antonino Cinà (“Cinà mi racconta dei fatti del ‘92, e mi dice: sono stato contattato in ospedale dal figliolo di Ciancimino e mi ha detto che il papà voleva parlarmi. Io mi sono recato a casa di Vito Ciancimino e lì mi disse che aveva la necessità di incontrarsi con ‘il primario’, Riina. Cinà mi disse: ‘io cercai di defilarmi, gli dissi veda di lasciarmi in pace… questi contatti...’. Vito Cianciminorispose: ‘lei deve dire a Riina questa cosa… ci sono i carabinieri che mi hanno contatto per sapere cosa vuole Cosa nostra per far finire queste stragi, lei è responsabile di andare a dirlo a Riina’”). Quella di Lipari è stata una collaborazione mancata con la giustizia dopo che, durante alcune intercettazioni in carcere, il boss aveva detto ai familiari di aver "aggiustato" le dichiarazioni ai pm riguardanti i rapporti mafia e politica e poi quelle sui beni di Cosa nostra. Da quel momento il procuratore Piero Grasso ha iniziato a ritenere poco attendibile il suo racconto anche se in una lettera inviata a Grasso lo stesso Lipari aveva “confermato di non voler retrocedere dalla volontà di collaborare”, “di aver capito di aver sbagliato, ma in buona fede” e di aver “tracciato alcune linee per poterci tornare sopra”.

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Il pm Nino Di Matteo durante la requisitoria odierna del processo Trattativa Stato-mafia © Linda Grasso



Le accuse contro Cinà

In riferimento alle accuse nei confronti del medico Antonino Cinà, Di Matteo ricorda le parole di alcuni collaboratori di giustizia come Rosario Naimo il quale ha riferito di un incontro con Riina in cui il Capo dei capi disse: “Saruzzo tu che stai bene con Cinà, questo se ne vuole andare in America, ci vuole lassare soli… cerca di levarglielo dalla testa questo fatto perché lui ha molte responsabilità… noi dipendiamo molto da lui… stiamo cercando di avere qualcosa… qualche privilegio… stiamo aspettando qualcosa...”. Ed è sempre Naimo a raccontare le parole di Cinà: “ho troppe responsabilità, devo contattare politici, tutto sulle mie spalle... prima facevo solo il medico… ora mi mettono tutte cose sulle mie spalle...”).
Il pm riprende anche le dichiarazioni del pentito Di Giacomo, detenuto per un lungo periodo al 41 bis a Tolmezzo nello stesso reparto con Cinà, due celle adiacenti, il quale ha riferito in aula come il medico, lamentandosi, avrebbe detto che “l'origine dei suoi guai è sempre consistita nella vicenda del papello”.

Annacondia ed il progetto di attentato ai monumenti
Altro pentito sentito al processo è stato poi Salvatore Annacondia. “Questi – ricorda il pm – aveva già saputo nel settembre 1992 che ‘fuori si stavano muovendo per ricattare lo Stato anche con attentati ai musei che sarebbero stati organizzati per indurlo ad un alleggerimento del regime carcerario’”. “Queste dichiarazioni – ricorda Di Matteo anche alzando il tono della voce - non le ha rese dopo l'emersione dei fatti di questo processo o la prima volta che è stato sentito in questo processo. Queste dichiarazioni le ha rese la prima volta alla commissione antimafia il 30 luglio del 1993 davanti a Violante”. Eppure alle stesse, all'epoca, non venne dato il giusto peso.

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Vito Ciancimino


I riscontri dei familiari di Ciancimino jr
Infine il pm di Palermo passa in rassegna le dichiarazioni di altri familiari di Vito Ciancimino. “Nessuno di loro ha condiviso la decisione di Massimo Ciancimino di collaborare – commenta Di Matteo nella discussione - I fratelli hanno manifestato più volte la loro volontà di dissociarsi dalle scelte di Massimo Ciancimino,eppure hanno finito per confermare alcuni passaggi delle sue dichiarazioni sul padre”. In particolare il pm ricorda le dichiarazioni di Giovanni e Roberto Ciancimino. “Il primo – ricorda il pm - al processo si è avvalso della facoltà di non rispondere mentre al processo Mori ha riferito che 'dopo circa 25 giorni dalla strage di Capaci il padre gli disse 'questa mattanza deve finire… sono stato contattato da importanti personaggi altolocati per trattare con l’altra sponda' che erano i vertici di Cosa nostra. Qui non ci sono i nomi di Mori, De Donno, Cinà, ma il fatto nella sua essenza è riferito da Vito Cianciminoanche al figlio Giovanni”. E sempre in quel contesto gli parlò anche della trattativa e del papello.
Riguardo a quanto dichiarato da Roberto Ciancimino il pm rammenta l'udienza dell'11 dicembre 2015 quando questi parlò degli interessamenti del padre in merito alla possibilità della revisione del maxi processo. “Mio padre - aveva detto in aula - mi disse che era stato contattato da due ufficiali dell'arma che chiesero cosa fosse questo muro contro muro (le stesse parole dette a Firenze dagli ufficiali dei carabinieri). Mio padre diede la disponibilità e mi disse che erano Mori e De Donno”. Ed è sempre Roberto Ciancimino a raccontare che dopo quel contatto con i carabinieri il padre gli disse di “aver contattato un amico degli amici”, un “incensurato”. “Al tempo Cinà era proprio incensurato – ricorda Di Matteo. E sempre Roberto Ciancimino parla del papello (Vito Ciancimino, mi disse che ha mandato un messaggio orale e che ha ricevuto una risposta scritta. Mio padre fu generico, mi ha detto sono richieste assurde… tra l’altro vogliono la revisione del Maxi processo….”)”. “Queste dichiarazioni sono uno specifico riscontro a segmenti importanti del nostro processo – conclude il pm – C'è una non plausibilità anche logica della mancata comunicazione ai carabinieri delle richieste di Riina. Vito Ciancimino aveva affidato la sua vita ai carabinieri con i quali parlava. Era consapevole di essere stretto tra due fuochi. Mai e poi mai un uomo come Vito Ciancinimoavrebbe rischiato di bluffare con i suoi interlocutori. Se aveva ricevuto un elenco di richieste non poteva agire diversamente. Doveva informare l'interlocutore istituzionale”.
L’udienza è stata quindi rimandata a domani.

(fine)

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