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mannino calogero bn c shobhadi Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Si conclude la prima giornata della requisitoria del pm Roberto Tartaglia

Le minacce di morte nei confronti dell’ex ministro Calogero Mannino prima dell’omicidio Lima? Nessuna denuncia da parte dell’ex potente democristiano. Meglio confidare in quelli che Roberto Tartaglia ha definito più volte “i suoi soci”, e cioè i vertici del Ros rappresentato in primis da Antonio Subranni e Mario Mori, per poi arrivare a Giuseppe De Donno e a Giuliano Guazzelli. Nella prosecuzione della sua requisitoria il pm torna ad occuparsi proprio dell’omicidio di quest’ultimo (avvenuto il 4 aprile 1992) in correlazione al messaggio che questo assassinio aveva rappresentato per lo stesso Mannino e “soci”. “Da un lato dimostreremo che Mannino non sottovaluta affatto quel periodo - specifica Tartaglia -, la condizione di terrore fu totale ed effettiva”. In quei mesi del ‘92 il progetto di attentato nei confronti dell’ex ministro “era passato alla fase esecutiva”, evidenzia il pm che a suffragio di ciò cita le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giovanni Brusca e successivamente Angelo Siino al quale, nel mese di settembre ‘92, il boss Bernardo Brusca aveva confidato di aver saputo qualche mese prima che il prossimo ad essere eliminato sarebbe stato proprio Mannino.

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Angelo Siino, il "ministro dei lavori pubblici" della mafia


L’intermediario
Il maresciallo Guazzelli viene definito un “intermediario tra Mannino e Subranni”; e questo, pur essendo un semplice maresciallo in servizio alla P.G. di Agrigento, alle soglie della pensione. Per il pm,  Guazzelli era invece “una sorta di aggregato periferico con il Ros per il suo rapporto con Subranni”. Lo stesso Riccardo Guazzelli, figlio del sottufficiale dei Carabinieri, aveva spiegato che “tra suo padre e Subranni si era cementato un rapporto di amicizia”. Tartaglia riporta quindi le dichiarazioni di Siino per il quale Guazzelli era una persona che “giocava su più tavoli”. “Guazzelli dice a Siino che Mannino era da considerare un buon amico e che si facevano favori a vicenda”, spiega il pm. Che riporta di seguito la famosa battuta riferita dal figlio del M.llo Guazzelli relativa ad uno degli incontri tra suo padre e Mannino tra la fine del ‘91 e l’inizio del ‘92. “Ora o ammazzano me, o ammazzano Lima”, avrebbe detto Mannino. “Quella stessa identica alternativa la stavamo prospettando Giovanni Brusca e Angelo Siino, sottolinea Tartaglia. “Quando il 12 marzo 92 uccidono Lima è evidente che il terrore di Mannino non poteva che incrementare. E cosa fa? Chiama Guazzelli per parlare dell’incolumità personale. Mannino gli dice testuale ‘ora ammazzano me’”. Il pm ricorda inoltre alla Corte quel verbale di Nicola Mancino nel quale si fa riferimento al suo incontro con Mannino e alla sua angoscia per essere “il prossimo” ad essere ammazzato. Dello stesso avviso le dichiarazioni dell’ex premier Giuliano Amato, così come quelle dell’ex europarlamentare Giuseppe Gargani.

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L'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino


Parole non dette
Torna sotto i riflettori la mancata intervista di Mannino ad Antonio Padellaro. Che però aveva prudentemente appuntato le confidenze ricevute dall’ex ministro democristiano durante l’appuntamento concordato, in uno stato di totale prostrazione. “Colloquio con Calogero Mannino - si legge in quegli appunti - avvenuto nel suo ufficio di via Borgognona 48 alle 17,00 di mercoledì 8 luglio (1992, ndr). Rapporto dell’Arma dei carabinieri che indica Mannino, Andò, Borsellino e due ufficiali dei CC siciliani bersagli della mafia. Si dice anche che la mafia sta preparando nuovi clamorosi colpi per disarticolare lo Stato. Non vado da un mese in Sicilia perché secondo i CC c’è un commando pronto ad accopparmi. Ma io questa settimana andrò lo stesso. Forse i CC possono individuare uno degli attentatori”. Il pm sottolinea che quello stesso giorno, alle ore 21:00 Mannino si incontra con Antonio Subranni e Bruno Contrada così come riportato dalle agende di quest’ultimo.

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Bruno Contrada


Parlo e non parlo
Le due versioni dell’ex direttore della Dia Giuseppe Tavormina (deceduto il 19 giugno di quest’anno) vengono messe una di fronte all’altra. Da una parte quella del 2000, prima delle indagini sulla trattativa, quando lo stesso Tavormina aveva dichiarato di aver saputo “che Mannino era terrorizzato di essere ammazzato”. “Mannino, Subranni e Guazzelli glielo avevano detto”, ribadisce Tartaglia. Che specifica come l’ex direttore della Dia fosse stato “tranquillizzato” dai tre i quali lo avevano rassicurato che “il Ros se ne stava occupando”. Dichiarazioni lineari, senza alcuna sbavatura. Che cozzano con quelle rese “faticosamente” nel 2015 al processo trattativa: “mai ricevute comunicazioni formali sui rischi di Mannino”. Poi però Tavormina aveva ammesso che “quando arrivarono quelle minacce ho avuto modo di parlarne con Subranni”. E quando gli era stato chiesto quali iniziative fossero state prese a riguardo aveva risposto che non lo ricordava. Quali erano state quelle iniziative del Ros? Non lo ricordava ugualmente. “Lo riteniamo non credibile - afferma con forza Tartaglia - come non crediamo che lui non fosse informato del contatto tra Mori, De Donno e Vito Ciancimino”. Certo è che Tavormina ha confermato alcuni incontri diretti tra Mannino e Subranni perché “ad alcuni di questi ho partecipato anch’io, ma non ricordo di cosa si parlò in quegli incontri”. All’epoca gli era stato contestato che lo stesso Subranni, sentito in un altro processo “aveva parlato di una serie di incontri tra lui, Mannino e Tavormina, proprio per parlare dell’incolumità di Mannino”. “Che Mannino si potesse fidare ciecamente di Subranni e Guazzeli per fare cose occulte”, per il pm deriva quindi da molteplici motivazioni.

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L'ex generale dei carabinieri, Giuseppe Tavormina


Guazzelli e Cosa Nostra
Si torna a parlare delle indagini condotte dal maresciallo Guazzelli sul matrimonio tra l’erede del trafficante di Siculiana Leonardo Caruana e una ragazza di Cattolica Eraclea. In quella occasione Mannino era stato testimone di nozze: “Ma per parte di sposa, la figlia di un mio amico, una persona perbene, un comunista... mi ha avvertito la sera precedente al matrimonio... I Caruana? Mai sentiti, mai conosciuti”. “Rosario Cascio,uomo d’onore vicinissimo a Matteo Messina Denaro - sottolinea di seguito Tartaglia - dice che erano stati fatti favori a Mannino per il quale si era messo a disposizione Guazzelli”. E a dirigere quelle operazioni ambigue sarebbe stato “qualcuno che comandava il Ros dei Carabineri dell’epoca” e cioè Subranni. “Il M.llo Guazzelli - continua il pm - disse che Mannino aveva avuto rapporti con Mori e De Donno. Questo fu fatto in un periodo in cui il Mannino ‘era sulla graticola’”. L’affondo del pm arriva senza mezzi termini: “Con Guazzelli Cosa Nostra ha voluto portare al massimo l’escalation della pressione psicologica nei confronti di Mannino. Il segnale è chiaro: l’acme di quella escalation”.“Non sono ancora scesi in campo Mori e De Donno da Ciancimino”, ci tiene a evidenziare il magistrato partenopeo. Per il quale proprio l’incontro tra Ciancimino e i rappresentanti del Ros rappresenta “il momento in cui la macchina dell’attentato a Mannino si ferma”. “Brusca dice che nella stessa riunione dopo la strage di Capaci in cui Riina gli fa il discorso del ‘papello’ gli dice anche ‘ora fermati con Mannino’. Quell’omicidio comporta la necessità di una interlocuzione più ‘alta’ con i vertici corleonesi”.

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La primula rossa trapanese, Matteo Messina Denaro


Riccio e quell’annotazione
13 febbraio ’96. E’ questa la data ricordata in aula da Roberto Tartagliamentre cita un appunto ritrovato nell’agenda del colonnello dei CC Michele Riccio. “Sinico (Umberto Sinico, ufficiale dei Carabinieri, ex fedelissimo di Mario Mori, ndr), confermato Subranni aveva paura della morte di Guazzelli (maresciallo) vicino a Mannino, De Donno fu fatto rientrare di corsa dalla Sicilia - Guazzelli fu avvertimento per Mannino e soci?”. E per soci, aveva specificato Riccio deponendo in aula, si intendeva il Ros. “Si diceva che Guazzelli fosse stato ammazzato dalla Stidda - aveva raccontato Riccio - sollecitai Ilardo a parlarne e lui mi fece una faccia contrariata, facendomi capire chiaramente che i fatti non erano andati in quel modo” in quanto secondo il confidente, Guazzelli “non operava fattivamente in Cosa Nostra ma rappresentava altri aspetti” di cui avrebbe parlato in futuro, se non fosse stato assassinato. “Successivamente - aveva proseguito il teste - mi incontrai con Sinico nel suo ufficio e portai il discorso su Guazzelli. Mi disse che quando Guazzelli morì il generale Subranni si spaventò moltissimo, tanto che fece rientrare di corsa dalla Sicilia de Donno per paura che anche a lui potesse succedere qualcosa” aggiungendo che “Guazzelli era molto vicino a Mannino”. “Ilardo mi aveva anche detto - aveva quindio concluso Riccio - che Mannino sarebbe stato strettamente controllato dalla famiglia di Agrigento, cosa che avrebbe poi dovuto spiegare in sede di collaborazione”. “L’omicidio Guazzelli - sottolinea Tartaglia - è un avvertimento per Mannino e soci. O solo per i soci”. “Evidentemente - conclude amaramente il pm - Ilardo doveva aver capito bene perché Subranni aveva dato disposizione di non registrare le sue dichiarazioni”.
L’udienza è stata rinviata a domani per la prosecuzione della requisitoria.

Foto di copertina © Shobha


Dossier
Processo trattativa Stato-Mafia

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