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accordo segreto effIniziata la requisitoria dei pm
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Questo processo ha incrociato ed incrocia una parte importante della storia, dalla metà degli anni Ottanta fino anni Novanta, e riguarda i rapporti che noi riteniamo indebiti tra alcuni esponenti dei vertici di Cosa nostra ed alcuni esponenti delle Istituzioni e dello Stato. Una storia che al di là della retorica e della linea della fermezza che è stata tante volte evocata dai protagonisti istituzionali di questa vicenda, al di là della retorica formale che istituzioni dello Stato sempre unite e compatte combattono sempre cosa nostra, questa linea della fermezza è stata tante volte tradita ed evocata a pretesto come copertura. La verità emersa è un’altra, quella di una parte importante e trasversale delle istituzioni che, spinta soprattutto da esigenze personali, politiche, egoistiche e dall’ambizione di potere è stata contrabbandata per ragioni di Stato. E che quella parte delle istituzioni ha cercato il dialogo ed un parziale compromesso con Cosa nostra, sotto traccia, in maniera occulta, clandestina ed avulsa da ogni regola di ordinamento ispiratore di uno Stato fondato sul diritto. Ed i risultati sono stati di fatto la realizzazione totale dei desideri più antichi e spinti di Cosa nostra”. Con queste parole il sostituto procuratore di Palermo, Roberto Tartaglia, ha aperto la requisitoria al processo in corso all’aula bunker di Palermo.
Il Presidente Alfredo Montalto, dopo aver rigettato la richiesta di acquisizione della nuova consulenza audio eseguita con spettrogramma depositata dal legale di Marcello Dell'Utri che avrebbe dovuto confutare le trascrizioni della procura sulle conversazioni tra il boss Giuseppe Graviano e il compagno di socialità in carcere Michele Adinolfi, ha dichiarato chiusa l’istruttoria dibattimentale. Nell’ordinanza della Corte sono stati ammessi gli audio delle intercettazioni in carcere di Graviano "ripulite" dai rumori di sottofondo, sono stati acquisiti alcuni documenti richiesti dai pm come una parte di quelli recuperati presso la Fondazione Spadolini e la trascrizione della deposizione dell’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, nel novembre del 2010, davanti alla Commissione nazionale antimafia.

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Il pm Roberto Tartaglia © Paolo Bassani


Attentato a Corpo politico dello Stato e la “mediazione occulta”
Nel corso della propria discussione il pm Tartaglia ha evidenziato quelle che sono le imputazioni del processo partendo proprio dall’art.338 del codice di procedura penale che punisce la violenza e o la minaccia a corpo politico dello stato.
“Sgomberiamo il campo da un equivoco - ha detto il magistrato - quello creato dallo slogan banalizzante che questo è il processo sulla trattativa e che trattare non è reato. Il processo è per attentato al Corpo politico dello Stato e si evince dalle condotte descritte nei capi di imputazione partendo dai mafiosi, Riina, Provenzano (entrambi deceduti), Brusca, Bagarella ed Antonino Cinà. Loro hanno posto in essere l’azione tipica del 338 e lo hanno fatto in tempi diversi. Un’azione che ha avuto inizio con l’omicidio Lima, prima esecuzione della minaccia volta non solo verso Lima ma verso il Governo in carica in quel momento, e verso il Presidente Giulio Andreotti. Il via di una campagna di intimidazione e contro le Istituzioni che porterà poi all’inizio della mediazione. Con una finalità che era quella della vendetta ma che aveva anche l’intenzione di dare un messaggio al Governo e alle Istituzioni. Cosa nostra cercava una mediazione occulta e una mediazione occulta ha avuto”.
Tartaglia ha ricordato alla corte le parole in carcere di Totò Riina. “Io al Governo gli devo vendere morti” diceva durante il passeggio con il compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso il 18 agosto 2013. “E’ la logica degli attentati. Vanno venduti morti per avere in cambio un corrispettivo - ha aggiunto Tartaglia - Quello che avverrà con Vito Ciancimino e con quelle condizioni per porre fine all’attacco frontale alle istituzioni”.
Gli imputati istituzionali del processo che secondo l’accusa “hanno fatto prima da motore e poi da cinghia di trasmissione della minaccia a corpo politico dello Stato”. Di fatto, secondo i pm, sono stati i mediatori. “Due sono i politici, Dell’Utri e Mannino (in abbreviato assolto in primo grado e in attesa del giudizio in appello) - ha aggiunto Targaglia - che in momenti diversi hanno fato da motore e da cinghia di trasmissione a quella minaccia. Una mediazione a quel messaggio di intimidazione. A loro viene contestato di aver agevolato lo sviluppo della trattativa. Poi ci sono gli uomini degli apparati di punta del paese che hanno fatto da anello di collegamento tra Cosa nostra ed istituzioni. Di avere contattato su incarico di Mannino uomini collegati a Cosa nostra, tra cui Vito Ciancimino così agevolando un canale per le richieste di Cosa nostra per far cessare la strategia stragista”.

lima salvo vito ciancimino

Salvo Lima, al centro, e Vito Ciancimino, a destra


La mediazione
Parlando del ruolo di mediazione il pm ha ricordato gli interventi della Cassazione rispetto ai mediatori nei casi di estorsione. “In quei casi c’è la mediazione di un soggetto che non è di Cosa nostra che interviene per farli mettere d’accordo. Anche nel nostro 338 c’è una minaccia e una intimidazione. Quella minaccia è volta a una richiesta che non sarà il contributo per i carcerati, ma c’è una richiesta finalizzata. Abbiamo soggetti istituzionali che intervengono per far cessare quella intimidazione per far cessare l’azione repressiva. La Cassazione pone tre condizioni per dimostrare quando il mediatore risponde di dolo e quando no. La prima: il mediatore se non vuole essere punito deve aver agito su richiesta della persona offesa e non agendo autonomamente o su input di terze persone. La seconda: il mediatore per non essere punito deve aver agito nell’interesse esclusivo della persona offesa. La terza è l’effetto delle prime due: la cassazione dice che il mediatore agisce nell’interesse della persona offesa ma con modalità di tale protezione per chi ha commesso quelle condotte che hanno messo in guardia gli autori dei reati, proteggendo gli autori del reato e creando un cono d’ombra. Questo si chiama concorso in reato di estorsione. Nessuna di queste condizioni è rispettata da Mori, De Donno, Subranni e Dell’Utri".
Tartaglia quindi ha evidenziato come nella mediazione dei politici e degli ufficiali di polizia giudiziaria “non c’è stato nulla di legale, solo la violazione di ogni regola. Non c’è l’interesse della persona offesa. Gli imputati hanno avuto interessi di parte, a continuare a fare politica mettendosi al riparo dal rischio di rappresaglie, interessi politici, a gestire il potere in maniera occulta e nascosta”. “L’interesse del Governo della Repubblica - ha specificato - non poteva che essere uno, quello della repressione secondo le leggi in ordinamento dei reati commessi e l’arresto di tutti i latitanti senza una selezione arbitraria e la prevenzione delle nuove stragi. Tutte le condotte degli imputati hanno disatteso e tradito queste aspettative”.

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Ingresso in aula di Gaspare Spatuzza


La zona franca
Inoltre, rispetto alle azioni che hanno visto il coinvolgimento di Vito Ciancimino e Paolo Bellini “mai in queste attività di mediazioni gli ufficiali del Ros hanno pensato a mettere in atto iniziative volte a intercettare pedinare o vedere dove andasse Vito Ciancimino. Non c’è nulla. Il motivo è spiegato da Mori a Violante, Mori dice ‘questo è un discorso politico’. Questa è la mediazione portata avanti da Mori, Subranni e De Donno con modalità occulte. Il riparo dal rischio dell’arresto lo hanno fornito gli ufficiali del Ros a Cosa nostra e lo hanno fornito con i fatti quando hanno garantito che quella trattativa avvenisse in maniera riservata anche all’estero, tagliando fuori l’Autorità giudiziaria in un terreno per definizione sottatto a ogni rischio. Hanno creato una zona franca dei principi del diritto. In quel momento le regole sono state sospese con risultati disastrosi”. Secondo l’accusa quell’operato ha contribuito a “rafforzare l’organizzazione criminale, a ribadire, rafforzare e orientare la volontà di Cosa nostra di attacco allo Stato, la scelta degli obiettivi, quelli che a mediazione iniziata sono diventati diversi”.
Obiettivi che vengono espressi plasticamente dalle parole dei pentiti Giovanni Brusca ed Antonino Giuffré. Proprio quest’ultimo ha parlato di un “meccanismo perverso” che si era innescato con “un passo avanti ed uno indietro”. E poi ancora da Gaspare Spatuzza che riferisce le parole di Giuseppe Graviano. “Noi ci stiamo portando dietro i morti che non ci appartengono”, diceva l’ex killer di Brancaccio. “E’ buono - rispondeva il capomafia - così quelli che si devono muovere si danno una smossa”.

Dossier Processo trattativa Stato-Mafia

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