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cattafi rosario pio effdi Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Così Rosario Pio Cattafi, ex avvocato condannato per mafia in appello a 7 anni di reclusione per essere stato affiliato alla mafia barcellonese fino al 2000 (c'è già stato il ricorso in Cassazione della Procura di Messina che lo ritiene invece come capo e promotore della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto), al processo trattativa Stato-Mafia sceglie la via del silenzio.
Un vero e proprio dietrofront dopo le dichiarazioni rese alla Procura in sede di indagini e che avrebbe dovuto ripetere oggi. I pm, infatti, avevano chiesto di ascoltare Cattafi in qualità di teste assistito (come già avvenuto in altri proceedimenti), in quanto vi è comunque “un collegamento probatorio tra i fatti contestati a Messina e quelli in esame oggi”. La legale di fiducia di Cattafi, l'avvocato Priano, ha invece chiesto di sentire il suo assistito ai sensi dell'art.210, ovvero come imputato in procedimento connesso. Il Presidente Montalto, “tenuto conto quanto rappresentato e dovendo valutare se Cattafi abbia già reso dichiarazioni a carico degli imputati di questo processo”, ha dunque disposto l'esame di Cattafi proprio in questo senso.
In fase di indagine, ai magistrati palermitani che l'hanno citato, Cattafi disse che nel 1993, quand'era detenuto per l'indagine sull'autoparco di Milano, ricevette una richiesta dall'allora vice capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Francesco Di Maggio, affinché contattasse, tramite l'avvocato Salvatore Cuscunà, il boss catanese Nitto Santapaola per cercare di fermare le stragi mafiose.
A suo dire, dalle informazioni raccolte da Di Maggio durante il suo impiego presso l’Alto Commissariato Antimafia, Santapaola sarebbe stato ‘quello più malleabile’ con cui parlare per fermare questo attacco allo Stato. Di Maggio avrebbe detto a Cattafi che quest’ultimo avrebbe potuto promettere ‘qualsiasi cosa’ - tipo arresti domiciliari - all’avvocato di Cuscunà per favorire il buon esito dell’iniziativa.
Questo primo incontro sarebbe avvenuto in un bar di Messina e a quel colloquio si sarebbero uniti anche quattro o cinque carabinieri del Ros giunti sul posto dopo una telefonata con Di Maggio stesso. Fatti che aveva ripetuto anche al processo Mori.
Da quando, però, è tornato in libertà il suo atteggiamento è cambiato e, come avvenuto al processo Capaci bis, ha anche rivisto alcune dichiarazioni.
Ambiguità emerse già durante gli interrogatori di fronte alla Procura di Palermo. Basti pensare a cosa rispose quando il pm Di Matteo chiese a Cattafi di specificare i nomi dei convenuti in quell'incontro a Messina. “Ci sono dei momenti che ho l’impressione che sia un nome rispetto ad un altro - disse Cattafi - Poi, per onestà, forse a causa anche delle mie condizioni, dopo una settimana ho il dubbio. Siccome si tratta di indicare una persona, uno deve avere la certezza prima di fare il nome di qualcuno, non lo può far così a cuor sereno … Io vivo una condizione particolare in questo momento: mi reputo innocente, arrestato ingiustamente … Non è vero che uno alla galera è abituato … Tutto questo non mi mette nelle condizioni di tranquillità e serenità e poiché io un briciolo di coscienza ce l’ho non mi sento nelle condizioni di riconoscere qualcuno”.
Nel frattempo Cattafi è passato dal regime carcerario del 41 bis, un periodo durante il quale avrebbe anche ricevuto l'interessamento da parte dei Servizi di sicurezza, alla libertà, così come disposto dalla stessa Corte d'appello di Messina. Ed oggi è tornato a far sentire il suo “peso”, o meglio il suo “silenzio” seguendo le migliori tradizioni. Anche se forse il detto andrebbe riscritto: "La meglio parola non è quella che non si dice ma quella che si dice a metà".

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