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non ricordo omis accuseAl processo sentito anche il giornalista Saverio Lodato
di Aaron Pettinari
Da una parte le difficoltà nello sviluppo delle indagini sul “tesoro” di Vito Ciancimino e le accuse circostanziate sull'operato dei suoi superiori, dall'altra un fiume di non ricordo e smentite sulle modalità di un incontro avuto con il maresciallo Saverio Masi, a cui aveva parlato di questi episodi. E' questo il succo della deposizione del tenente colonnello Antonello Angeli, sentito oggi al processo trattativa Stato-mafia. E' la prima volta che l'ufficiale viene ascoltato in dibattimento dopo che al processo Mori-Obinu si era avvalso della facoltà di non rispondere in quanto indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, con l'ipotesi di favoreggiamento. Un esame di tre ore dove non sono mancati momenti di tensione con il pm Nino Di Matteo che lo ha invitato apertamente a “dire la verità” e spiegare i motivi per cui, quando fu ascoltato dai pm nel 2009, non fornì certi dettagli sulla perquisizione nel febbraio 2005 presso l'abitazione di Massimo Ciancimino e che invece oggi ha riportato innanzi alla Corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto. Tra questi la descrizione della casa di Ciancimino jr all'Addaura che era a due piani (e non a uno come ricordava in precedenza, ndr) oppure il fatto di aver indicato la telefonata con un suo superiore mentre era in auto. E poi ancora l'omissione ai pm sull'ordine dato ad un suo sottoposto di fare le fotocopie di alcuni documenti rinvenuti e sul ritrovamento di un documento in cui era presente un chiaro riferimento a Silvio Berlusconi (quello in cui viene richiesto all'onorevole Berlusconi di “mettere a disposizione una delle sue reti televisive” e nel cui testo emerge l'intimidazione legata al fatto che se non si fosse dato corso alla richiesta avanzata ci sarebbe stato “il luttuoso evento”).
“Non so dire il perché dottore Di Matteo – ha detto Angeli – Quando sono venuto non avevo motivo di nascondere nulla..Non so neanche perché, se ritenni o non ritenni, non ricordo le dinamiche dettagliate. E' certo che non l'ho detto ma non ho un movente. Quello che dico oggi è certo... Molto probabilmente mi ero dimenticato, in quell'interrogatorio diedi importanza ad altri aspetti”.
La storia dell'allora capitano Angeli e della perquisizione nell'abitazione di Massimo Ciancimino è già emersa nel corso del processo. Ieri in aula sia il maresciallo Saverio Masi che l'appuntato Samuele Lecca hanno riferito in merito, il primo parlando di alcune confidenze che lo stesso Angeli gli aveva fatto nel 2006, il secondo in quanto partecipò direttamente alla perquisizione e fu mandato a fare delle fotocopie nel corso della stessa.

La perquisizione all'Addaura
Oggi Angeli ha raccontato la sua verità: “Ho proceduto a perquisire la sala-soggiorno, il personale andò nelle camere, e il personale della Guardia di Finanza riceveva di volta in volta le carte che i carabinieri portavano, per fare una valutazione immediata sulla loro importanza”. Poi ha aggiunto: “Avevamo come obiettivo il rinvenimento di un assegno di 30 milioni di Silvio Berlusconi custodito in una carpetta (una cartelletta, ndr) contenente tutte le carte di Vito Ciancimino e che si trovava in un magazzino. Presumevamo che questo magazzino fosse situato nelle vicinanze del negozio gestito da Massimo Ciancimino. Poi trovammo la scatola nell'abitazione dello stesso Ciancimino all'Addaura. Trovammo un foglio con una minaccia a Silvio Berlusconi. C'erano diversi memoriali, uno intitolato 'Le mafie', uno 'I carabinieri', e un altro intitolato 'La Politica', e poi e una lettera che riguardava Silvio Berlusconi”.
E' a quel punto che Angeli decise di chiamare il maggiore Francesco Gosciu (versione che contrasta con quella detta da Masi che invece ha detto di aver saputo che l'ufficiale della telefonata era Sottili, ndr). “Lui in un primo momento mi disse 'Bravi' – ha riferito il teste - Ma subito dopo mi richiamò e mi disse: 'Quella documentazione è falsa, ce l'abbiamo già'. Io rimasi basito da questa cosa e ricordo che quando chiusi la conversazione - dice ancora il tenente colonnello Angeli - il maresciallo Migliore mi chiese cosa fosse successo e io dissi: c'è qualcosa che non va. Anche perché in quel periodo c'era il processo Dell'Utri e pensavo che quella lettera potesse essere interessante dal punto di vista investigativo”.
Angeli ha anche detto di aver saputo delle dichiarazioni di Lecca e Masi negli anni successivi e ha smentito seccamente quanto riferito dal secondo sulla presenza nelle carte del “papello”. “Io - ha detto - non ho mai visto il 'papello'”. Non solo. Ha anche detto di non ricordare di aver incontrato Masi più di due volte e che il dialogo sui rispettivi problemi avuti con i superiori si sarebbe svolto in particolare via telefono. E quando il pm Di Matteo ha ribadito che la descrizione di certi fatti riferiti da Masi sono nella sostanza identici a quanto detto da lui oggi Angeli ha sbottato: “Che devo dirle, si vede che lui ricorda meglio”. Poi ha proseguito nel suo racconto: “Masi mi chiamò un giorno al telefono e mi disse che aveva subito un atteggiamento vessatorio dei suoi superiori perché lo avevano denunciato per una contravvenzione per un uso di un mezzo – ha detto Angeli - Quindi era stato a suo dire massacrato con provvedimenti disciplinari ed era arrabbiato. Parlava con me perché sapeva che anche io ero stato oggetto di atteggiamento persecutori da Sottili. Ho sentito che Masi ha riferito del papello. Io non ho mai visto il papello, ricordo che abbiamo parlato anche della mia vicenda, anche della perquisizione. Ma cosa ci siamo detti non me lo ricordo”.

Questione di numeri
Altro elemento che resta da chiarire è il motivo che portò l'allora capitano a far fotocopiare quei documenti. “A me la risposta del maggiore Gosciu non era piaciuta. Per me quelle carte potevano essere importanti, e mi sono assicurato di avere sempre la disponibilità di quelle fotocopie e mal che vada, avrei avuto quello anche per porre le condizione di portare alla magistratura tutto quello che doveva essere portato”. Alla domanda dell'avvocato Fiermonti se temesse che gli originali potessero sparire anche a causa dei superiori ha detto: “Certo anche, anche perché poi erano stati sequestrati, e poi mi sembra che giornalisticamente la lettera su Berlusconi fu trovata tempo dopo...Gli originali sono stati sottoposti al sequestro e sono stati consegnati alla magistratura e le fotocopie sono rimasti al corredo atti (ai carabinieri)”. A questo punto però non si spiega l'anomalia per cui, sempre a suo dire, nella repertazione sarebbero state consegnate anche le fotocopie. E anche sul numero dei documenti fotocopiati resta poi un altro dubbio. A sollevarlo, con le sue domande, è stato il pm Francesco Del Bene: “Facendo un conto di quanto riportato nel verbale sulle carte sequestrate vi sono una serie di documenti, quelli sequestrati nel magazzino. Calcolando cinque centesimi a copia verrebbe una spesa di quasi 200 euro. Secondo quanto da lei riferito la spesa delle fotocopie da lei disposte non avrebbe superato i 20 euro (lo stesso ha riferito Lecca, ndr) mi sa spiegare il motivo?”. E Angeli ha risposto: “Io diedi l'ordine di fotocopiare tutto e dubito che non sia stato fatto. Non so se a Lecca sia stato fatto un prezzo di favore o quanto costavano le fotocopie. La sua è un'osservazione di indubbia valenza essendo che era partito con tutta la scatola. E' evidente che doveva fotocopiare tutto...”. Eppure sempre Lecca ieri ha ribadito di aver fotocopiato due manuali dattiloscritti e una serie di fogli e carte tra cui anche alcuni che avevano dei post-it e che gli stessi non sarebbero stati poi repertati. Un mistero che appare irrisolto.

Lo stop all'indagine Ciancimino
In precedenza Angeli ha anche parlato di una serie di contrasti avuti tra gli apparati investigativi e che portarono al blocco improvviso delle intercettazioni sul figlio di don Vito. Un'indagine in cui emersero dati sconcertanti in aggiunta alla presenza di un presunto assegno dell'ex sindaco mafioso a Silvio Berlusconi e che sarebbe stato conservato in una carpetta. Ciancimino jr, infatti riceveva richieste di raccomandazione da parte di personaggi insospettabili. Grande fu la sorpresa di Angeli quando tra le intercettazioni sentì il comandante provinciale dei carabinieri di Milano (e altre volte anche la moglie dell'ufficiale) che chiamava Massimo Ciancimino per segnalargli la figlia perché fosse assunta in una compagnia aerea.
“Quell'indagine stava andando bene – ha raccontato Angeli – inizialmente riferivo al dottore Lo Forte che era molto contento dei risultati. Ma c'erano già delle problematiche. Ad esempio solo nell'ultima fase seppi che vi erano anche altre indagini del gruppo Monreale su soggetti vicini a Ciancimino. Noi chiedevamo di fare le intercettazioni e ce le negavano. Poi ho capito perché. Quando chiesi a Sottili di poter coordinarci in qualche modo con il Gruppo Monreale o con la Guardia di Finanza che era anche più preparata di noi per certi tipi di indagini lui si arrabbiò, e assolutamente disse che non dovevamo parlare con nessuno. Lo vietò espressamente... Sottili era molto tranciante”.
Di queste cose avrebbe parlato anche con Lo Forte ma poi il magistrato uscì dalla Dda e l'indagine passò ad altri pm. “In un secondo momento riferì al sostituto procuratore Roberta Buzzolani. Nel frattempo i contrasti con Sottili continuavano. La disposizione era solo di limitarci all'ascolto nelle indagini e di non fare altri servizi. Anche se noi chiedevamo di eseguire altre cose”. Poi i contrasti vi furono anche con il pm: “La Buzzolani riteneva che Ciancimino avesse scoperto l'attività d'indagine e che si stesse facendo beffa di noi e quando feci notare la telefonata del comandante provinciale dei carabinieri che dimostrava come non era possibile quanto lei asseriva lei mi disse che in Italia era normale chiedere delle raccomandazioni. Di quell'intercettazione diedi la trascrizione sia a Sottili che alla Buzzolani. Nonostante questo da lì a poco le intercettazioni furono chiuse. Mi fu imposto di chiedere la chiusura così io feci la richiesta aggiungendo la dicitura 'come disposto dalla signoria vostra si richiede la chiusura delle indagini' anche perché per me di elementi ce ne erano diversi. La Buzzolani si arrabbiò molto”.
Solo più tardi Angeli ricevette dal procuratore aggiunto del tempo, Giuseppe Pignatone, la notizia che l'indagine su Massimo Ciancimino veniva riaperta. E poco tempo dopo vi fu la perquisizione della casa all'Addaura.  

Le conferme di Lodato
Dopo la testimonianza di Angeli vi è stata la deposizione del giornalista Saverio Lodato che ha confermato sostanzialmente quanto aveva già detto al processo Mori-Obinu.
Rispondendo alle domande del pm Francesco Del Bene ha quindi detto che “nella primavera-estate del 2006 mi vennero a trovare due carabinieri. Si presentarono senza appuntamento, un sabato, quando già non c'era più il servizio di portineria. Io mi ero trasferito lì da poco assieme a mia madre. Si presentarono lì dicendo che volevano parlarmi perché sapevano che ero giornalista e che si fidavano di me per certe inchieste che avevo condotto. Continuavano a comportarsi in maniera strana, guardandosi attorno, parlando a bassa voce e quando chiesi che problema c'era mi fecero capire che temevano ci fossero microfoni e telecamere. In una prima fase non dissero i loro nomi.
lodato aula bunker ucciardoneQuindi chiesi quale fosse la ragione per cui erano lì. Rimasero molto vaghi. Mi dissero che c'era un loro superiore che io avrei dovuto incontrare o che volevano che io incontrassi.. Poi loro lamentavano il fatto che avevano avuto difficoltà investigative con loro superiori. Queste erano relative ad un tentativo di cattura di Matteo Messina Denaro che in quel momento era latitante.. e poi nel corso dello scambio di battute venne fuori anche il nome di Provenzano a conferma che avevano avuto per Provenzano le medesime problematiche che si rirproponevano in quel momento di tentativo da parte loro di catturare Messina Denaro”. Lodato ha poi aggiunto: “Loro mi assicurarono che non erano andati da altri giornalisti ma quando chiesi se c'erano documenti o chi fosse il nome dell'ufficiale che avrei dovuto incontrare loro dissero che già stavano rischiando molto e che potevano essere allontanati dall'arma se si fosse venuto a sapere di quel colloquio. A quel punto io suggerisco loro di andare da un magistrato anziché da un giornalista e che in un secondo ma mi fecero capire che in quel momento non era la strada che loro intendevano perseguire. Poi mi diedero anche i loro nomi e li scrissero in un foglio. Uno era Saverio Masi e l'altro mi pare Barbaria con una lettera C. Poi scrissero anche un numero di telefono... Era chiaro che loro avevano fretta e che premevano in maniera insistente per far uscire questa cosa”. Ma Lodato non fu convinto da quella storia: “Eravamo rimasti che ci saremmo sentiti dopo qualche giorno e che ne avrei parlato con il mio direttore. Ma io non lo feci perché non avevo elementi su cui basarmi e così non portai avanti la cosa e comunicai con loro al telefono che non se ne faceva nulla”. Rispondendo ad alcune domande dell'avvocato Milio Lodato ha anche parlato del processo per diffamazione, durato 7 anni, su denuncia del generale Mori del capitano De Donno e del capitano De Caprio su una pubblicazione di un libro che lo stesso giornalista aveva scritto a quattro mani con Attilio Bolzoni e in cui si parlava della mancata perquisizione del covo di Riina. “Nel libro scrivemmo della polemica che c'era tra la Procura e dei carabinieri. Ponevamo una serie di interrogativi sulla circostanza che il covo non fu perquisito... e sul punto poi non se ne venne mai a capo... Da lì ci fu questa denuncia e si arrivò al processo. Poi Mori e De Donno ritirarono la denuncia ma per farlo in un primo momento il generale Mori chiese tramite i suoi avvocati un milione di lire, poi una cifra simbolica di cento lire. Io rifiutai ed alla fine bastò una dichiarazione in cui si diceva che non vi era l'intenzione di diffamare il generale in quanto si teneva conto anche del suo punto di vista”. L'udienza è stata quindi rinviata al 15 settembre prossimo quando saranno ascoltati la teste Fernanda Contri e al controesame di Saverio Masi.

Dossier Processo trattativa Stato-Mafia