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masi saverio aula ucciardone“Un superiore mi disse di non rompere sulla cattura del boss corleonese”
di Aaron Pettinari
Il mancato sequestro del papello nell'abitazione di Massimo Ciancimino, i continui “ostacoli” nelle indagini per interrompere la latitanza di boss di prim'ordine come Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, le continue discussioni con i propri superiori. Sono questi i temi affrontati quest'oggi in aula al processo trattativa Stato-mafia, al ritorno dalla pausa estiva. Sul pretorio dell'aula bunker è infatti salito il maresciallo dei carabinieri Saverio Masi, oggi capo scorta del pm Antonino Di Matteo, sentito come indagato di reato connesso perché indagato per calunnia nei confronti di Sottili e altri ufficiali dei carabinieri, anche se all'inizio di settembre la Procura ha chiesto l'archiviazione.
Il sottoufficiale dell'Arma, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, ha raccontato di “problemi avuti con i superiori sulla cattura di Provenzano” prima che il boss di Corleone fosse arrestato nell'aprile 2006.
Di queste difficoltà aveva parlato anche con il capitano dei Carabinieri Antonello Angeli in quanto Masi aveva saputo che “anche lui aveva avuto un trattamento simile”.
Tra gli ufficiali con cui ha avuto degli scontri vi sono Giammarco Sottili e Francesco Gosciu, al tempo al vertice del Nucleo operativo di Palermo così i due si incontrarono tempo dopo, di nascosto dai superiori di Palermo. “Ciò è avvenuto tempo dopo che Angeli fu trasferito a Roma – ha ricordato Masi alla Corte - Mi disse che era preoccupato perché volevano avviare una pratica sulla sua salute mentale, e avviarlo a visita psichiatrica, e lui dopo un incontro con Sottili capì che era meglio lasciare perdere e chiese il trasferimento a Roma. Quando ci siamo incontrati Angeli mi ha detto di aver avuto dei problemi a causa di una indagine che riguardava le vicende investigative di Massimo Ciancimino, soprattutto una vicenda che riguardava una perquisizione a casa del figlio dell'ex sindaco di Palermo”.
La perquisizione a cui si fa riferimento è quella del febbraio 2005, presso la villa che Ciancimino jr aveva all'Addaura. E' lì che l'allora capitano Angeli avrebbe rinvenuto “in soffitta” il cosiddetto 'papello' di Totò Riina contenente le dodici richieste del boss allo Stato. Di questo episodio il maresciallo Masi aveva già riferito al processo Mori-Obinu ed oggi in aula ha ribadito ogni punto: “Mi spiegò che quando informò i suoi superiori questi gli ordinarono di 'non sequestrarlo sostenendo che già lo avevano'. C'erano specifiche richieste in relazione a una trattativa tra Stato e mafia Sottili disse ad Angeli di lasciarlo lì perché già lo avevano. Ma Angeli mi disse che non ce l'avevano il papello. Mi disse anche che rimase esterrefatto dalla risposta di Sottili. Si aspettò la immediata presenza di Sottili. Invece, niente. Così, per salvaguardare la sua persona aveva fatto fotocopiare la documentazione che Sottili non voleva venisse spostata. Mandò uno dei suoi carabinieri a fare le fotocopie di nascosto degli altri suoi colleghi del Reparto operativo. Chi fu mandato a fare le fotocopie però non lo so. Lui le fece per tutelarsi. Mi raccontò che lo disse anche a Gosciu che però se ne sarebbe lavato le mani come Ponzio Pilato”.
I due carabinieri avevano deciso di rendere pubbliche le proprie vicende e per questo contattarono il giornalista de L'Unità, Saverio Lodato (che sarà ascoltato domani in aula, ndr). “Il nostro intento - ha spiegato il maresciallo - era fare pubblicare le nostre vicende da un giornale nazionale, in modo che l'autorità giudiziaria ci potesse chiamare per confermare le nostre vicende. Cercammo un giornalista che avesse credibilità superiore e con un certa caratura. Concordammo quindi sul nome di Saverio Lodato de L'Unità ma la cosa saltò. Io dopo continuai a cercare Angeli perché volevo fare in modo che la storia uscisse in qualche modo ma non si fece più trovare. L'ho rivisto poi alla scorta di Napolitano e tempo dopo ci siamo rivisti in Tribunale ma lui ormai voleva lasciar perdere”.
Il maresciallo Saverio Masi, di recente condannato a sei mesi di reclusione per falso materiale e tentata truffa, è poi tornato sulle difficoltà che avrebbe incontrato negli appostamenti di un casolare per la ricerca del boss Provenzano. Un'indagine sviluppata “su mia iniziativa ma che veniva svolta istituzionalmente. I miei superiori ne erano a conoscenza ed io avevo un certo margine per acquisire quel di cui avevo bisogno”. In particolare Masi, partendo dallo spunto dell'arresto di Benedetto Spera nel gennaio 2001 ed incrociando la stessa con alcune dichiarazioni di Siino raccolte da Miceli, avrebbe individuato un casolare nella disponibilità di alcuni soggetti ritenuti vicini a Provenzano. “L'anomalia – ha ribadito – era che a casa della mamma di uno di questi fu attivato un contatore dell'Enel proprio nei giorni successivi di quell'arresto. Una strana coincidenza se pensiamo che nel giorno dell'arresto di Spera sarebbe stato possibile prendere anche Provenzano. Di questo parlai anche con il dottore Prestipino. La donna aveva 80 anni e l'allaccio era fermo da anni e si trovava a pochi chilometri dalle zone in cui Provenzano era sfuggito sia a Mezzojuso nel 1995, che dopo con Spera”. Nel suo racconto Masi ha spiegato il suo intento di mettere sotto osservazione il casolare con una telecamera. Ciò non gli sarebbe stato permesso e in seconda battuta, quando l'inchiesta fu portata avanti in accordo con il Ros, non si riuscì nemmeno a piazzare delle microspie.
Non solo. In un'altra occasione, sempre prima dell'arresto del capomafia corleonese, un capitano dei Carabinieri avrebbe detto al maresciallo Masi, oggi caposcorta del pm Antonino Di Matteo, di non insistere sulla cattura del boss di Corleone. “Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano - gli avrebbe detto - Non hai capito niente allora? Smettila di rompere i c...i. A me non me ne frega niente di arrestare Provenzano. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella? Te lo diamo ma non rompere più”.
Infine Masi ha ricordato l'episodio in cui casualmente incrociò Messina Denaro, sempre nel 2004. “Mi trovavo a Bagheria e non ero in servizio. Era il giorno in cui sarebbe dovuta nascere mia figlia. Passavo con la macchina e ad un certo punto incrocio un'altra vettura ferma davanti a una villa con il proprietario che stava aprendo il cancello. Il conducente era identico al fotofit di Messina Denaro pubblicato in quei giorni dai giornali”. Il sottoifficiale ha spiegato di non aver avvertito immediatamente i suoi superiori “consapevole di quanto era avvenuto nell'altra occasione con Provenzano. Così ho fatto tutti gli accertamenti e poi ho presentato la relazione (mostrata oggi in aula dai pm, ndr) ma credo che non sia stata spedita all'autorità giudiziaria. In un'altra occasione mi chiesero pure di rivedere alcuni dettagli".
Nell'udienza fiume, che ha visto anche le dichiarazioni spontanee di Mario Mori e Giuseppe De Donno, è stato anche ascoltato l'appuntato Samuele Lecca che partecipò alla perquisizione a casa di Ciancimino ed andò a fotocpiare i documenti su ordine di Angeli.
Il sottoufficiale ha sostanzialmente confermato quanto riferito in passato ovvero di aver rinvenuto in uno scatolo che si trovava in un magazzino di pertinenza di Massimo Ciancimino, a poche centinaia di metri dalla casa all'Addaura, in un controsoffitto “una sorta di libro rilegato al cui interno c'erano diversi fogli, alcuni erano manoscritti e altri dattiloscritti”. “Li portai al mio Comandante Angeli - ha detto - Dopo averli sfogliati uscì fuori dal casolare e fece una telefonata. Subito dopo mi chiamò chiedendomi se consocevo una fotocopisteria. Mi ordinò di andare da solo, di fare in fretta e fare le fotocopie di questi documenti. Io partii. Non sapevo che documenti fossero ma c'erano alcuni fogli rilegati, altri sparsi, e dei post-it. Fotocopiai tutto e spesi una ventina di euro. Mentre andavo a fare le fotocopie il capitano Angeli mi chiamava cotninuamente per dirmi 'Sbrigati, a che punto sei? Le hai fatte le fotocopie?'. Ma io ancora ero per strada perché il posto era lontano. Dopo poco tempo mi richiamò per dirmi 'Spiacciati, qui abbiamo quasi finito'. Poi, dopo avere fatto le fotocopie, portai tutta la documentazione in Caserma, nel suo ufficio. Lasciai sia gli originali che le fotocopie sulla scrivania del capitano Angeli”. Lecca ha quindi sottolineato che durante le operazioni di catalogazione non ha più visto la documentazione che aveva consegnato. Nonostante l'anomalia di quell'azione, in tanti anni, il militare non ha mai parlato con nessuno di quei fatti in quanto “non ne vedevo il motivo. Non c'era l'abitudine di farlo. Qualcuno avrà notato che me ne ero andato... Un rimborso per le fotocopie? Per me era chiaramente attività d'ufficio ma non ci ho mai pensato”.
Tra le nuove documentazioni presentate oggi al processo vi è anche l'estensione dell'estradizione di Marcello Dell'Utri anche per il processo sulla trattativa Stato-mafia concesso dal governo libanese. A comunicare l'arrivo della documentazione è stato, alla ripresa del dibattimento, il presidente della corte d'assise, Alfredo Montalto. In questo processo Dell'Utri, che sta scontando in carcere una condanna definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è imputato di minaccia a corpo politico dello Stato e viene giudicato in contumacia. La decisione di estendere l'estradizione di Dell'Utri, arrestato a Beirut due anni fa, a quest'ultima imputazione è stata adottata dal consiglio dei ministri libanese il 4 agosto scorso e la comunicazione formale è stata trasmessa il 22 agosto alla Procura generale di Palermo. Il processo è stato dunque rinviato a domani quando, oltre a Saverio Lodato, saranno sentiti il capitano Angeli, il maresciallo Tommaso Lanzilao e Vittorio Angotti. Il controesame di Saverio Masi, invece, è stato rinviato al 15 settembre.

Foto © ACFB

Dossier Processo trattativa Stato-Mafia

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