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ciancimino proc trattativaSul terzo soggetto però, si “avvale della facoltà di non rispondere”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu

"Oltre a Mancino e Rognoni che erano i soggetti indicati dal signor Franco (agente dei servizi secondo Massimo Ciancimino, ndr) e dai carabinieri come coloro che avrebbero garantito fattibilità alle richieste di Riina per porre fine alla strategia stragista, c'era anche un terzo nome. Io però non lo voglio dire, mi avvalgo della facoltà di non rispondere su questo punto, preferisco non rispondere a questa domanda perché ho imparato la lezione”. Il riferimento a questo ulteriore soggetto è inserito nei documenti sequestrati in carcere a don Vito nel 1996. Il pm Di Matteo ha letto in aula il passaggio in cui l’ex sindaco mafioso scrive: “Se avessi fatto parte di un’associazione mafiosa non avrei potuto ipotizzare quella collaborazione fatta con i carabinieri (uomo politico investiti) perché sarei stato costretto a dire il nome come ho detto durante la trattativa sia al colonnello Mori e che al capitano De Donno”. Ancora una volta, dunque, Ciancimino padre riferisce in merito al dialogo avuto con gli ufficiali con il Ros utilizzando il termine trattativa, ma non è su questo che si concentrano le domande del pm, ma su quel nome dell’uomo “politico investito” per cui “sarei stato costretto a dire il nome come ho detto durante la trattativa sia al colonnello Mori che al capitano De Donno”. “Sì lo abbiamo commentato” ha detto Ciancimino in aula. E dopo aver ricordato in un primo momento che il padre aveva scritto i nomi di Mancino e Rognoni, sull’insistenza del pm Di Matteo che ha sottolineato come, in base a quanto scritto, qui sembrerebbe parlare di un altro soggetto, il teste-imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere. “E’ chiaro che sui nomi dei politici fatti nelle nostre discussioni si parlava. E che erano anche altri i terminali della trattativa. Ho un’idea di chi possa essere ma non è che posso continuare ad accusarmi”. A quel punto Di Matteo ha chiesto: “Ma suo padre le fece un altro nome?”. “Sì” ha risposto Ciancimino jr. Su chi sia questo nome però è rimasto in silenzio mentre ha confermato che quel nome fu fatto ai carabinieri.


Stato-mafia, Ciancimino jr: "Do ut des tra mio padre e De Gennaro"
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
Tra don Vito e De Gennaro, ha riferito Massimo Ciancimino al processo trattativa Stato-mafia, "c'era grande astio, ma di contro mio padre veniva sempre invitato a continuare i rapporti, sia dal signor Franco che dal conte Romolo Vaselli (amico di De Gennaro, ndr). Quando si parlò dell'arresto di mio padre Vaselli mi disse che gli era stato detto di mettersi da parte ma che aveva voluto tirare troppo la corda".
I primi rapporti tra Ciancimino sr e De Gennaro risalgono, ha raccontato il teste, "al giugno/luglio 1984. Grazie ad una segnalazione di Vaselli su un'inchiesta giudiziaria che stava coinvolgendo mio padre e le società a lui legate ci attiviamo per cambiare i libretti al portatore, fittiziamente intestati a Vaselli e monetizzati con l'aiuto di De Gennaro, poi il contante portato in Svizzera". In queste occasioni, ha aggiunto Ciancimino, De Gennaro "forniva a Vaselli i nomi dei funzionari di banca ai quali rivolgersi". Il rapporto tra don Vito e De Gennaro era "un do ut des, l'uno sapeva di fare da informatore all'altro, ma il tramite era sempre Vaselli, socio fittizio di mio padre. Loro due non potevano incontrarsi direttamente perché entrambi troppo conosciuti".


Stato-mafia, Ciancimino jr: "Mio padre non aggiunse 'De Gennaro' davanti a me alla lista"
La ritrattazione sul documento per il quale è imputato: "Seguivo indicazioni, pacchetto completo da dare a Procura"
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
"Non è vero che mio padre scrisse 'De Gennaro' e cerchiò il nome 'F/C Gross' davanti a me. Stavo avallando i consigli del signor Rosselli (amico di don Vito e appartenente ai Carabinieri, ndr) per spiegare la natura dei rapporti tra mio padre e De Gennaro e sollevare dalle responsabilità i Carabinieri e i reali artefici della trattativa, della regia delle stragi". Massimo Ciancimino, al processo trattativa Stato-mafia, ha ritrattato quanto disse durante l'interrogatorio datato 15 giugno 2010, quando raccontò ai pm dell'elenco di nomi "che appartenevano alla grande architettura, a chi insieme a mio padre aveva manovrato la storia dell'ultimo ventennio. Appartenenti al quarto livello. Mio padre disse che se avessi fatto quei nomi sarei stato preso per pazzo e la mia vita sarebbe stata a rischio". In quell'occasione il teste aveva detto che, davanti ai suoi occhi, Vito Ciancimino aveva cerchiato il nome "Gross" e aggiunto il nome "De Gennaro", collegando con una freccia il primo al secondo. "Ho detto consapevolmente un fatto non vero e me ne assumo la responsabilità - ha asserito Ciancimino - mi è stato confezionato un pacchetto completo da Rosselli, mi aveva raccontato questo episodio e che queste spiegazioni le dovevo riferire alla Procura". Proprio per questo documento Ciancimino fu arrestato nel 2011 dalla procura di Palermo in quanto giurava che il foglio fosse stato redatto dal padre in persona mentre poi le perizie dimostrarono come quel foglio fosse falso.
Il teste ha chiarito subito dopo che "nel 2000 io prendo atto di una serie di documenti dove mio padre mi riferisce e mi mostra quello che era il ruolo di De Gennaro svolto in questa vicenda, il suo essere doppiogiochista. Io gli dico 'è in questa cerchia De Gennaro?'", lui mi rispose di sì, che andava messo. Mio padre definiva De Gennaro integrante al sistema di potere del quarto livello. Io avevo un numero di De Gennaro ma non sono sicuro di aver parlato sempre con lui. Non ho contezza della sua voce nè l'ho mai incontrato".
Sul personaggio che rispondeva al nome "Gross", ha continuato Ciancimino, "mio padre mi disse che anche io lo incontrai in occasione di un appuntamento all'interno dell'ambasciata presso la Santa Sede, anche se io non ne ho contezza. Gross era un uomo di ponte tra Italia, America e Santa Sede".


Stato-mafia, Ciancimino jr: “Piano politico descritto da mio padre era il dar vita a nuova coalizione”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
In un altro passaggio dei manoscritti di don Vito Ciancimino, letti oggi in aula, si fa riferimento chiaro ad alcuni passaggi finali di quel dialogo con i carabinieri (consegna di carte integrative con le indicazioni per catturare Riina) ed anche ad un “piano politico”. “Il piano politico era quello di dar vita ad una nuova coalizione - ha detto Massimo Ciancimino - Mio padre aspirava di farne parte. Ne parlammo nel 1999-2000. E i carabinieri erano informati del fatto che lui sarebbe sceso a Palermo per parlare con Provenzano sia per il discorso delle mappe che per parlare del progetto politico. Se non fosse stato arrestato, con la storia del passaporto, mio padre avrebbe continuato il rapporto in Germania. Perché dopo l’arresto di Riina mio padre si doveva incontrare anche là con Provenzano”. In quel documento di fa anche riferimento ad un arresto che avrebbe fatto saltare tutto Ciancimino ha spiegato che il riferimento non è all’arresto del boss corleonese, Riina, ma a quello del padre nel dicembre 1992. Non solo. Il presidente Montalto ha fatto notare che vi sembra essere un contrasto sul fatto che il padre si sia dato dei meriti sull’arresto di Riina stesso in quanto si parla di “assenza di risultati”.
“L’arresto di cui parla è quello suo, riferito a mio padre - ha detto Ciancimino -  L’assenza di risultati è riferito al fatto che mio padre non ha più ottenuto nulla ed anzi, dopo la vicenda del passaporto, è arrivata la custodia cautelare che assolutamente non si aspettava”. Ciancimino ha infine ribadito che tra i carabinieri ed il padre c’era la direttiva di non riferire sul ruolo di Massimo nella vicenda della trattativa. “Dalle versioni ufficiali - ha detto - io dovevo restare fuori. Era a mia protezione”.


Stato-mafia, nelle carte sequestrate a don Vito nel ’96 si parla di trattativa
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
Nelle carte sequestrate nella cella di Rebibbia a Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo, si parla in maniera chiara ed esplicita di trattativa, ben prima che Brusca parlasse per la prima volta del papello. Di quei documenti, oggi, il pm Di Matteo ha chiesto l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento e su alcuni di questi ha fatto oggi delle domande, per la prima volta, a Massimo Ciancimino. In uno di questi vi sono riferimenti ad agevolazioni non avute, vi è scritto un nome (Giuseppe), e sul fatto che “giudici e carabinieri sapevano che non volevo fuggire e che ero in possesso di carta d’identità valida per l’espatrio”. Ciancimino in merito ha ricordato che “il Giuseppe a cui si fa riferimento è De Donno e le promesse erano fatte sulla consegna di Riina ai carabinieri. Mio padre chiede il passaporto perché sono i carabinieri a dirgli di chiederlo, anche se aveva quel documento. Mio padre veniva invogliato ad andare avanti dalle promesse di riavere i beni che erano stati sequestrati. Di fatto si rimarca l’anomalia. Tutti sconsigliavano di chiedere quel passaporto eppure a mio padre faceva gola, tanto che lo chiese anche al signor Franco. Mio padre lo doveva fare anche se nessuno lo riteneva opportuno”.  
Nel documento di don Vito si fa anche riferimento al fatto che l’ex sindaco si doleva del fatto che il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi (oggi deceduto) all’epoca non parlava della trattativa. “Sul documento - ha detto Ciancimino jr - mio padre mi disse mio padre che di questa trattativa ne erano a conoscenza le istituzioni ed i massimi vertici di Cosa nostra, quindi se lui faceva parte della Cupola si domandava perché omettesse la trattativa. Mio padre additava tante collaborazioni che secondo lui erano oggetto del vaglio delle limitazioni di uomini delle istituzioni. Non so però se sapesse chi gestiva Cancemi in quel periodo”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Mio padre doveva incontrare Provenzano in Germania''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu

Sono numerosi i documenti presentati oggi in aula durante l’esame del teste-imputato Massimo Ciancimino, al processo trattativa Stato-mafia. Il pm Nino Di Matteo ha chiesto dei chiarimenti su un appunto, consegnato alla Procura dallo stesso Ciancimino e che le perizie hanno dimostrato essere del padre, in cui è scritto: “un fatto importantissimo, che da solo sta a dimostrare la mia posizione personale nei confronti del fenomeno  mafioso è quello che io ho aderito all'invito dei Carabinieri, colonnello Mori e capitano De Donno, di collaborare con loro. Questa collaborazione che si stava dimostrando foriera di buoni risultati, è stata interrotta dall'arresto del 19 dicembre 1992. L'arresto è stato giustificato con il pericolo di fuga, perché avevo chiesto il passaporto alla Questura di Roma, mentre, come risulta dal verbale di interrogatorio del dottore Caselli, Procuratore Distrettuale di Palermo, il passaporto era stato chiesto alla Questura, con il pieno accordo dei Carabinieri, che hanno sottoscritto il verbale del Procuratore Distrettuale Caselli". Un documento in cui, dove si parla del passaporto, tra parentesi, c’è la parola “Binnu” e, dopo, anche la parola “repetita iuvant”. Un testo che poi sarà in parte presente (mancherebbe la parola “Binnu”) nel manoscritto sequestrato il 3 giugno 1996 all’interno della cella di Vito Ciancimino, intitolato “Paradigma di una collaborazione”. “Quella dicitura - ha detto oggi Ciancimino jr - non venne probabilmente messa perché mio padre non avrebbe mai tenuto con sé in carcere un riferimento così diretto a Provenzano. Binnu era il modo con cui, in confidenza veniva chiamato. E’ accanto al passaporto perché Provenzano era stato informato di questa richiesta fatta e perché poi era previsto un viaggio in Germania per incontrare lo stesso”. Sul significato di “repetita iuvant” Ciancimino ha detto di non ricordare nello specifico ma che la stessa “voleva essere una forma velata di minaccia, lui lo diceva per indicare che di questo aveva parlato più volte”.
Ciancimino ha poi risposto alle domande del pm Di Matteo (oggi rappresentante dell’accusa
assieme a Francesco Del Bene) sulla scritta presente in una fotocopia del capitolo di un libro di Lino Jannuzzi (dove si parla di Riina) e in cui don Vito scriveva “il falso è chiaro e lampante”. “Il falso è nel merito della ricostruzione che Jannuzzi fa degli incontri tra mio padre ed i carabinieri. Una ricostruzione concordata con gli stessi ufficiali dell’arma per spostare il tutto a dopo la strage di via d’Amelio ma di fatto è smentita dallo stesso De Donno” ha ricordato in aula Ciancimino jr. E poi ha aggiunto: “Il rapporto tra mio padre e Jannuzzi era molto stretto - ha detto Ciancimino -, lo chiamai nel periodo in cui c'erano delle indagini su di me. Una volta, addirittura lo incontrai in Francia, quando mi ero recato a recuperare il cosiddetto papello. Lui mi chiamò e mi chiese se poteva vederci in un bar a Saint Germain. Non mi ricordo come fosse informato che io mi trovavo la, se gliel’avessi detto io o meno. In quell’incontro mi disse che non era corretto nei confronti della memoria di mio padre e delle sue volontà l'atteggiamento che avevo preso e la strada avviata di collaborazione e di incolpare i carabinieri”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Lettera a Dell'Utri e Berlusconi per rispettare impegni''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu

“...Posizione politica, intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento, Onorevole Berlusconi, vorrà mettere a disposizione una sua rete televisiva.”. E' uno dei documenti (una lettera di Provenzano a Marcello Dell'Utri, e per conoscenza anche a Berlusconi, datata aprile '94) esaminati nel corso della testimonianza di Massimo Ciancimino al processo trattativa Stato-mafia. E per "triste evento", ha specificato il figlio di don Vito, "era il rapimento o inerente a qualcosa sul figlio di Berlusconi". Gli appunti, ha chiarito il teste, furono a lui consegnati "per farli leggere a mio padre... che lui li correggesse e vedesse e per poi restituirli, per stimolare il Presidente del Consiglio Berlusconi appena eletto a rispettare impegni presi e non mancare a certe promesse".
"Berlusconi - ha continuato Ciancimino - si faceva mettere “in sacchetta” da quellli che erano gli attacchi e la forza del partito comunista, stava cedendo un po' alle esigenze", per questo era necessario "richiamare Berlusconi ai suoi ranghi".
Ma perchè portare la missiva a Vito Ciancimino? "Era come un coinvolgerlo e non lasciarlo escluso. - ha spiegato il figlio in aula - Lui era adirato con la storia passaporto e della palese sostituzione". Quel documento è stato rinvenuto solo in parte, durante la perquisizione nell'abitazione all'Addaura. "Dovevano esserci tutte" ha replicato Ciancimino, parlando delle pagine del documento.
"Berlusconi stava mancando e non stava rispettando i patti" ha ribadito Ciancimino. E l'obiettivo era "la continuazione di quella che mio padre chiamava trattativa".