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ciancimino aulabunker ucciardone 2di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Al processo trattativa la deposizione dell'avvocato Mariani e dell'assistente di polizia Cuccio.

Palermo. In attesa che la prossima settimana si concluda l'esame di Massimo Ciancimino, teste ed imputato al processo trattativa Stato-mafia, oggi innanzi alla Corte d'assise si è proceduto con l'audizione di due testi in grado di fornire alcuni dettagli importanti su quanto riferito dal figlio di don Vito nelle scorse udienze: l'avvocato Marco Simone Mariani e l'assistente di polizia Angela Cuccio.
Indubbiamente le vicende che hanno visto protagonista Ciancimino jr spesso non sono facili da ricostruire, ma non mancano i casi in cui le dichiarazioni vengono supportate da documenti scritti che inevitabilmente aprono a scenari quantomeno inquietanti. Che vengono ulteriormente delineati dalle odierne testimonianze, a dir poco reticenti.

Lettera-testamento
Sotto la lente di ingrandimento finisce quella sorta di “lettera-testamento”, firmata da Massimo Ciancimino, in cui il rampollo di don Vito autorizza, in caso di una sua “prematura scomparsa”, un suo avvocato di fiducia, Marco Simone Mariani, a far consultare il manoscritto del padre ed alcuni allegati.
Ed è proprio su questa “lettera-testamento” che l’avv. Mariani viene sentito oggi in aula anche perché nel documento, datato 3 aprile 2006, oltre al suo nome è riportata anche la propria firma.
E' lo stesso avvocato a leggerlo in aula:
“Io sottoscritto Massimo Ciancimino, nato a Palermo il 16-02-1963, residente in Roma, via San Sebastianello nr.9, con la presente autorizzo l’avvocato Marco Simone Mariani, mio legale di fiducia, a consegnare il manoscritto di mio padre e relativi allegati e titolato A Vito Ciancimino, in ipotesi di mia prematura scomparsa e a farlo consultare in sua presenza a farne copia di parti che riterrà più opportuno, al sig. Francesco Viviano, nato a Palermo, il 26-02-1949, unica persona di mia fiducia oltre al mio legale. Certo di un corretto uso del materiale relativo alle vicissitudini di mio padre e agli anni ed episodi descritti nello stesso.Il sottoscritto avvocato, dichiara di ben conoscere il luogo dove è custodito il detto manoscritto e di eseguire la volontà dello stesso essendo l’unico autorizzato alla gestione dello stesso”.
Nonostante Mariani riconosca la propria firma e la carta intestata del proprio ufficio, rispondendo alle domande dei pm Vittorio Teresi e Nino Di Matteo, lo stesso sostiene di non aver mai saputo dove quelle carte (dal manoscritto di don Vito al papello, ndr) fossero conservate. “Io mi trovai a scrivere questa carta su richiesta di Ciancimino - ricorda il legale in aula - Con lui si era creata una certa confidenza con un rapporto iniziato principalmente per affari (la stipula di un contratto per l'acquisto di gas e prodotti petroliferi da una società russa per cui Mariani lavorava, ndr) ma non sono mai stato l'avvocato della famiglia Ciancimino. Lui mi aveva raccontato le sue vicissitudini. Non ricordo se lo scrissi io o mi chiese di firmarlo, certo era che io non avevo contezza della consistenza della documentazione. Mi disse solo che a tempo debito avrei saputo certe cose. Io neanche conoscevo tale Francesco Viviano, sapevo solo che era un giornalista. I documenti? Non sapevo dove fossero, né conoscevo chi li conservasse”. A questo punto è inevitabile che scaturiscano domande spontanee. Perché decise di firmare un documento in cui si attestava come legale di fiducia? Perché nella lettera certifica di conoscere il luogo dove manoscritti ed allegati erano nascosti? A tali domande l'avvocato non riesce però a dare una risposta certa. “Ricordo solo che Ciancimino era molto preoccupato, più del solito, e pertanto mi chiese questo aiuto - aggiunge - Io forse, anzi sicuramente fui superficiale. Da lì a poco il mio ufficio subii anche una perquisizione dei finanzieri a cui parteciparono anche i magistrati. Io non so se fosse questo a preoccupare Ciancimino. Quando chiedevo lui mi teneva fuori rassicurandomi dicendo che si sarebbero sistemate le cose. Io consegnai i faldoni su questo affare del gas che poi non si concretizzò. Io chiesi sicuramente spiegazioni e lui si scusò con me anche”.
Tra contestazioni e dubbi (in aula il teste asserisce di non riconoscere la battitura del testo mentre in passato non aveva mai sollevato dubbi sul fatto) restano enormi quesiti come ad esempio sul perché non avesse tenuto una copia del documento. “Mi fu detto che era solo al fine di presentare questa certificazione al giornalista, come a dire che la cosa era seria - ribadisce Mariani -. Secondo quanto mi era stato detto sarebbe stato poi distrutto”. Il documento, però, in qualche modo è rimasto intatto e conferma alcuni elementi raccontati dallo stesso Ciancimino in passato.

Scambio di favori?
Altro tema affrontato in aula è poi quello del tentativo di acquisizione del passaporto, da parte di Massimo Ciancimino, per il figlio appena nato Vito Andrea. A parlare della questione è l'Assistente di Polizia di Stato Angela Cuccio, ex moglie di un amico d'infanzia dello stesso Ciancimino, Massimo Pocorobba  (all’epoca socio dell’ex moglie di Ciancimino jr, Carlotta Messerotti). La Cuccio racconta di aver avuto alcuni anni di frequentazione con il figlio dell'ex sindaco di Palermo. Un esame, quest'ultimo, particolarmente sofferto e che diventa in poco tempo rappresentazione dell'assurdo (la stessa teste dichiara di non aver saputo al tempo chi fosse Vito Ciancimino oltre al dato che era “ex sindaco di Palermo”, ndr) fatto di non ricordo, considerazioni non richieste e circostanze poco chiare a cominciare dalle modalità che portarono al trasferimento della stessa dal Commissariato di Vittoria, nel ragusano, a Palermo. “Massimo Ciancimino lo conosco nell'estate 2003 - racconta - io lavoravo al commissariato di Vittoria e in quella occasione, ci trovavamo al mare, lui mi chiese se avessi voluto rientrare a Palermo. Io risposi di sì ma che ancora non avevo maturato i termini per il trasferimento che poi avvenne nel 2004”. Prima di allora, però, la donna aveva presentato una richiesta di “aggregazione”, rappresentando lo stato di malattia del padre, per un qualsiasi reparto nel Capoluogo siciliano. La Cuccio in un primo momento non ricorda se fu lo stesso Ciancimino a suggerire le modalità per presentare la domanda poi, su contestazione del pm, conferma quanto ribadito in un verbale del gennaio 2011 quando disse di aver percepito che Ciancimino jr aveva “conoscenze altolocate” e che in un “incontro specifico mi suggerì di chiedere l'aggregazione alla questura di Palermo”. In quelle occasioni il figlio di don Vito chiese alla donna anche se le sarebbe piaciuto lavorare all'aeroporto, ottenendo ugualmente una risposta affermativa. Ed è a questo punto che iniziano alcune coincidenze anomale. La Cuccio presenta domanda per l'aggregazione in data 16 ottobre 2003 senza allegare contestualmente la documentazione medica relativa allo stato di salute del padre, necessaria per ottenere il riavvicinamento a Palermo (documentazione che l’agente di polizia asserisce aver presentato successivamente, ndr). La risposta arriva, a tempo record, il 24 ottobre con l'aggregazione che viene “accolta con effetto immediato” presso la Polizia di frontiera dello scalo aereo di Palermo. Documenti che la stessa donna ha consegnato alla Procura, nel febbraio 2011, ma di cui oggi ricorda poco o nulla. Di ogni passo l'Assistente di polizia informa Massimo Ciancimino fino a ringraziarlo. “Io non so se l'aggregazione è arrivata grazie a Massimo Ciancimino o meno. Se l'ho ringraziato non lo ricordo, probabilmente sì, se l'ho detto nel verbale non lo smentisco”.

Dall'aggregazione al passaporto
Secondo l'accusa Ciancimino si sarebbe quindi adoperato in prima persona per favorire quel trasferimento sfruttando quelle che erano le sue conoscenze. Nel tempo, poi, ci sono stati altre “cortesie” tra i due. “Una volta - ricorda la stessa assistente di Polizia - doveva partire assieme ad una persona anziana. L'interpista era pieno e anche se non si poteva fare io ed un collega li prendemmo sottobordo dandogli uno strappo di venti metri fino a dove scendevano i passeggeri. Poi allora non è che Massimo Ciancimino si conoscesse... In un'altra occasione, quando già non lavoravo alla Polaria, mi avvisò dell'arrivo di un importante personaggio americano che avrebbe voluto evitare i controlli all’aeroporto di Palermo, preferendo farli a bordo del suo aereo privato. Mi chiese se era possibile e gli risposti che doveva chiamare all'ufficio aeroportuale”.
Decisamente più complessa fu la questione del passaporto per il figlio che era appena nato. “Lui - ricorda la Cuccio - mi chiama e mi chiede come poteva fare. Io risposi di andare in Questura e di fare tutto là. Sapevo che i passaporti dei bimbi piccoli dovevano andare con quello dei genitori. Lui mi risponde 'va bene, allora chiamo De Gennaro'”. In realtà nel gennaio 2011 la stessa aveva aggiunto anche un dettaglio, ovvero di aver personalmente telefonato all'ufficio passaporti con la collega che rappresentò qualche difficoltà, dovuta ai controlli, in quanto la persona richiedente aveva un nome “ingombrante” come quello di Ciancimino. Quindi, una volta richiamato il figlio di don Vito e spiegato il problema lo stesso avrebbe risposto che si sarebbe rivolto all'ex Capo della Polizia. Rispondendo alle domande del pm Di Matteo la donna conferma quanto detto nei precedenti interrogatori ed aggiunge di non essersi posta il problema di un contatto così diretto con De Gennaro: “Io avevo percepito che aveva conoscenze altolocate ma non c'era niente di appurato. Io dentro di me rimasi sorpresa ma potevo immaginare che era nella possibilità di poterlo fare”.
Un elemento, quello del possibile coinvolgimento dell'ex capo della Polizia per il rilascio del passaporto del figlio, di cui avrebbe parlato anche l'ex moglie di Ciancimino, Carlotta Messerotti presentatasi nel marzo 2011 in Procura.

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