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mori mario c ansa 2di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari 

Dichiarazioni spontanee dell'ex generale. Ma i fatti restano

“Alfonso Sabella nella sua deposizione ha fatto una serie di affermazioni con accuse per lo più generiche, ma soprattutto nessuna delle quali è stata in qualche modo documentata mentre Violante sapeva del rapporto confidenziale avviato con Vito Ciancimino”. Con queste parole stamattina il generale Mario Mori, co-imputato al processo trattativa Stato-mafia, interviene in poco meno di un'ora con le sue dichiarazioni spontanee. Un'autodifesa volta ad allontanare qualsiasi dubbio e circostanza sul proprio operato che a suo dire si evincerebbe da quel suo “non nascondersi” dietro al segreto di Stato. Eppure i fatti restano così come gli episodi su cui porre più di un'interrogativo. 
Mori attacca l'ex pm Sabella su quanto riferito alla deposizione resa lo scorso 8 gennaio, in particolare su quell'idea del pm di Firenze Gabriele Chelazzi, morto nel 2003, di iscrivere Mori nel registro degli indagati. Secondo l'ex ufficiale del Ros Chelazzi “non solo in sedi ufficiali con atti formali, ma anche con dichiarazioni agli organi di stampa, non ha mai fatto riferimento, nemmeno indirettamente, alla mia persona. E così si sono regolati, per quanto mi è dato conoscere, anche altri magistrati”.
Eppure Sabella sul punto è stato chiaro in più di un'occasione. “L'aspetto tecnico (e non solo tecnico) di iscrivere Mario Mori per favoreggiamento verteva su una domanda specifica: l'avrebbe fatto per favorire la mafia o l'avrebbe fatto sostanzialmente per favorire la pacificazione nello Stato? Gabriele Chelazzi giustamente sosteneva di volerlo appurare da Mori e a tal proposito ribadiva: 'Mi venga a dire perché l'avrebbe fatto oppure invochi il segreto di Stato, e in questo caso che venga un Presidente del Consiglio a porre il segreto di Stato'”. Era il 14 novembre 2009 quando l'ex sostituto procuratore di Palermo, Alfonso Sabella, rispondeva così in una lunga intervista pubblicata sul nostro sito. “Io continuo a pensare che il gen. Mori sia un uomo dello Stato – ci aveva spiegato Sabella –. Ha agito in virtù di quello che lui riteneva essere l'interesse superiore del Paese, secondo disposizioni avute dai vertici governativi dell'epoca”.
Di fatto a un certo punto le indagini dell'ex pm Gabriele Chelazzi si erano incrociate con l'ex generale dei Ros, Mario Mori, poi poco prima di morire, lo stesso magistrato fiorentino aveva scritto una lettera all'ex procuratore di Firenze Ubaldo Nannucci lamentando di essere stato lasciato solo a investigare sulle stragi. “All'epoca io non ero formale assegnatario del processo sulle stragi – aveva sottolineato l'ex pm di Palermo ai nostri microfoni –, però con Gabriele ci confrontavamo spesso. Gabriele iscrisse Mori nel registro degli indagati per favoreggiamento in relazione alla vicenda della fase della trattativa che doveva portare alla revoca di alcuni 41 bis alla vigilia delle stragi in contemporanea con il fallito attentato all'Olimpico”. Al processo di primo grado per la mancata cattura di Provenzano lo stesso Sabella aveva espressamente approfondito questo specifico punto. 
Rivolgendosi alla Corte presieduta da Alfredo Montalto, Mori prosegue quindi la propria autodifesa rispetto all'accusa, espressa da Sabella, sui “ritardi del Ros” nella cattura di Farinella arrestato dall'Arma il 29 novembre 1994 nell'ambito dell'operazione diretta contro le famiglie mafiose delle Madonie. “Sabella - sostiene Mori - diceva di non voler lavorare con noi perché diceva di non venire tempestivamente informato sulle attività di indagine (quella sulla cattura di Farinella, la cui inchiesta era coordinata dallo stesso Sabella, ndr) -. L' intervento del Ros e in particolare della sezione comandata dall'allora capitano Sergio De Caprio (Ultimo, ndr) fu richiesto dal capitano Salsano, allora comandante di Cefalù, che interessò direttamente il collega, non avendo in quel momento, per sua affermazione, personale tecnicamente idoneo a sviluppare operativamente le notizie di cui disponeva sul latitante. Quindi- ha detto l' ex generale - non ci fu nessun ritardo del Ros nelle operazioni di cattura di Farinella. La competenza e la responsabilità dell'indagine non era attribuita al capitano De Caprio, che svolgeva, nella circostanza, una mera funzione di supporto operativo all'Arma territoriale. Infatti, fu la Compagnia di Cefalù che redasse tutti gli atti connessi alla cattura del latitante”. Come a dire: la responsabilità ad informare non era del Ros. Certo, così come non era responsabilità del Ros informare la Procura che le telecamere in via Bernini erano state spente poche ore dopo l'arresto di Riina (gennaio 1993), o sulle attività d'indagine svolte dopo l'incontro tra Ilardo e Provenzano il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso, o su cosa stesse accadendo a Terme Vigliatore, nell'aprile 1993, quando non fu catturato l'allora latitante Benedetto Santapaola!

Violante e l'audizione di Ciancimino
Ma l'ex generale fornisce anche una sua interpretazione dei fatti sul dialogo avuto con Luciano Violante, rispetto alla realizzazione di un colloquio con Vito Ciancimino. L' ex presidente della Camera aveva dichiarato di avere saputo da Mori che l' ex sindaco mafioso di Palermo, nel 1992, avrebbe voluto essere ascoltato dallo stesso Violante, ai tempi presidente della Commissione, ma “da solo”. Per Mori invece “Quella richiesta era rivolta a tutta la Commissione antimafia, non solo a Violante”. E poi aggiunge: “Lo vidi quattro volte, tra agosto e novembre del 1992, e gli riferii in più fasi che avevo iniziato un rapporto confidenziale con Ciancimino che mi aveva espresso la richiesta di essere sentito dall'Antimafia senza condizioni e gli parlai anche di un libro che l'ex sindaco aveva scritto. Violante mi chiese se avevo avvisato l'autorità giudiziaria e io gli risposi di no, perché, visti i contrasti sorti con la Procura per l'indagine mafia-appalti, mi riservavo di farlo dopo l'insediamento del nuovo procuratore, previsto di lì a poco. Lui non replicò. Ne dedussi che approvava”. Davvero l'ex Presidente della Commissione antimafia approvava quel colloquio tra Ros e don Vito? La versione dell’ex politico all'udienza del 18 dicembre scorso è piuttosto contrastante: “Ricordo che nell'ottobre '92 Mori mi disse che Ciancimino intendeva avere un colloquio riservato con me, dissi che non facevo colloqui riservati e che doveva presentare domanda alla commissione. Questo sicuramente prima del 20 ottobre. Mori mi dice che Ciancimino vuole parlare della questione dell'omicidio Lima, che avrebbe chiesto qualcosa, e aggiunse che aveva scritto un libro sulla mafia e se io ero disponibile a leggerlo”. Un libro che lo stesso Mori aveva consegnato a Violante qualche giorno dopo per un secondo incontro. “In questa occasione – aveva ricordato Violante dopo una contestazione del procuratore aggiunto Vittorio Teresi - credo che mi fu detto che Ciancimino rinunciava al colloquio diretto con me. Aspettai che arrivasse una cosa formale, la lettera di Ciancimino, e poi informai la Commissione. Nel terzo incontro invece mi chiese del libro. Dissi che lo ritenevo inutile. Non si parlò di nulla di rilevante e non si insistette per il colloquio riservato anche se disse che si era persa un'occasione”. In quell'udienza era stata focalizzata l'attenzione sulla mancata comunicazione del dialogo aperto dal Ros con l'ex sindaco di Palermo all'autorità giudiziaria. “Io stesso chiesi se fosse stata informata – aveva quindi sottolineato l’ex politico Pc – Mi disse di no perché si trattava di una 'questione politica' ma anche che comunque si sarebbe avvalso dell'articolo 203 del cpp, quello relativo agli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. La natura degli incontri Mori-Ciancimino? Non lo so e non chiesi approfondimenti. Non era mio interesse”.
Infine Mori, decide di usare proprio la vicenda con Violante per dichiararsi estraneo rispetto alla trattativa Stato-mafia: “La dimostrazione dell'inesistenza, almeno per quanto mi riguarda, di una trattativa con Cosa nostra è rappresentata giá dall' esplicitazione dei miei incontri con Vito Ciancimino a persona terza, come l'onorevole Violante, come dallo stesso confermato in quest'aula - . Se, infatti, con questo termine (trattativa) si vuole intendere un contatto volto a stabilire inconfessabili accordi con una organizzazione criminale, essa presuppone il più rigoroso rispetto del segreto, in particolare con chi di questa ipotetica intesa è del tutto sicuramente inconsapevole ed estraneo, come appunto l'onorevole Violante”.
In risposta alle affermazioni di Mori sull'inesistenza della trattattiva basta riprendere lo stralcio della motivazione della sentenza della Corte di Assise di Firenze (1998) per le stragi del '93 a dimostrazione che a parlare per primi della trattativa Stato-mafia furono gli stessi Mori e De Donno, prima ancora dei pentiti o dei figli dei sindaci mafiosi. Il racconto di Mori sul suo dialogo con Vito Ciancimino, riportato nella sentenza, si commenta da solo. “Ma signor Ciancimino, ma cos'è questa storia qua? Ormai c'è muro, contromuro. Da una parte c'è Cosa Nostra, dall'altra parte c'è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente? La buttai lì convinto che lui dicesse: 'cosa vuole da me colonnello?' Invece dice: 'ma, sì, si potrebbe, io sono in condizione di farlo'. E allora restammo... dissi: 'allora provi'. E finì così il secondo incontro, per sintesi ovviamente”. (…) “Lui capì a modo suo, fece finta di capire e comunque andò avanti. E restammo d'accordo che volevamo sviluppare questa trattativa”. (…) “Si rividero, sempre a casa di Ciancimino, il 18-12-92. In questa occasione Ciancimino gli disse: ‘Guardi, quelli accettano la trattativa, le precondizioni sono che l'intermediario sono io - Ciancimino - e che la trattativa si svolga all'estero. Voi che offrite in cambio?’”. Nella motivazione della sentenza i giudici fiorentini erano stati chiarissimi: “allo stato, infatti, non v’è nulla che faccia supporre come non veritiere le dichiarazioni dei due testi qualificati sopra menzionati (Mori e De Donno, ndr), salvo alcune contraddizioni logiche ravvisabili nel loro racconto (non si comprende, infatti, come sia potuto accadere che lo Stato, ‘in ginocchio’ nel 1992 - secondo le parole del gen. Mori - si sia potuto presentare a ‘cosa nostra’ per chiederne la resa; non si comprende come Ciancimino, controparte in una trattativa fino al 18-10-92, si sia trasformato, dopo pochi giorni, in confidente dei Carabinieri; non si comprende come il gen. Mori e il cap. De Donno siano rimasti sorpresi per una richiesta di ‘Show down’, giunta, a quanto appare logico ritenere, addirittura in ritardo)”. (…) “Sotto questi profili non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di ‘trattativa’, ‘dialogo’, ha espressamente parlato il cap. De Donno (il gen. Mori, più attento alle parole, ha quasi sempre evitato questi due termini), ma soprattutto perché non merita nessuna qualificazione diversa la proposta, non importa con quali intenzioni formulata (prendere tempo; costringere il Ciancimino a scoprirsi o per altro) di contattare di vertici di ‘cosa nostra’ per capire cosa volessero (in cambio della cessazione delle stragi)”. 

Conclusa la deposizione, il pm Di Matteo ha contestato l'ammissibilità di alcuni allegati citati dal generale Mori ed allegati alle dichiarazioni spontanee. Sentite le parti il presidente della corte Alfredo Montalto si è riservato di rispondere. La prossima udienza è fissata per domani mattina quando a salire sul pretorio sará l'ex procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli.

Foto © Ansa