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Al processo trattativa Stato-mafia sentito anche il senatore Brutti

“Il mancato blitz a Mezzojuso nel 1995? Al tempo non venni informato. Luigi Ilardo? Appresi alla sua morte che si trattava della fonte del colonnello Riccio”. Parola di Giuseppe Pignatone, oggi Procuratore capo della Repubblica di Roma. E' una testimonianza particolarmente importante quella del magistrato, nei primi anni Novanta sostituto procuratore a Palermo che si occupò dell'indagine che avrebbe dovuto portare all'arresto di Provenzano ben undici anni prima rispetto alla cattura dell'aprile 2006. “Nel settembre 1994 l'allora Procuratore capo di Palermo, Gian Carlo Caselli, mi convocò nel suo ufficio - ricorda Pignatone rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo (rappresentante dell'accusa assieme al procuratore aggiunto Vittorio Teresi ed il sostituto Francesco Del Bene, ndr) - C'erano pure i vertici della Dia, da Pappalardo a Tomaselli, oltre a Giuseppe Cufalo, l'ex ex capocentro Dia di Palermo. Riccio mi venne presentato in quella occasione. Il senso del discorso era che la Dia nella sua massima espressione operativa, aveva svolto una attività di indagine con la Procura di Genova, basata sulla fonte che parlava con il colonnello Riccio che aveva portato alla cattura di latitanti. A questo punto, l'attività del colonnello Riccio, era mirata alla cattura di Bernardo Provenzano. Ricordo che furono anche mostrate delle lettere di Provenzano e fu prospettata anche l'ipotesi di catturare assieme Provenzano, Brusca e Bagarella, su cui ci stavamo concentrando”. E' così che fu riaperto un procedimento, documento mostrato nel corso dell'esame, nei confronti di noti, (l'indagine riguardava, Simone Castello, ndr) che avrebbe potuto portare proprio alla cattura del capomafia corleonese.

L'anomalia
Esponendo i fatti alla Corte, presieduta da Alfredo Montalto, Pignatone, pur ribadendo la difficoltà dovuta al riferire su fatti avvenuti nel tempo, riferisce che quell'indagine fu particolarmente “anomala” in quanto non era principalmente lui l'incaricato delle indagini su Provenzano: “Caselli mi disse che di questa indagine non dovevo parlare con nessuno, all'interno dell'ufficio, e riferire esclusivamente a lui. Di Provenzano ricordo che si occupavano Scarpinato e Natoli. Un giorno la collega Teresa Principato seppe che c'era del personale, o carabinieri o Polizia, in zona di Agrigento, di cui non sapeva nulla. E mi chiesi se stessi facendo indagini in quella zona. Io le dissi: 'Non ti offendere ma non ti posso dire nulla, parla con Caselli che ti dirà le indicazioni del caso'. poi non mi disse più nulla. Forse ne parlò con Caselli”. Ma certo non è questo l'unico aspetto “spigoloso” dell'intera vicenda.

L'incontro con Riccio il giorno dopo il mancato blitz
Rispetto a quanto riferito in aula lo scorso novembre dallo stesso colonnello Riccio il magistrato ricorda di aver parlato con l'ufficiale dell'Arma il primo novembre 1995 (ovvero il giorno successivo l'incontro tra Provenzano ed Ilardo) ma di non aver mai saputo nulla della possibilità di arrestare il boss corleonese a Mezzojuso. “Presi un appunto nel mio computer che ho rinvenuto soltanto anni dopo quando mi trovai a presentare una relazione al Procuratore capo Grasso, credo nel 2003, quando Riccio aveva raccontato del mancato arresto di Provenzano a Mezzojuso. Mi venne riferito solo che c'era stato un incontro a cui era andata la fonte, che si era incontrato con Nicola Greco e che c'erano buone possibilità di farcela, a prendere Provenzano, di lì a poco, probabilmente entro Natale. Praticamente erano le cose che Riccio ripeteva da tempo. Riccio mi disse anche che era rientrato nell'Arma”.
Altro aspetto delicato è il dato di fatto che l'incontro avvenne in un giorno festivo. Quando fu sentito al processo Mori, nel settembre 2009, Pignatone sostenne che fosse abbastanza normale vedersi con Riccio in un giorno festivo data la loro disponibilità lavorativa “24 h” e quindi non fu sorpreso della sua richiesta di appuntamento. Tuttavia non gli disse nulla di quanto avvenuto il giorno prima. Al contrario Riccio ha dichiarato che andò dal sostituto cui faceva riferimento proprio per rappresentargli l’accaduto. Possibile che il giorno dopo di quel mancato successo, di cui erano a conoscenza anche i vertici del Ros, il colonnello non ne avesse proferito parola? E come mai successivamente né Pignatone né nessun altro chiese conto degli elementi che furono raccolti e che poi furono inseriti nel 1996 nella relazione di servizio che raccontava nei dettagli di Mezzojuso?
Quel che appare evidente è che l'autorità giudiziaria non fu messa al corrente di tutte le attività che il Ros stava svolgendo con quell'operazione così come un dato certo è che Riccio, al tempo, era un aggregato e che si lamentava con lo stesso Pignatone che in aula ricorda: “Il colonnello veniva a riferire della gestione della fonte periodicamente. Si lamentava del fatto che le sue informative alla Procura venivano controfirmate o trasmesse con nota a firma del colonnello Obinu”. Rispondendo alla domanda del pm Di Matteo se fosse mai stato informato delle attività successive svolte di seguito alla data del 31 ottobre 1995 Pignatone ribadisce poi di non aver mai appreso nulla. “Se così fosse stato – ricorda - avremmo attivato una serie di indagini il più approfondite possibili”. Del resto in quel periodo era ancora vivo il ricordo di quanto avvenuto con la mancata perquisizione del covo di Riina, “una ferita che – a detta dello stesso Pignatone – ancora sanguina in Procura. E il rapporto con il Ros ebbe alti e bassi”.

Brutti e l'audizione di Ciancimino
A salire sul pretorio è poi stato il senatore Massimo Brutti, in passato componente laico del Csm ed anche della Commissione parlamentare antimafia. Ed è proprio del periodo vissuto durante questo secondo incarico che viene sentito: “Ricordo che nell'ambito dei lavori sui rapporti mafia-politica a seguito dell'ordinanza di custodia cautelare del delitto Lima in Commissione si parlò della possibilità di sentire Vito Ciancimino che tra l'altro l'aveva richiesto. C'era agli atti il suo libro che lessi con interesse perché c'erano riferimenti sui delitti di mafia con possibili coinvolgimenti di Servizi segreti e Gladio. Come vi era arrivato? Mi fu detto, credo da Violante, che lo aveva mandato lo stesso Ciancimino. Mori il tramite? Non ne so niente. Il mio parere era che Ciancimino dovesse essere ascoltato perché poteva fornire degli elementi importanti ma che prima si dovesse chiudere la prima parte della relazione dopo che sentimmo i pentiti”. Rispondendo al quesito sul perché non fu sentito Ciancimino il senatore non riesce a dare una spiegazione definitiva. Diversamente, interrogato sulle ipotesi relative alle stragi del 1993, risponde: “Ricordo un mio intervento nel settembre 1993 in Commissione sulla mafia in Puglia. Allora dissi che c'era uno scontro sul 41 bis dell'ordinamento penitenziario, sul carcere duro, che andava mantenuto, e su una serie di tentativi fatti per giungere ad un compromesso e ad un non rinnovo della sua applicazione. Da cosa maturava questo? Ricordo che all'interno del Dap c'erano tendenze nel dire di evitare ulteriori tensioni”. Brutti parla poi anche delle relazioni della Dia e dello Sco dell'agosto del 1993 e dell'audizione del pentito Annacondia, nel luglio dello stesso anno. “Mi colpì molto quell'esame perché fece riferimento proprio al 41 bis e all'intenzione che vi era nelle carceri di colpire i musei. Un dato che aveva detto di aver riferito tempo prima al Procuratore della Repubblica di Bari Maritati che però non aveva voluto verbalizzare. Questa vicenda però non fu mai approfondita successivamente”. Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 21 gennaio quando sarà ascoltata come teste la dottoressa Liliana Ferraro, mentre il giorno successivo sarà la volta di Gian Carlo Caselli.

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