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sabella alfonso 0di Aaron Pettinari
Riprende con il nuovo anno il processo trattativa Stato-mafia che vede alla sbarra i capimafia Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, l'ex senatore Marcello Dell'Utri, l'ex Presidente del Senato Nicola Mancino, gli ex vertici del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, il pentito di mafia Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino.
Di fronte alla Corte d'assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto dovrà testimoniare l'ex pm ed ex assessore alla Legalità del Comune di Roma, Alfonso Sabella.
In particolare dovrà riferire in merito alla conduzione, da parte del Ros dei Carabinieri, dell’attività investigativa finalizzata alla cattura di Provenzano, e sulla fazione di Cosa nostra riconducibile al boss corleonese, poi arrestato nel 2006, nel periodo in cui è stato pm della Procura di Palermo diretta da Gian Carlo Caselli. E' proprio dal 1993 che ha avuto una lunga serie di successi, insieme alle forze dell’ordine, soprattutto alla Polizia di Stato e alla Dia, catturando pericolosissimi latitanti come Leoluca Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca, Pietro Aglieri, Nino Mangano, Vito Vitale, Mico Farinella, Cosimo Lo Nigro, Carlo Greco, oltre che altre decine di capimandamento, killer stragisti e potenti uomini d’onore.
Nel settembre del 1999 si è poi trasferito a Roma, al ministero della Giustizia, come magistrato di collegamento con la commissione parlamentare Antimafia e nello stesso anno Caselli, diventato direttore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria: la direzione delle carceri, presso il ministero della Giustizia), lo chiamò come capo dell’ufficio ispettorato. Un ruolo che ha rivestito fino al 2001 quando è stato cacciato dal nuovo capo Giovanni Tinebra, dopo aver ostacolato le manovre per arrivare alla “dissociazione” dei boss detenuti.
Nel 2009, al collega Nicola Biondo, l'ex pm aveva ricordato quello scontro sul tema della dissociazione. L’ex sostituto procuratore di Palermo aveva ricordato che si trattava di “una vecchia idea” che era stata “suggerita a Provenzano”. “I mafiosi devono fare una dichiarazione in cui si arrendono ma non sono costretti a fare i nomi dei loro complici. In compenso escono dal 41 bis ed evitano qualche ergastolo”. Di fatto nel 2000 otto boss mafiosi tra cui Pietro Aglieri, Nitto Santapaola, Pippo Calò, Giuseppe Farinella e Piddu Madonia avevano fatto sapere che volevano dissociarsi chiedendo una sorta di legge ad hoc. Tuttavia di questa fantomatica “dissociazione” non se ne era fatto nulla. La cosa però si era riproposta di nuovo nel 2001 e questa volta a chiedere la dissociazione si erano ritrovate le varie mafie italiane: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. A fare da ambasciatore di una simile iniziativa era stato designato Salvatore Biondino, uomo di fiducia di Totò Riina, nonché capo mandamento di San Lorenzo, legato ai Servizi Segreti. “Pago la mia opposizione  - aveva precisato Sabella raccontando quanto da lui vissuto in quel periodo – e il mio ufficio viene soppresso proprio da Gianni Tinebra che intanto aveva sostituito al Dap Giancarlo Caselli. Molto tempo dopo si scopre, che il magistrato  che Tinebra ha messo al mio posto al Dap (Salvatore Leopardi, ndr) collaborava proprio con il Sisde di Mori nella gestione definita ‘anomala’ di alcuni detenuti e aspiranti collaboratori di giustizia (l’inchiesta riguardava le manovre al Dap per “orientare” e depotenziare, nel novembre del 2002, le rivelazioni del nuovo pentito Nino Giuffrè a proposito di Dell’Utri, ndr)”. Di fatto l'istituzione di quel “protocollo farfalla” su cui indaga oggi la Procura di Palermo. Un tema, quello degli ingressi nelle carceri da parte di funzionari dei Servizi senza che l'autorità giudiziaria fosse informata, che verrà probabilmente trattato nel corso del dibattimento.

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