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marino nicolodi Lorenzo Baldo
L'ex pm di Catania ricostruisce in aula quelle ingerenze mirate a colpire le rivelazioni di Ilardo

“E' stato un grande sgarbo istitizionale non informarci”. L'ex pm di Catania Nicolò Marino non usa mezzi termini all'udienza odierna del processo trattativa nel ricordare l'ingerenza del Ros – attivato su indicazione della procura di Genova –  che nel '97 aveva arrestato il colonnello dei Carabinieri Michele Riccio per le note vicende che lo riguardavano in alcune operazioni antidroga. Marino evidenzia quindi la gravità dei fatti: dopo l'arresto di Riccio era stata addirittura ipotizzata una perquisizione nelle abitazioni di due funzionari della Dia di Catania, Mario Ravidà e Francesco Arena, che all'epoca collaboravano con lui. Perquisizione che – per il fatto stesso di essere frutto di una decisione del tutto illegittima – era stata abortita sul nascere.  “L'attività di Riccio su Ilardo – sottolinea Marino al pm Roberto Tartaglia – inizia nel '94 e non poteva avere nessun legame con l'attività genovese di Riccio. Era ovvio che c'era una volontà di intromettersi (da parte del Ros, ndr). La vicenda di Genova viene condotta per fatti completamete slegati da quelli siciliani”. Marino parla esplicitamente di una “invasione di campo” da parte del Ros (e contestualmente dalla Procura di Genova) “percepita” come tale da lui e dai suoi colleghi etnei per i quali era del tutto evidente che la procura di Catania “non era stata rispettata”. Il motivo per il quale il Ros era entrato a pieno titolo in quella “accelerazione delle indagini genovesi” andando a colpire quelle siciliane appare alquanto evidente: delegittimare il col. Riccio e bloccare i possibili sviluppi della sua indagine collegata a Ilardo che andava a toccare i nervi scoperti di uno Stato-mafia. Certo è che durante la perquisizione a casa di Riccio il Ros aveva esplicitamente cercato, senza trovarle, le sue agende relative all'attività siciliana. Agende che erano state consegnate poi dalla moglie di Riccio al pm Marino nei giorni successivi. In aula il magistrato catanese ripercorre i binari della sua precedente deposizione al processo di primo grado per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso. L'ex pm, attualmente giudice al Tribunale di Roma, riconosce che il suo rapporto con Riccio “era di grande fiducia reciproca”. Uno dopo l'altro vengono quindi ripresi gli episodi salienti della (mancata) collaborazione di Luigi Ilardo. Marino ribadisce le rimostranze ricevute dal col. Riccio per il fallito blitz a Mezzojuso, per poi addentrarsi nel racconto dell'incontro a Roma del 2 maggio '96 tra Ilardo, Mori, e i magistrati Caselli, Pignatone e Principato. Davanti alla Corte presieduta da Alfredo Montalto vengono ugualmente affrontate le prime ipotesi che erano state fatte sul possibile movente dell'omicidio Ilardo. Riaffiorano così le dichiarazioni dei pentiti Giovanni Brusca ed Eugenio Sturiale recentemente confluite, assieme a quelle di altri collaborarori, in un processo che si sta svolgendo davanti alla Corte di Assise di Catania. In merito alle dichiarazioni del pentito Carmelo Barbieri Marino sottolinea infine che molto probabilmente lo stesso Barbieri “si è tenuto per sé qualche conoscenza sull'omicidio Ilardo”.
L'udienza è stata rinviata a domani con le deposizioni dei fratelli di Massimo Ciancimino, Giovanni e Roberto, e della loro madre Epifania Silvia Scardino.

Dossier Processo Trattativa Stato-Mafia

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