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canali-aula-bunker-bndi Lorenzo Baldo - 4 giugno 2015
La sua voce non tradisce alcuna emozione. I fatti vengono narrati quasi con distacco, e soprattutto sminuiti nella loro complessità. Eppure Olindo Canali è indubbiamente uno dei protagonisti del biennio giudiziario ‘92/’93, ma anche di un periodo precedente (e successivo). Basta riprendere alcuni passaggi della sua deposizione odierna per accorgersene. Canali racconta con molta nonchalance di una perquisizione nella casa milanese dell’ex avvocato Rosario Cattafi (condannato per associazione mafiosa), risalente all’84, e legata alle indagini sul sequestro di Giuseppe Agrati (un facoltoso industriale rapito nel ’75). In casa di Cattafi era stata ritrovata la rivendicazione dell’omicidio del giudice Bruno Caccia inizialmente collegata alle Br. Solo successivamente quell’omicidio si era scoperto riconducibile ai calabresi (e ai catanesi). Di quella rivendicazione, però, non era mai stata trovata alcuna traccia nei fascicoli sull’omicidio del magistrato piemontese. Dal canto suo Canali aveva già confermato anni addietro agli inquirenti questo “dettaglio”. Che era emerso grazie ad un’intercettazione telefonica nella quale lo stesso Canali (all’epoca indagato) aveva raccontato quell’episodio allo scrittore Alfio Caruso. In aula questo aneddoto scivola via senza troppa enfasi. Ma del resto l’ex sostituto procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto riassume in maniera alquanto scarna i motivi per i quali era stato condannato in primo grado per poi essere assolto in appello e successivamente in Cassazione. Il giudice Canali evita quindi di raccontare di essere stato l’autore di quella missiva anonima che lanciava sospetti e veleni attorno alla vicenda dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano.

Quella lettera era stata fatta recapitare all’avvocato barcellonese Franco Bertolone che a sua volta l’aveva portata in udienza al maxiprocesso di appello “Mare Nostrum” scatenando forti polemiche, nonché una forte presa di posizione da parte del legale della famiglia Alfano, Fabio Repici. Lo stesso Repici viene chiamato in causa più volte negli interventi della difesa di Mori. Si assiste quindi ad una scena del tutto surreale con il teste che sciorina la sua versione dei fatti in merito agli esposti sollevati dall’avv. Repici (su mandato della famiglia Alfano) nei suoi confronti. Nessun cenno da parte di Canali al suo stretto legame con l’ex procuratore generale di Messina, Franco Cassata, la cui carriera si è conclusa in maniera del tutto ignominiosa, né tanto meno alle relative interrogazioni parlamentari sollevate dall’ex presidente della Commissione antimafia Giuseppe Lumia. In un teatro dell’assurdo nel quale si è tentato di spostare l’attenzione dal nucleo centrale del processo è stato quindi possibile assistere ad una sorta di attacco sibillino nei confronti di un avvocato difensore (Fabio Repici) e, seppur in maniera indiretta, anche verso i congiunti di una vittima di mafia (Beppe Alfano) che lo stesso Repici difende. Alla fine, però, restano alcune esternazioni dell’ex pm di Barcellona Pozzo di Gotto, Olindo Canali, che vanno ad infittire i tanti misteri che gravitano attorno allo snodo barcellonese della trattativa Stato-mafia.
La sua dichiarazione in merito alla sparatoria nei confronti del figlio del geometra Imbesi racchiude proprio l’essenza di questa zona grigia. “Credo che De Caprio recitasse la parte del Carabiniere raccontandomi una storia del tutto incredibile alla quale non ho creduto minimamente”. A futura memoria.

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