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aula-bunker-ucciardone1di Aaron Pettinari - 20 febbraio 2015
Prosegue l’esame del teste Andrea Calabria al processo trattativa Stato-mafia. Il pm Nino Di Matteo ha chiesto all’ex funzionario del Dap come si arrivò alla redazione della nota del 26 giugno 1993. Un documento che il Dap inviò al ministro della Giustizia, Giovanni Conso,dove si proponeva di non prorogare più di trecento provvedimenti di 41 bis "per creare un clima positivo di distensione nelle carceri”. Tra le proposte quella di ridurre di circa il 10% il numero dei sottoposti a regime speciale, di non rinnovare i 41 bis emessi su delega ed eventualmente prorogare soltanto di sei mesi il regime di detenzione.
"Non ricordo bene come siano andate le cose - ha spiegato - Sul piano della valutazione politica del ministro non so nulla". "Per i rinnovi del 41 bis - ha detto - serviva una motivazione circostanziata, basata non solo sulla posizione giuridica ma anche di elementi individualizzati. Il problema proveniva da una formulazione generica del 41 bis, che adesso è molto più preciso". Secondo l’accusa, la sostituzione del direttore del Dap Nicolò Amato con Adalberto Capriotti costituì il tentativo di mettere alla guida del Dipartimento un uomo che avrebbe garantito il suo sostegno al dialogo sul carcere duro ai boss avviato da parte dello Stato con la mafia. Per evitare nuove stragi e omicidi eccellenti, sempre secondo i pm, pezzi delle istituzioni avrebbero trattato con Cosa nostra concedendo, oltre all'impunità al boss Bernardo Provenzano, un alleggerimento dei 41 bis realizzato, nel novembre del '93, con la mancata proroga di oltre 300 provvedimenti di carcere duro. “La nota di giugno - ha aggiunto Calabria - aveva a che fare con la situazione interna alle carceri perché l'estensione del 41 bis a molti detenuti aveva creato una serie di problemi anche a livello di gestione. Emettere il 41 bis per un soggetto che veniva dalla libertà era abbastanza semplice, cosa diversa era la proroga”.

In luglio comunque diversi 41 bis “ministeriali” vennero rinnovati. Tuttavia Calabria ha riferito di non ricordare il criterio usato o se vi fossero state istruttorie più particolareggiate. “Credo che vi sia stata. Se così è ci saranno i documenti nei fascicoli”. Purtroppo però, in base ai documenti sequestrati dalla Procura presso gli uffici del Dap, di queste istruttorie non vi sarebbe traccia.Parlando invece delle mancate proroghe dei decreti nel novembre 1993 vi era una situazione diversa.
Il 29 ottobre, appena prima che Conso desse il suo benestare per la revoca dei 41bis, la Procura di Palermo ricevette una nota da parte dell’ufficio di Calabria, nella quale si chiedeva un parere per prorogare o meno il carcere duro per i 334 detenuti per i quali il regime penitenziario sarebbe scaduto il 2 novembre. Il pm Nino Di Matteo ha chiesto a Calabria come mai quel fax alla Procura fosse stato mandato soltanto il 29 ottobre per di più alla sola autorità giudiziaria di Palermo quando vi erano nell’elenco anche diversi detenuti pugliesi, campani e calabresi. “Quella nota credo facesse parte dell’istruttoria per il rinnovo - ha commentato Calabria - Anziché fare una richiesta sui singoli venne fatta una generale credo e si chiedevano informazioni ai servizi centrali, alla polizia, ai carabinieri, alle procure. “Tuttavia è vero che questo era un tempo troppo breve per avere una risposta circostanziata. Di sicuro sono informazioni che avevamo già chiesto in passato e in quel caso cercavamo solo di fare il punto della situazione. Del resto, le forze dell'ordine non avevano l'obbligo di risponderci a quei tempi”. La Procura di Palermo rispose, manifestando l’importanza del rinnovo di quei 41 bis. “Credo che questa risposta sia stata messa nel fascicolo e trasmessa a Capriotti e Di Maggio. Del resto erano loro che dirigevano e decidevano. Però sul motivo che ci spinse a chiedere informazioni con quella nota non ricordo. La risposta della Procura forse è stata ritenuta troppo generica per il rinnovo ma come dicevo non era un problema mio decidere. Del resto se fossero arrivate altre risposte anche successivamente credo che c’era la possibilità di ripristinare i 41 bis”.


Processo trattativa, ex Dap Calabria: “Nomina Di Maggio una sorpresa, si creò una squadra di fiducia”
di Aaron Pettinari - 20 febbraio 2015 - Ore 13:17

“Se l’allontanamento di Amato fu la prima sorpresa la seconda è stata sicuramente la nomina di Di Maggio come vice capo del Dap”. Rispondendo alle domande del pm Di Matteo Andrea Calabria, ex direttore dell’ufficio detenuti al Dap sta ricostruendo le tappe dell’avvicendamento ai vertici del Dipartimento. “Di Maggio non appariva come la persona più adatta. Non aveva i requisiti professionali né l’esperienza nel ramo penitenziario. Anche in merito alla sua nomina non si capì da che parte venisse l’indicazione anche perché c’era il convincimento nell’ufficio che come vice potesse essere scelto Giuseppe Falcone. Falcone era noto per essere una figura di polso e già era venuto a fare dei sopralluoghi per capire come fosse organizzato l’ufficio. Poi anche lì cambiò tutto all’ultimo”. Tornando a parlare di Di Maggio e della sua gestione Calabria ha ricordato che “si fidava di pochi e gestiva diverse cose in prima persona. Difficilmente trasmetteva all’ufficio, le cose le gestiva lui. Aveva questa tendenza espansiva e anche con il Gabinetto del ministro spesso chiamavano più lui che Capriotti. Generalmente il dottor Di Maggio aveva questa tendenza e si era creato uno staff di poche persone di sua diretta fiducia. Chi? Erano soprattutto della polizia penitenziaria”.


Processo trattativa, ex Dap Calabria: “Rimanemmo sorpresi dall’avvicendamento Amato-Capriotti”
di Aaron Pettinari - 20 febbraio 2015 - Ore 11:49

“L’allontanamento di Amato fu notizia improvvisa che ci lasciò sorpresi. La situazione al Dap era assolutamente sotto controllo. Una persona come Amato mandata via dalla sera alla mattina dopo la gestione di casi come quello di Sindona ci lasciò assolutamente perplessi”. A dirlo è l’ex direttore dell’ufficio detenuti Andrea Calabria. Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo ha aggiunto: “Nei giorni immediati a quell’allontanamento ricordo che si parlava all’interno dell’ufficio. Il consigliere Fazioli collegò questo fatto con la nota del 6 marzo (inviata all’allora Guardasigilli Giovanni Conso in cui l’ex direttore del Dap proponeva la necessità di registrazione di colloqui tra mafiosi e familiari o anche la partecipazione in videoconferenza ai processi, ndr). Io appresi soltanto allora dell’esistenza di quella nota che Fazioli ipotizzava potesse aver in qualche modo contribuito a quell’allontanamento. Spiegò che Amato criticava la normativa vigente, dicendo che fosse efficace solo a l’Asinara e a Pianosa , e che faceva proposte diverse”. “Sempre in quei tempi - ha poi proseguito Calabria - nell’ufficio iniziò a circolare la voce che a decidere quel cambio furono il Presidente Scalfaro e il monsignor Curioni”. 


Processo Trattativa, ex Dap Calabria: “41 bis prima risposte alle stragi”
di Aaron Pettinari - 20 febbraio 2015 - Ore 11:28
“C'era l'esigenza politica di dare una risposta immediata alle stragi, le indagini avevano i loro tempi e venne predisposta questa norma in tutta fretta”. Lo ha ricordato l'ex funzionario del Dap, Andrea Calabria, interrogato quest'oggi al processo trattativa Stato-mafia. “Forse c'era stata una sottovalutazione della norma nel senso che non venne disciplinata in maniera adeguata tanto che ad occuparsi di questo fu accorpata la segreteria di sicurezza e quella del settore detenuti ad alto indice di vigilanza”. In merito alla riapertura delle carceri di Pianosa e l’Asinara ha aggiunto: “Non ricordo il riferimento temporale esatto in cui venne deciso di riaprirle ma ricordo che ci fu un atto normativo che mise a disposizione 70 miliardi di lire tra ministero degli Interni e quello di Giustizia. Agimmo subito e in poco tempo riaprimmo le carceri. Io personalmente mi occupai della cosa”.



Venerdì
20 febbraio 2015
, dalle ore 9:30, si terrà la prossima udienza del processo trattativa Stato-mafia presso l'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.
Verrà esamito in qualità di teste il funzionario del Dap, Andrea Calabria.
Nel processo, di competenza della Procura di Palermo, i pubblici ministeri dovranno accertare le responsabilità di chi è accusato di aver aperto un dialogo con Cosa nostra, al fine di far cessare la strategia stragista messa in atto nei primi anni ’90. Tra gli imputati, oltre a boss mafiosi (Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà) figurano anche collaboratori di giustizia (Giovanni Brusca), ex politici (Nicola Mancino, Marcello Dell’Utri), ex ufficiali del Ros (Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno) e Massimo Ciancimino.

Del processo si occupano i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi.

E' possibile seguirlo in diretta audio streaming qui!

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