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aula-bunker-rebibbia-effL'ex estremista nero, protagonista di una trattativa parallela, parla per la prima volta di un misterioso carabiniere del Ros
di Aaron Pettinari, Miriam Cuccu e Francesca Mondin - 11 marzo 2014
“Ero schifato dopo le stragi capivo che si doveva fare qualcosa anche perché io non sono mai stato un terrorista. Quando mi incontrai a San Benedetto del Tronto con il maresciallo Tempesta, del Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri, dissi che mi sarei potuto infiltrare dentro Cosa nostra. Lui disse che ne avrebbe parlato con il colonnello Mori. Tempo dopo ci vedemmo a Roma, in un distributore di benzina lungo il raccordo anulare. Arrivò l’ok del colonnello e io andai in Sicilia a contattare un mio vecchio compagno di cella, Antonino Gioè (boss stragista morto in carcere in circostanze poco limpide ndr). Altrimenti col cavolo che sarei andato nella tana del lupo a suicidarmi”.

E' così che Paolo Bellini, ex estremista nero, dopo le stragi viene investito del ruolo di “protagonista” di una “trattativa parallela” con Cosa nostra. L'ex militante di Avanguardia Nazionale, ha deposto questa mattina innanzi ai giudici della II Corte d’Assise di Palermo, nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, nel corso dell'udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia. Un dibattimento in cui il teste, rispondendo alle domande dei pm Tartaglia e Teresi, ha ripercorso la ‘sua’ verità in quegli anni di stragi. Il pretesto per il contatto con Cosa nostra sarebbe stato il recupero di alcune opere d'arte rubate dalla Pinacoteca di Modena. “Quando incontrai Gioé – prosegue Bellini - lui mi chiese per conto di chi arrivava questa richiesta. Addirittura mi chiese se per caso mi mandava la massoneria e che in quel caso non c’erano problemi perché aveva direttamente la possibilità di avere rapporti con la massoneria trapanese. Io risposi che interessava ai politici locali e interessava anche al Ministero dei beni culturali. Del resto avevo le foto delle opere e la cartellina con i timbri ministeriali. Tempo dopo tornò con altre foto di opere d'arte ed una busta con quattro o cinque nominativi per i quali voleva arresti ospedalieri o domiciliari. Ricordo i nomi di Pippo Calò, Brusca, Pullarà. Quell'elenco lo consegnai al maresciallo Tempesta che lo consegnò a sua volta a Mori. Quando tornò con la risposta, tempo dopo, mi disse che non si poteva fare perché 'C'era il gotha di Cosa nostra' ma che avrei dovuto mantenere il canale aperto con la possibilità di fare qualcosa per un paio di nominativi'. Non solo i contatti con Vito Ciancimino quindi. Il Ros avrebbe portato avanti più canali per arrivare ad un colloquio con Cosa nostra ed ovviamente i mafiosi alzarono subito il tiro.

Trattativa con alti piani
Non fu quello l'unico momento in cui Gioé parlò di trattativa con Bellini. “Gioè mi parlò di una trattativa in corso coi piani alti del Governo italiano ma non ne ho mai parlato perché dovevo tenermi qualche cartuccia da sparare durante i processi”. Del resto Cosa nostra negli anni delle stragi era messa a dura prova in particolare dal regime carcerario del 41 bis: “In quel periodo erano spiazzati, si lamentavano i familiari dei sottoposti al 41 bis a Pianosa. A dire di Gioè loro erano consumati, vedevano solo due strade o la morte o la galera a vita”. Bellini ha poi ripercorso come ha incontrato e conosciuto il capomafia: “Quando fui trasferito da Firenze a Sciacca, lì conobbi Gioè. Ci vedevamo tutti i giorni, lui era una persona di grande rispetto io capii che era una persona posizionata, ci fu una simpatia iniziale… Ha saputo la vera identità quando fummo trasferiti nel carcere di Palermo”. E in merito al ruolo attribuitogli di “suggeritore” delle stragi in continente Bellini ha dichiarato: “Su di me sono state dette tante cose ma io sono qui per raccontare la verità.
Fu Gioé a chiedermi 'Che cosa accadrebbe se sparisse la Torre di Pisa?'”. Un frase sinistra che appare profetica se si pensa che nel 1993 il patrimonio artistico italiano fu colpito a Firenze, Roma e Milano. Frase che sarebbe stata riferita da Bellini al maresciallo Roberto Tempesta, il sottufficiale in servizio al Nucleo tutela patrimonio artistico. “Ma quando dissi al maresciallo Tempesta quella frase cosa fecero? Nulla di nulla” ha aggiunto Bellini.

“Aquila selvaggia? Sono del Ros”
L'ex militante di Avanguardia Nazionale, nome in codice “Aquila selvaggia” (nel gergo usato per le comunicazioni con il maresciallo Tempesta ndr) ha anche rivelato che nel dicembre del 1992, quando i rapporti con il militare del Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri avevano avuto uno stop, era stato avvicinato da un altro ufficiale. “Una persona suonò al citofono di casa mia – ha detto – e mi chiamò col nome in codice che sapevano solo Tempesta e il colonnello del Ros Mario Mori. Si presentò come un uomo del Ros e mi disse di non cercare più Tempesta, che il contatto sarebbe stato lui e di non venire in Sicilia perché era pericoloso in quanto ci sarebbe stata un’imminente operazione. Non ho mai parlato con nessuno di questo, e loro non hanno più richiamato" conclude il collaboratore”. Bellini, che aveva comunque il contatto con Gioé anche per altri motivi, non seguì quell'indicazione. “Dovetti tornare in Sicilia per incontrare Nino a cui dovevo dei soldi. Quando mi recai nel luogo dell'incontro, nei pressi del motel Agip di Palermo, riconobbi quell'ufficiale che tempo prima mi aveva sconsigliato il viaggio in Sicilia”. E' a quel punto che, spaventato, Bellini sarebbe andato via da Palermo mancando l'appuntamento con il capomafia.

La lettera di Gioé
“Dimenticavo di dire che mio fratello Mario nell’andare a tentare di recuperare il credito ha consegnato al creditore una tessera dello stesso creditore il che adesso mi rendo conto che quest’ultimo fosse un infiltrato; mio fratello non lo ha incontrato ed il figlio gli ha detto che il padre era ricercato. Supponendo che il sig. Bellini fosse un infiltrato sarà lui stesso a darvi conferma di quanto sto scrivendo. L’ultima volta che ho incontrato quest’uomo è stato presso la cava Buttitta solo per pura fatalità me lo sono fatto portare in quel posto dove ero andato per cercare di convincere il sig. Gaetano Buttitta a comprare del lubrificante da me…”. Questo il contenuto esatto della lettera rinvenuta nella cella di Gioè il 29-7-93, scritta prima del presunto suicidio. Forse è proprio per quel mancato appuntamento che il capomafia aveva capito che Bellini era davvero un infiltrato anche se il sospetto che il ruolo di Bellini, come uomo vicino ad una parte dello Stato, fosse ben chiaro ai capimafia già nel 1991 (ovvero prima delle stragi), resta.

La riunione di Enna
Nel dicembre 1991 è notorio che in un casolare di Enna si tenne una riunione della Commissione regionale con tutti i capimafia per decidere in merito alla strategia stragista che avrebbe dovuto portare all'eliminazione dei politici traditori (da Lima all'ex presidente del Consiglio Andreotti) ai nemici di sempre (Falcone e Borsellino). Tra le nuove prove che i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia c'è anche una ricevuta rilasciata da un hotel di Enna, datata 6 dicembre 1991 ed intestata proprio a Paolo Bellini. Così come aveva fatto durante gli interrogatori con i pm, anche in aula ha ribadito che all’epoca si trovava in Sicilia per affari. “Dovevo recuperare alcuni crediti a Catania e Palermo e l'unico contatto avuto con Antonino Gioé era proprio per chiedergli aiuto su questa attività. Quel pernottamento non era programmato per un motivo specifico ma del tutto casuale”. Una spiegazione che non ha convinto del tutto i pm, anche perché è quantomeno singolare che, per un recupero di crediti a Catania, lo stesso abbia scelto un hotel di una città distante quasi 90 chilometri. Così l'esame è proseguito con il pm Tartaglia che lo ha incalzato chiedendogli dei commenti di Gioé su Lima.
Rispondendo alla domanda del magistrato, che in riferimento alla morte dell'onorevole Salvo Lima ha chiesto a Bellini se Gioè gli disse mai se l'omicidio fosse servito anche per mandare un messaggio al presidente Andreotti, il collaboratore ha dichiarato: “era stato quello il senso, si…. Gioé mi parlò dell'omicidio di Lima e disse che era stato fatto per dare uno schiaffo alla Dc di Andreotti perché non aveva rispettato quello che avrebbe dovuto fare a Roma per il maxi processo”. Di seguito, l'ex trafficante di opere d'arte ha parlato di un episodio avvenuto ad Enna: "Mi ricordo… si parlò, disse così…a Enna c'era… a Enna mi ricordo di una passeggiata che ho fatto per andare alla cena, c'era la saracinesca di un negozio abbassata.. fu il momento di una risata". L'occasione di ilarità sarebbe scaturita dall'aver visto una scritta, sulla vetrina, riferita proprio al presidente del consiglio Giulio Andreotti. Tartaglia ha rilanciato: "Scusi ha detto 'fu motivo di una risata', ma perché c'era anche Gioè ad Enna?". E Bellini: "No, chi ha detto Enna?”. Si è subito giustificato il collaboratore. “La risata tra noi due mentre facevamo questo discorso… lui mi fece venire in mente un flash non che io ero a Enna con Antonino Gioè”. Bellini ha anche ricostruito la propria storia passando dagli omicidi commessi tra cui quello del militante di Lotta Continua Alceste Campanile, alla sua affiliazione alla 'Ndrangheta e la latitanza sotto falsa identità trascorsa in Brasile.
Pian piano, pur con le difficoltà dovute alla malattia da cui è affetto, che ha conseguenze sulla memoria, ha ricostruito diverse vicende, tra cui il periodo vissuto in cella quando era conosciuto con il nome di Roberto Da Silva. Nel suo racconto Bellini ha anche espresso uno sfogo nei confronti dello Stato come istituzione colpevole di averlo, a suo dire, abbandonato: “Sono un morto che cammina ma faccio il mio dovere fino in fondo. Lo Stato con me ha firmato un contratto che non ha rispettato”. Peccato che, come ha ricordato al teste lo stesso presidente Montalto, in quel contratto era previsto il dover dire tutta la verità mentre solo oggi ha raccontato la visita dell'uomo del Ros nella sua abitazione, così come soltanto nel 2013 ha raccontato della “seconda trattativa”, dopo averla accennata ad un giornalista del Resto del Carlino, Marco Pratellesi, il quale aveva scritto in merito un articolo nel 1998. Il processo proseguirà domani mattina con il controesame del teste mentre, successivamente, verrà sentito dalla corte il pentito Fabio Tranchina.

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