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vigna-grasso-c-new-press-photodi Aaron Pettinari, Miriam Cuccu e Francesca Mondin - 14 marzo 2014
Rivelazione in aula durante il controesame del processo trattativa
“Nel 1997, anni prima di cominciare a collaborare, durante un colloquio investigativo con l'allora procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna e con Piero Grasso, dissi 'fate attenzione a Milano 2'. Stavamo per salutarci e io mi sentivo di dire qualcosa anche se ancora non ero pentito. Ho cercato di dare indicazioni nello specifico”. E' con questa rivelazione che si è conclusa la trasferta romana del processo trattativa Stato-mafia presso l'aula bunker di Rebibbia. L'intenzione di quella dichiarazione, undici anni prima del suo inizio della collaborazione con la giustizia, era “dare in modo soft, come avevo fatto per il furto della 126 usata per la strage di via D'Amelio, un'indicazione”. Ciò sarebbe avvenuto in uno dei primi dialoghi con i pm di fatto anticipando velatamente il riferimento a Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (di cui parlò invece nel giugno del 2009) i cui nomi gli vennero fatti da Giuseppe Graviano nel famoso incontro al bar Doney di Roma nel gennaio del 1994, a pochi giorni dal fallito attentato all'Olimpico.

Anticipazioni importanti così come quelle che lo stesso Spatuzza riferì nell'agosto del 1998, quando, sempre in un colloqui investigativo con Vigna e Grasso, per la prima volta disse che la storia della strage di via D’Amelio, come raccontata dal falso pentito Vincenzo Scarantino, era una balla, autoaccusandosi e spiegando perché Scarantino aveva mentito accusando se stesso e altri innocenti di reati mai compiuti.
Ancora una volta il collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande poste dagli avvocati della difesa, si è trovato a chiarire i passaggi della propria collaborazione ed il perché, solo nel 2008, ha scelto di pentirsi: “Dovevo mettermi la coscienza a posto anche con la legge e ho deciso…è stato un percorso molto sofferto…nel 2008 ero libero e tranquillo per iniziare una collaborazione” e specifica che non decide di collaborare prima “per la questione famigliare” e non per timori dati dalla situazione politica del momento. Spatuzza, replicado all’avvocato Giuseppe Di Peri, legale di uno degli imputati, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, ha parlato anche dei timori vissuti appena inizia la collaborazione: “Se il governo Prodi cadeva prima non lo facevo (collaborare, ndr)…quando prima di fare l'interrogatorio congiunto (alla presenza delle tre procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo, ndr) io mi ritrovo come ministro della giustizia Alfano. Non voglio insinuare nulla su Alfano - ha spiegato alludendo proprio alle preoccupazioni di cominciare la collaborazione nel mutato clima politico e con la consapevolezza che avrebbe dovuto riferire le circostanze apprese su Berlusconi e Dell'Utri -. Non voglio dire cose che non so, ma certo ero preoccupato… io mi dovevo alzare dalla sedia e andarmene”. E sarebbe stata questa la fase in cui decise di non parlare subito dell'ex presidente del Consiglio e dell'ex senatore.
Ieri il collaboratore ha spiegato di avere deciso di parlare delle confidenze di Graviano solo dopo avere appreso, mentre era davanti ai pm di Firenze, che le Procure di Palermo e Caltanissetta avevano dato parere favorevole alla sua ammissione al programma di protezione. Il legale ha anche sottolineato che già nel 1998 Spatuzza aveva avuto colloqui investigativi con l’allora procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna ma che anche allora nulla aveva detto del colloquio con Graviano. “Allora – ha risposto Spatuzza – la mia non era una collaborazione. Avevo solo mostrato disponibilità perché dentro di me mi ero ravveduto. Ma solo nel 2008, dopo un lungo percorso personale, ho deciso di pentirmi”. E quando Di Peri ha nuovamente ribadito che le “accuse” nei confronti dell’ex premier e dell’ex senatore siciliano “sono avvenute dopo il periodo dei sei mesi successivi alla decisione di collaborare, i 180 giorni previsti dalla legge” Spatuzza ha nuovamente specificato: “Fin dall’inizio della mia collaborazione ho parlato dell’incontro con Giuseppe Graviano al bar Doney di via Veneto per la preparazione dell’attentato allo stadio Olimpico solo che nelle mie prime dichiarazioni non entravano i due soggetti Berlusconi e Dell’Utri”.

I piloni della Standa
Il nome di Dell'Utri è stato fatto anche in riferimento alla rimozione di alcuni cartelli pubblicitari in due terreni a Brancaccio. “Eravamo a cavallo delle stragi - ha detto - quando venni incaricato da Giuseppe Graviano a contattare Paolino Dalfone per dei tabelloni pubblicitari. Questi aveva bisogno del nostro aiuto per poter collocare questi in alcuni terreni del mandamento di Brancaccio. Erano nei pressi della rotonda di via Oreto. Serviva lo star bene dei proprietari e io mi attivai contattando il guardiano degli appezzamenti e la cosa andò a buon fine. Poi nel 1994, quando ero latitante, apprendo che era arrivato un messaggio da Giuseppe e Filippo Graviano per far scippare i tabelloni pubblicitari. Siamo tra il '93 ed il '94. Infine nel 1995, quando ero reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio mi arriva la direttiva di mettermi in contatto con Dalfone e togliere non solo i tabelloni ma proprio sradicare le fondamenta. Se li ho associati alla questione Berlusconi – Dell'Utri è perché so che Dell'Utri si occupava di pubblicità e la mia considerazione fu che questa cosa era grave anche dopo quel che mi disse Graviano al bar Doney”.

Perché finirono le stragi
L'ex boss di Brancaccio, rispondendo alle domande dei legali degli imputati ha aggiunto: “Dopo il fallito attentato all' Olimpico finirono le stragi perché avevamo chiuso tutto”. Con l'espressione “avevamo chiuso tutto” il collaboratore di giustizia si è riferito a quanto gli disse il boss Giuseppe Graviano a gennaio del 1994 e cioè che Cosa nostra aveva ottenuto tutto quel che cercava “grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa”, riferendosi ai suoi nuovi interlocutori (Berlusconi e Dell'Utri, ndr).
Il processo è stato quindi rinviato al 27 marzo quando, a Palermo, sarà ascoltato, in videoconferenza, il collaboratore di giustizia Rosario Naimo.

Foto © New Press Photo

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