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naimo-aula-bunker-ucciardonedi Lorenzo Baldo - 27 marzo 2014
I legami di Riina con la massoneria di Mandalari, l’ordine di uccidere Rudolph Giuliani
Palermo. “Volevo riferire spontaneamente alcune circostanze che mi sono venute alla mente in questi giorni dopo aver sentito per televisione delle minacce di Riina Salvatore ad alcuni magistrati della Procura di Palermo”. E’ il collaboratore di giustizia, Rosario Naimo, a parlare lo scorso 2 dicembre al pool che indaga sulla trattativa tra Stato e mafia. “Voglio precisare – mette a verbale l’ex boss del mandamento di San Lorenzo – che nel periodo tra il 1989 e il 1993 sono stato latitante in Sicilia e ho incontrato in diverse circostanze molti uomini d’onore, tra cui Riina e Messina Denaro, Biondino Salvatore e il dott. Cinà con il quale ho sempre avuto un legame molto forte.

In quel periodo ricordo che Cinà ebbe a confidarmi le sue preoccupazioni in quanto aveva ricevuto troppe responsabilità soprattutto in relazione a contatti con esponenti politici per conto dell’organizzazione mafiosa per cui mi aveva esternato la volontà di volersi allontanare dall’Italia per recarsi negli U.S.A.. A tal proposito ricordo che tra il settembre e ottobre del 1992 Riina mi invitò a non aiutare Cinà nell’esaudire la sua volontà di allontanarsi dall’Italia perché i nostri contatti politici dipendevano da lui, dicendomi che ‘se si brucia siamo rovinati’. In vero Cinà mi disse che era stato lui ad avere i contatti con i politici ai quali avanzare delle richieste tra cui l’eliminazione del 41bis”.

“Saruzzo”
Rosario Naimo, detto “Saruzzo”, classe 1945, è stato considerato un “re del narcotraffico”, tanto che il capo di Cosa Nostra Totò Riina di lui diceva che “era più potente del presidente degli Stati Uniti”. Il 27 ottobre 2010 è stato arrestato a Palermo dalla Guardia di Finanza. Lui stesso ha raccontato di essersi voluto consegnare dopo diversi anni nei quali non si riconosceva più in quella Cosa Nostra che l’aveva visto affiliarsi negli anni ’60. Subito dopo è iniziato il suo percorso di collaborazione con la giustizia. Ma la sua storia giudiziaria è cominciata parecchi anni prima. Nel 1991 è stato lo stesso Giovanni Falcone a chiedere il suo rinvio a giudizio, all’epoca Naimo è risultato coinvolto in un’inchiesta antidroga chiamata “Sea Port” relativa ad un vasto traffico di cocaina tra Colombia, Stati Uniti e Sicilia. “Saruzzo” era stato quindi condannato a 25 anni in primo grado, pena ridotta poi a 19 anni in appello.

Il pentito entra in aula
A distanza di tanti anni Rosario Naimo ha testimoniato oggi all’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia. Si è presentato in aula accompagnato dagli agenti del Gom. Vestito elegantemente, con passo lento, è comparso così un anziano signore dai capelli bianchi. Niente a che vedere con la fotografia scattata al momento del suo arresto. Ad osservarlo attentamente, sugli spalti dell’aula bunker, centinaia di studenti di alcune scuole palermitane ed anche un folta rappresentanza del liceo scientifico di Partinico (Pa), insieme ad alcuni esponenti della “Scorta civica” di Palermo. Nel rispondere al pm Francesco Del Bene lo stesso Naimo ha ripercorso il suo verbale di interrogatorio del 6 febbraio 2014. Ecco quindi che è emerso con tutta la sua forza il “ruolo” strategico del medico di Totò Riina, Antonino Cinà, già condannato per associazione mafiosa, attualmente alla sbarra nel processo Trattativa per il suo ruolo di intermediario tra Stato e Cosa Nostra. Sarebbe transitato proprio dalle sue mani il famoso “papello” con le richieste di Riina allo Stato per far cessare le stragi.

Le pressioni subite da Cinà
Nel verbale dello scorso mese “Saruzzo” ha approfondito determinati punti che sono stati sviscerati oggi in udienza. “Dai contenuti delle interlocuzioni che nel tempo ho avuto sia con Salvatore Riina che con Antonino Cinà – ha spiegato Naimo ai magistrati –, ho capito che il dottore Cinà è a conoscenza di molte cose che riguardano la vita di Cosa Nostra e i suoi rapporti con la politica a partire dagli anni ’80 e sino al suo arresto alla metà del ‘90”. Il collaboratore ha spiegato quindi che Cinà veniva “usato” da Riina e da Provenzano e che proprio il medico di Riina è “la chiave che potrebbe aprire cose inedite, cose che ancora non si sanno, perché me lo diceva Riina, perché me lo diceva Cinà stesso…”. “Saruzzo” ha raccontato che Riina e i suoi sodali “davano a Cinà la responsabilità perché non potevano andare loro, nessuno di loro era presentabile con… affari politici”. “L’avevano messo davanti a certe cose, di cosa non so, ma l’avevano messo anche perché il Riina dice a me stiamo cercando, stiamo cercando di ottenere qualche beneficio per aiutare tutti questi poveracci, li stanno facendo morire in galera…”. “Il Cinà mi dice mi stannu caricannu run sacco di responsabilità ca sinceramente… cioè mi sento il peso più di quello che posso portare io… mi ha nominato pure dottori, con politici… con dottori, con politici… dottori politici e un’altra cosa pure che ha a che fare con l’alto diciamo…”. Dalle parole di Rosario Naimo traspare la fortissima ansia di un uomo come Antonino Cinà chiamato da Riina a svolgere un compito più grande di lui. Un’ansia combattuta a suon di medicine, accompagnata dal forte desiderio di andarsene negli Stati Uniti per qualche tempo. “Fagli togliere di testa il fatto dell’America – avrebbe detto Riina a Naimo in un incontro a Mazara del Vallo avvenuto nel ’92 – perchè lui ha molte responsabilità. Stiamo cercando di ottenere qualcosa, qualche privilegio per i disgraziati che stanno in carcere, se va via lui siamo rovinati”.

Uccidete Rudolph Giuliani!
In aula “Saruzzo” ha spiegato che negli anni ‘80 Totò Riina aveva progettato di assassinare l'ex Procuratore Federale di New York Rudolph Giuliani. Il collaboratore di giustizia ha raccontato quindi di avere ricevuto negli anni ’80 la visita di Benedetto Villico, uomo d’onore di Passo di Rigano, che gli aveva portato l’ambasciata del boss mafioso Angelo La Barbera. L’ordine di Riina da fare pervenire alla storica famiglia di New York dei Gambino era categorico: uccidere Rudolph Giuliani. Una richiesta che lo stesso Naimo non aveva apprezzato. Successivamente l’ex boss aveva esternato a Riina tutto il malumore degli americani ed anche le proprie perplessità. “Così loro vogliono” era stata la risposta del Capo dei capi. Ma a chi si riferiva Riina? Per Naimo era evidente che Riina si riferisse a qualche entità esterna a Cosa Nostra in quanto nessuno internamente avrebbe potuto fare una richiesta simile al boss. “Zu’ Totò questo fatto non si fa, non si può fare – ha raccontato Naimo –. Significa mettersi tutta l’America contro e questo non è possibile”. “Io non conoscevo nessuno al di sopra di Riina - ha sottolineato - ero a lui molto vicino ma non saprei dire, e non me lo disse, a chi si riferisse quando diceva ‘qui vogliono così’, ma siccome in Cosa Nostra nessuno contava più di Riina, non poteva che intendere politici o servizi segreti”. Secondo il collaboratore, per quanto gli aveva fatto capire Riina, la volontà di uccidere Giuliani rientrava nell’intento di isolare Giovanni Falcone che, nel procuratore federale aveva trovato un vero e proprio alleato per recidere i contatti fra la mafia siciliana e quella americana. A fronte delle osservazioni dello stesso Naimo il progetto omicidiario era stato quindi accantonato.

Pino Mandalari e l’ombra della massoneria
“Le risultavano collegamenti tra il Provenzano ed esponenti della massoneria o esponenti politici?”. Alla domanda del pm Nino Di Matteo è giunta la risposta secca di Naimo: “Della massoneria sicuro”. “Riina ne parlava sempre… c’era un notaio massone molto amico di Riina…”. Il riferimento del collaboratore di giustizia era rivolto a Giuseppe Mandalari, noto come il “commercialista di Totò Riina”, fondatore di molte logge coperte in Sicilia, che aveva curato personalmente diversi affari dei boss corleonesi. “C’erano questi rapporti massonici – ha specificato Naimo – che poi a sua volta questi massoni avevano rapporti con i politici”. Il collaboratore ha quindi sottolineato che lo stesso Mandalari cercava “aderenze politiche”.

Riina e il maxi processo
Nel verbale del febbraio 2014 lo stesso Naimo ha parlato della rabbia del capo di Cosa Nostra in merito alla sentenza del Maxi. “Certamente il Riina nutriva una certa aspettativa positiva per l’esito del maxi processo; ricordo che dopo la sentenza di Cassazione era letteralmente infuriato e diceva che non solo non erano state mantenute le promesse, ma ci aveva rimesso anche una cifra considerevole di denaro che aveva destinato a Roma per la corruzione di qualcuno di cui non mi rivelò l’identità”. In aula, oggi, il collaboratore ha specificato che anche prima della sentenza Riina era alquanto nervoso, probabilmente perché intuiva quale sarebbe stato il risultato finale.

Tra passato e futuro
Nella memoria della Procura di Palermo, depositata a novembre 2012 nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa, i boss mafiosi Riina, Provenzano, Brusca, Bagarella e proprio il “postino” del papello Antonino Cinà, sono “gli autori immediati del delitto principale, in quanto hanno commesso, in tempi diversi, la condotta tipica di minaccia ad un Corpo Politico dello Stato, in questo caso il Governo, con condotte diverse ma avvinte dal medesimo disegno criminoso, a cominciare dal delitto Lima”. Il ruolo importantissimo di Antonino Cinà è tornato sotto i riflettori. L’auspicio ad un pentimento dello stesso Cinà, manifestato nuovamente dallo stesso Naimo, è echeggiato tra le mura di cemento armato di questa cattedrale della giustizia. Dall’altra parte del monitor, nei rispettivi siti dove gli imputati hanno ascoltato la deposizione di “Saruzzo”, silenzio assoluto. Prossima udienza giovedì 10 aprile con l’audizione del collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso.

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