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montalto1C’è un giudice a Berlino…
di Giorgio Bongiovanni e Miriam Cuccu - 4 luglio 2013
Finalmente il coraggio, la professionalità e la precisione del giudice Montalto e della Corte d’Assise di Palermo con i giudici popolari ha dato ragione ai pubblici ministeri Di Matteo, Del Bene, e Tartaglia, coordinati dal Procuratore aggiunto Vittorio Teresi ed il Procuratore capo Messineo. Il processo rimarrà dunque a Palermo, sua sede naturale. Ora speriamo che si possa arrivare a tutta la verità sulla nefasta e blasfema trattativa tra lo Stato-mafia e Cosa nostra. La Corte d’Assise ha oggi respinto una dopo l’altra tutte le eccezioni sollevate dai legali degli imputati. Nel corso delle precedenti udienze i vari difensori si erano appellati all’incompetenza territoriale, funzionale e per materia.
Tutte dichiarate infondate dalla Corte, alla presenza degli avvocati e dei pubblici ministeri Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi. Nessun imputato ha varcato oggi la soglia dell’aula bunker dell’Ucciardone, mentre erano collegati in video conferenza dalle rispettive carceri Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Totò Riina e Antonino Cinà.
I difensori di Mancino avevano richiesto che il loro assistito, accusato di falsa testimonianza, fosse giudicato dal Tribunale dei Ministri in quanto si tratta di reato ministeriale, connesso alla sua attività di allora ministro dell’Interno, stralciandone così la posizione dal resto del processo. Tuttavia si tratta di una richiesta infondata perché, come aveva affermato Tartaglia nella scorsa udienza avvenuta il 1° luglio, “quando Mancino ha fatto la falsa testimonianza non era ministro”.

Decade quindi la richiesta di competenza del Tribunale di Roma, così come quella avanzata dai difensori di Riina, secondo i quali il processo sarebbe di competenza della Procura di Firenze e di Caltanissetta. Il motivo: la connessione dei reati con le stragi del ’92 di Capaci e via D’Amelio e del ’93 del continente. Secondo la Corte, però, si tratta di una richiesta del tutto infondata. Oltre alla precedenza di cui gode il reato dell’uccisione dell’onorevole Lima – avvenuto prima delle stragi, e indiscutibilmente di competenza della procura palermitana in quanto è stato consumato proprio a Palermo – le stragi di Capaci e via D’Amelio non sarebbero da considerarsi direttamente connesse alla linea d’attacco utilizzata da Cosa nostra per mettere sotto scacco lo Stato: la prima, infatti, sarebbe stata orchestrata per motivi vendicativi contro il giudice Falcone, e solo in seguito sfruttata per rafforzare la minaccia di violenza a corpo politico dello Stato contestata agli imputati; mentre la seconda avrebbe mirato ad impedire che il dottor Borsellino denunciasse pubblicamente quella trattativa in corso tra le due parti.
Nulla di fatto anche per l’eccezione sollevata di incompetenza della Corte d’Assise per il reato di violenza a corpo politico dello Stato. La Corte dichiara infatti essere in stretta connessione con l’omicidio Lima, avvenuto il 12 marzo 1992 (con il quale Cosa nostra dà il via alla strategia stragista). Nonostante la posizione dell’unico imputato per l’assassinio dell’onorevole democristiano, Bernardo Provenzano, sia stata stralciata e ancora pende dinanzi al giudice di udienza preliminare, è fuor di dubbio che il reato in questione sia stato l’antefatto di quel “turbamento della regolare attività di corpi politici dello Stato” che l’accusa ritiene essere grave responsabilità degli imputati. Per questi motivi viene acclarata anche la competenza della Corte d’Assise in merito a tutti i reati oggetto del processo.
“La Corte rigetta le eccezioni di incompetenza e dichiara aperto il dibattimento” è la conclusione dell’udienza, che si riaggiornerà il 26 settembre quando verranno esposte le indicazioni dei fatti da provare nella richiesta di ammissione delle relative prove.

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