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mannino-tribunale-palermo0Il Gup Marina Petruzzella rigetta le istanze della difesa dell’imputato
di Lorenzo Baldo - 7 febbraio 2014
Rimane a Palermo il processo a carico dell’ex ministro Dc Calogero Mannino. Il procedimento, che si celebra in abbreviato davanti al Gup Marina Petruzzella, è uno stralcio di quello attualmente in corso davanti alla Corte di Assise di Palermo (presieduta da Alfredo Montalto), sulla trattativa Stato-mafia. La scorsa udienza uno dei legali di Mannino, l’avvocato Carlo Federico Grosso, aveva sollevato eccezione di “incompetenza territoriale del tribunale di Palermo rispetto al reato contestato nel capo di imputazione”. Per il legale dell’ex esponente democristiano l’omicidio di Salvo Lima sarebbe stato “l’atto prodromico della trattativa che in concreto si sarebbe svolta a Roma dove ci sono stati i contatti tra Ciancimino e i carabinieri e dove per altro ha sede il Governo, è competente l’autorità giudiziaria romana, salvo poi stabilire se sia competenza del Tribunale dei ministri o meno”. L’istanza dell’avv. Grosso è stata rigettata in toto dal Gup.

Dal canto suo lo stesso pm Roberto Tartaglia, componente del pool che indaga sulla trattativa Stato-mafia, ha ribadito in aula come le eccezioni della difesa andassero considerate del tutto “infondate”. Ponendo l’attenzione sull’originaria richiesta di rinvio a giudizio il magistrato ha ricordato che proprio in quel decreto veniva contestato al solo Bernardo Provenzano (la cui posizione al momento è in stand-by per i noti problemi di salute del boss di Cosa Nostra) la responsabilità per l’omicidio Lima. “A questo reato di omicidio – ha evidenziato Tartaglia – è stata espressamente contestata l'aggravante di aver commesso il fatto «per eseguire» il delitto punito dall’ art. 338, violenza o minaccia al corpo politico, contestato anche a Calogero Mannino”. E proprio in merito a questa aggravante è stato ulteriormente sottolineato dal magistrato che l’esecuzione della “strategia di attacco frontale”  allo Stato (di fatto deliberata dai vertici di Cosa nostra fin dalla seconda metà del 1991) “aveva avuto concretamente inizio  proprio con l'esecuzione dell'omicidio di Salvo Lima”. Il pm ha quindi citato la sentenza di Cassazione delle Sezioni Unite (c.d. sentenza Taricco, 21 giugno 2013) secondo cui “la competenza derivante da connessione è una forma di competenza originaria che si instaura per il solo fatto che due procedimenti connessi siano contemporaneamente pendenti, non rilevando assolutamente che tali procedimenti siano stati originariamente riuniti o successivamente separati, o addirittura che pendano in fasi diverse come è nel nostro caso”. Tartaglia ha quindi spiegato che secondo il ragionamento delle Sezioni Unite “le ragioni che fondano la competenza per territorio derivante per connessione ci sono ancora oggi, perché il processo per l’omicidio Lima, che fonda la competenza per connessione di questo Giudice, è ancora pendente in capo a Provenzano, seppure separato e in fase di udienza preliminare, in seguito alla accertata incapacità di stare in giudizio di Bernardo Provenzano”. Il pm ha di seguito evidenziato che (così come aveva chiesto la difesa di Mannino) se si fosse provato a scindere petruzzella-marina-eff-ingridle “argomentazioni” e la “causa di connessione” facendo riferimento esclusivamente al reato dell’articolo 338 contestato a Mannino “le conseguenze” non sarebbero cambiate “di una virgola”, in quanto “la competenza della Autorità Giudiziaria di Palermo si radica pienamente anche se esaminata con esclusivo riferimento al solo reato contestato al Mannino, il 338”. Sul punto specifico Tartaglia ha sottolineato che per individuare il momento ed il luogo in cui il reato previsto dall’art. 338 si consuma “occorre partire dal presupposto che tale fattispecie vada annoverata fra i reati «di pericolo» e «di mera condotta». Quindi non occorre che si verifichi un evento di intimidazione”. Il pm ha evidenziato inoltre che “pur essendo reato di condotta, si tratta pur sempre di reato di pericolo, per cui è necessario che almeno l’idoneità offensiva (cioè l’idoneità ad intimidire) di fatto si esplichi”. “Finché questa idoneità ad intimidire non si esplica – ha riaffermato –, non c’è ancora il reato; quando invece questa idoneità si realizza, solitamente con la percezione sensoriale della minaccia, abbiamo il reato, che si consuma appunto nel luogo in cui questa idoneità, questa percezione si verificano”. Il nodo cruciale resta a tutti gli effetti la “valenza intimidatoria” rappresentata dall’omicidio di Salvo Lima. Tartaglia si è quindi ulteriormente soffermato sul ruolo dello stesso Lima all’epoca dei fatti, ruolo determinante non tanto in relazione al suo incarico di europarlamentare, quanto invece in merito al suo “risalente e consolidato rapporto privilegiato con la corrente andreottiana della Dc”. Il pm ha quindi rimarcato “l’immediata risonanza nazionale di quell’omicidio”. Ecco perché secondo il magistrato “diventa davvero questione sterile domandarsi dove sia stata in concreto «percepita la minaccia» o il segnale di minaccia insito nella sua eliminazione”. Roberto Tartaglia ha poi concluso ribadendo che a fronte del ruolo ricoperto dalla vittima e per il suo carattere “eclatante” ed immediatamente reso pubblico dagli organi di stampa, l’omicidio Lima “è un atto che manifesta immediatamente la sua idoneità intimidatoria deflagrante, e cioè nello stesso momento in cui si realizza e nel momento in cui, a pochi minuti di distanza, viene diffuso dai media in tutto il paese. E’ questo il momento (12 marzo 1992) e il luogo (Palermo) in cui l’idoneità ad intimidire si integra pienamente, dando luogo alla consumazione del reato.  E ciò perché è quello il momento in cui si rivelò chiara ed immediata, anche a livello istituzionale, la percezione della causa di quell’omicidio e, soprattutto, delle sue possibili conseguenze”. Osservazioni mirate, e soprattutto inattaccabili. Che di fatto sono state interamente accolte dal Gup. Il processo resta quindi a Palermo. Prossima udienza giovedì 8 maggio.

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