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mutolo-gaspare-effect-160114di Miriam Cuccu - 16 gennaio 2014
L’esame dell’ex autista di Totò Riina che si pentì con i giudici Falcone e Borsellino
È Gaspare Mutolo, l’ex autista di Totò Riina che nel 1992 davanti a Giovanni Falcone prima e Paolo Borsellino poi si dissociò ufficialmente dall’associazione Cosa nostra, a comparire innanzi ai pubblici ministeri di Palermo che si occupano del processo per la trattativa Stato-mafia.

L’incontro con Falcone: “Volevo cambiare vita”
“Quando chiesi di parlare con Giovanni Falcone - racconta Mutolo - questa maturazione di collaborare stava nascendo mentre ero fuori e ne parlavo con un mio amico perché seguivo quello che stava combinando la mafia, si sono messi a uccidere anche le donne. Con un amico commentammo il comportamento brutto dei signori mafiosi. Poi uccidono Condorelli perché non ha voluto fare un tranello combinato da Santapaola. La decisione l'ho presa quando uccisero le donne della famiglia Mannoia e la moglie di Bontade. Non mi riconoscevo più in questi personaggi che uccidevano le donne. Ho avuto occasione di essere in galera, mandai a chiamare Falcone. Per me era una vocazione, ero orgoglioso di potere aiutare un personaggio come il giudice Falcone. Volevo cambiare completamente vita”.

Mutolo descrive poi ai pm il suo incontro con Falcone, quando decise di fare il salto e diventare un collaboratore: quel giorno si presentò davanti al giudice con le stampelle, aiutato da una guardia. In quel periodo, nel quale le misure restrittive per i mafiosi si facevano sempre più aspre, era sempre più frequente la simulazione di malattie fisiche e mentali per godere di un regime carcerario più blando. Ma Falcone capì al volo e gli chiese, scherzosamente: “Sono necessarie, Gaspare, queste stampelle?”, “No” ammise lui e, appoggiandole al muro, si sedette e cominciò a parlare. Dopodichè Mutolo mostrò l’intenzione di voler puntare subito sui rapporti tra mafia e politica: “Dissi al giudice Falcone che c’erano persone delle istituzioni in contatto con i mafiosi, come Contrada (Bruno Contrada, ex 007 condannato per mafia) e Signorino (Domenico Signorino, il giudice che si suicidò con un colpo di pistola alla tempia) e a Roma c'era il giudice Carnevale con altri personaggi. Gli dissi che volevo collaborare perché volevo distruggere questi rapporti che ci sono tra politica e la mafia. E lui mi disse: ‘Gaspare, non posso raccogliere le tue dichiarazioni perché sto facendo un altro lavoro’ e allora io gli dissi: ‘allora non collaboro più’. Ma lui mi ha rassicurato dicendo che avrei dovuto parlare con Paolo Borsellino”.

Mutolo fa poi riferimento, nel corso della ricostruzione degli eventi, alla data del 25 giugno 1992 quando, alla domanda su cosa lui volesse fare in merito alla scelta di collaborare con la giustizia, lui replicò: “Se mi fate interrogare da Borsellino, io ci sto ancora”, e al giorno seguente, quando di fronte al magistrato Pier Luigi Vigna e alla dottoressa Silvia Della Monica pronunciò le parole con le quali imboccò definitivamente la strada dei collaboratori di giustizia.

A colloquio con Borsellino: “Del nostro incontro erano venuti a conoscenza personaggi discutibili”
Il 1° luglio, prosegue Mutolo nell’aula del tribunale di Palermo, finalmente si incontra con il giudice Borsellino. In quell’occasione accenna anche ai contatti quotidiani che aveva con l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e al fatto che l’ex autista di Riina venne principalmente affidato, dallo stesso De Gennaro, all’allora ispettore della Dia Pippo Giordano nei confronti dei quali nutriva una grande stima. Mutolo parla di Giordano come un uomo conosciuto dentro Cosa nostra per la sua incorruttibilità: Giovanni di Giacomo, ex soldato di Riina e Provenzano, gli raccontò che quando venne arrestato negli anni ’80 propose all’ispettore un pacchetto da 150 milioni, che lui rifiutò.

Sempre parlando dell’incontro del 1° luglio Mutolo ricorda che insieme a Borsellino erano presenti anche il giudice Aliquò, lo stesso Giordano ed altri. L’ex uomo d’onore di Partanna-Mondello, però, chiese di poter parlare con Borsellino in privato. Anche nel corso di quel colloquio Mutolo fece i nomi di Contrada e del giudice Signorino, un nome, quest’ultimo, che colse di sorpresa il magistrato che sarà ucciso in via D’Amelio dopo soli 18 giorni. Poi l’interrogatorio subì una brusca interruzione: Borsellino si recò al ministero per un colloquio con Nicola Mancino, allora ministro degli Interni. “Ritornò dopo due ore - prosegue Mutolo - Era arrabbiatissimo, fumava due sigarette insieme e io capii dopo perchè. Mi disse di avere incontrato, fuori dalla stanza del ministro, Contrada e l'ex capo della polizia Vincenzo Parisi. Contrada mostrò di sapere dell'interrogatorio in corso con me che doveva essere segretissimo. Anzi gli disse: ‘So che è con Mutolo, me lo saluti’”. “Io intuii - continua il pentito - che Borsellino era arrabbiato perchè del nostro colloquio riservatissimo erano venuti a conoscenza personaggi discutibili”.

Mutolo racconta di come Borsellino si sarebbe opposto a una forma di accordo tra lo Stato e Cosa nostra che si sarebbe manifestata con la dissociazione dei boss in cambio di benefici: “Io ero in un ufficio della Dia in via Carlo Fea a Roma e Borsellino era in un'altra stanza. All’improvviso l'ho sentito gridare. Ho sentito parlare di dissociazione e Borsellino che diceva: ‘ma questi sono pazzi!’ in maniera disgustata. Borsellino era arrabbiato, incazzato e continuava a gridare: ‘ma che vogliono dire, che vogliono fare’. Ho sentito che le persone che facevano questa richiesta erano pazzi ad accettare queste cose sulla dissociazione”. In merito venne fatto riferimento anche a Mori (allora Colonnello, in seguito Generale) che “scendeva spesso a Palermo e aveva contatti all’interno di Cosa Nostra per trattare”.

La trattativa: “C’entrano pure i calabresi”
Nel corso del processo l’ex autista di Riina conferma che “Il giudice Borsellino sapeva che c’era qualcuno che voleva fare accordi con la mafia e c'erano mafiosi che erano disposti a entrare in contatto con certi personaggi” chiamando in causa i calabresi: “Si vociferava che oltre ai siciliani ci potevano essere altri personaggi come i calabresi. Si vociferava, si era saputo che c’erano dei personaggi delle istituzioni, parlo dei Carabinieri, ma anche dei servizi segreti, di personaggi che dovevano intercedere per portare avanti il discorso della dissociazione. C'erano pure un prete e dei personaggi politici che dovevano portare avanti questo discorso della dissociazione e di ampliare il discorso dei collaboratori. Avevano capito che questa cosa dei collaboratori era un piega importante e la volevano bloccare prima di cominciare. Da quello che ho capito c'erano personaggi, mafiosi e camorristi che avevano fatto sapere che bastava dire ‘io mi dissocio dalla camorra o dalla mafia’ e potevano usufruire di una specie di amnistia, si parlava del 41 bis, una condizione che mal sopportavano i mafiosi”.

Sempre parlando dei legami tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra Mutolo dichiara che “il mio capomandamento, Giuseppe Giacomo Gambino, mi disse che il giudice Scopelliti venne ucciso perché si stava occupando delle carte processuali del Maxiprocesso”, un favore che la ‘Ndrangheta fece a Cosa nostra collegato con la partecipazione del magistrato, in qualità di pubblico ministero, al giudizio di Cassazione che a gennaio 1992 avrebbe confermato le condanne per la mafia siciliana. Condanne che avrebbero scatenato l’ira di Totò Riina e fatto saltare in aria strade e monumenti di mezza Italia insieme ai migliori uomini di questo nostro Stato.

Rispondendo all’avvocato difensore Milio nel corso del controesame, Mutolo ribadisce il fatto che il giudice Giuseppe Ayala abbia fatto uso di sostanze stupefacenti: Enzo Sutera, mafioso di Partanna Mondello, gli disse infatti che un suo amico portava la droga al magistrato (confermando di fatto le dichiarazioni che rilasciò per la prima volta a Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila, in un’intervista dove fece riferimento ai contatti di Ayala con Cosa nostra, ndr) facendo poi riferimento al fatto che al maxiprocesso, al momento dell'imputazione, Ayala chiese per Mutolo 25 anni e al capo mandamento, Giacomo Giuseppe Gambino, solo dieci. Un episodio che l’ex autista di Riina lesse come un ‘favore’ che il giudice fece a Gambino. Mutolo aveva dichiarato ciò di cui era a conoscenza sulle vicende di Ayala a seguito delle dichiarazioni che il magistrato aveva rilasciato contro Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso in via D’Amelio, definendolo “malato mentale”, un “caso umano” e paragonandolo a “Caino”, l'assassino di Abele, per le quali è stato condannato per diffamazione.

Foto originale © l'Unità

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