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napolitano-giorgio-web12di AMDuemila - 25 novembre 2013
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrive di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo (per la trattativa Stato-mafia, ndr) come sarei ben lieto di poter fare se davvero ne avessi da riferire”. Questa mattina è arrivata presso la Procura di Palermo – dove i pm Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi recentemente destinatari di pesanti minacce, stanno celebrando il processo – la lettera inviata lo scorso 31 ottobre al presidente della Corte d'Assise di Palermo, Alfredo Montalto.

La testimonianza del capo dello Stato era stata richiesta dai pubblici ministeri palermitani per avere delle delucidazioni in merito alla lettera che il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio – deceduto per infarto a luglio 2012 – aveva spedito il 18 di giugno. La lettera era stata inviata a ridosso del caso sulle intercettazioni dell'ex ministro Mancino – imputato al processo per falsa testimonianza, che più volte si era rivolto all'ex consigliere e allo stesso Napolitano per ottenerne il sostegno – per dichiarare la sua innocenza, spiegando di non aver mai voluto appoggiare Mancino e sostenendo che “come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento dei vari procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e 1993, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze”. Ma il passaggio specifico di cui i pm chiedono conto a Napolitano riguarda l’affermazione del consigliere di essere stato considerato, negli anni che vanno dal 1989 al 1992, un “ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Anni ancora densi di misteri, sulla strategia stragista messa in atto da Cosa nostra per tenere il Paese sotto scacco, sul dialogo intavolato con alcuni esponenti delle istituzioni e delle forze dell’ordine di oltre vent’anni fa.

Tuttavia il presidente della Repubblica sostiene di non avere “in alcun modo ricevuto dal dottor D'Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le 'ipotesi', solo 'ipotesi' da lui enucleate” escludendo di aver ricevuto indicazioni riguardanti il “vivo timore a cui questi ha fatto il generico riferimento nella drammatica lettera del 18 giugno”.”Nè io – prosegue nella lettera – avevo modo e motivo, neppure riservatamente, di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Nè mai, data la natura dell'ufficio ricoperto dal dottor D'Ambrosio durante il mio mandato, come anche durante il mandato del presidente Ciampi, ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia”.

Napolitano fa poi riferimento, sempre all’indirizzo di Montalto, ai “problemi relativi alle modalità dell'eventuale mia testimonianza” presso “la Corte da lei presieduta” di cui “è per altro certamente consapevole come ha, nell'ordinanza del 17 ottobre, dimostrato di esserlo, dei 'limiti contenutistici' da osservare ai sensi della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012” relativi all’ammissione della sua testimonianza circostanziata alle sole conoscenze che il Capo dello Stato avrebbe appreso in merito alla lettera di D’Ambrosio. Il Presidente della Repubblica sarà ascoltato nella data che verrà decisa nel corso del processo, al Quirinale, come previsto dalla legge.

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