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mori-mario-web5di Lorenzo Baldo - 11 ottobre 2013
Palermo. “Il demonio si vede bene nel dettaglio”, diceva il filosofo tedesco Georg Hegel. Uno dei “dettagli” emersi ieri all’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia merita un’ulteriore attenzione. Tra le varie opposizioni dei legali degli imputati: dalla negazione all’acquisizione dell’esposto anonimo denominato “Corvo2”, al diniego sul deposito delle intercettazioni tra Mancino e D’Ambrosio, fino ad arrivare all’opposizione sull’acquisizione del “papello”, un occhio di riguardo spetta alla questione della “dissociazione” chiamata in causa dal legale di Mori (foto), De Donno e Subranni. Con molta nonchalance l’avvocato Milio ha specificato che la propria richiesta di far testimoniare Roberto Scarpinato nasceva dalla volontà di dimostrare l’apertura dello stesso Scarpinato nei confronti della “dissociazione” dei mafiosi. Per tornare su una questione tanto delicata basta riprendere la testimonianza di un diretto protagonista. Nel 2009 l’ex pm Alfonso Sabella aveva raccontato al collega Nicola Biondo come si era “scontrato” con il tema spinoso della “dissociazione”. L’ex sostituto procuratore di Palermo aveva ricordato che si trattava di “una vecchia idea” che era stata “suggerita a Provenzano”. “I mafiosi devono fare una dichiarazione in cui si arrendono ma non sono costretti a fare i nomi dei loro complici. In compenso escono dal 41 bis ed evitano qualche ergastolo”. Di fatto nel 2000 otto boss mafiosi tra cui Pietro Aglieri, Nitto Santapaola, Pippo Calò, Giuseppe Farinella e Piddu Madonia avevano fatto sapere che volevano dissociarsi chiedendo una sorta di legge ad hoc.

All’epoca Alfonso Sabella lavorava al Dap insieme a Giancarlo Caselli e di questa fantomatica “dissociazione” non se ne era fatto nulla. La cosa però si era riproposta di nuovo nel 2001 e questa volta a chiedere la dissociazione si erano ritrovate le varie mafie italiane: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. A fare da ambasciatore di una simile iniziativa era stato designato Salvatore Biondino, uomo di fiducia di Totò Riina, nonché capo mandamento di San Lorenzo, legato ai Servizi Segreti. “Pago la mia opposizione  - aveva precisato Sabella raccontando quanto da lui vissuto in quel periodo – e il mio ufficio viene soppresso proprio da Gianni Tinebra che intanto aveva sostituito al Dap Giancarlo Caselli. Molto tempo dopo si scopre ed è tuttora oggetto di un’inchiesta della procura di Roma (successivamente archiviata, ndr), che il magistrato  che Tinebra ha messo al mio posto al Dap (Salvatore Leopardi, ndr) collaborava proprio con il Sisde di Mori nella gestione definita ‘anomala’ di alcuni detenuti e aspiranti collaboratori di giustizia (l’inchiesta riguardava le manovre al Dap per “orientare” e depotenziare, nel novembre del 2002, le rivelazioni del nuovo pentito Nino Giuffrè a proposito di Dell’Utri, ndr)”. Parole lontane negli anni, che mai come oggi sono attuali e pregnanti. E’ evidente che per i legali degli imputati “eccellenti” di questo processo ogni occasione è buona per prendere tempo. Anche a costo di chiamare in causa testimoni lontani anni luce dalla loro impostazione difensiva. La storia professionale e umana di Roberto Scarpinato è all’antitesi con qualsivoglia forma di “dissociazione” da proporre ai boss mafiosi. A tal proposito il pm Roberto Tartaglia ha specificato in aula che se il presidente della Corte accoglierà la richiesta di testimonianza dell’attuale procuratore generale di Palermo (nei confronti della quale la Procura ha formulato opposizione, così come nei confronti delle audizioni di altri magistrati), verrà chiesta l’ammissione di una registrazione audio dell’intervento dello stesso Scarpinato all’assemblea nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati tenutasi il 20 giugno 1992, in piena stagione stragista, quale “prova contraria”. Di fatto in quella occasione l’ex pm del processo Andreotti era stato incaricato di redigere un documento contenente proposte di riforma a livello giudiziario. Per quanto riguardava la legislazione sui collaboratori di giustizia Scarpinato aveva proposto una legge “che sul modello di quelle emanate per i terroristi pentiti o dissociati preveda una causa di non punibilità per tutti i reati, esclusi quelli di sangue, commessi o la cui permanenza sia iniziata entro una data comunque anteriore all’entrata in vigore della legge per gli appartenenti a Cosa Nostra o comunque all’associazione di tipo di mafiosi, i quali entro 3 anni dissociandosi dagli altri affiliati intraprendano la collaborazione con la giustizia operandosi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e la cattura degli elementi alla medesima associazione”.
A futura memoria.

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