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grasso-piero-bigdi Miriam Cuccu - 20 settembre 2013
Nonostante le intercettazioni tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano siano state definitivamente distrutte i ripetuti tentativi dell’ex ministro dell’interno (imputato per falsa testimonianza nell’ambito della trattativa Stato-mafia) di cercare sostegno presso gli alti ambienti istituzionali continuano ad essere materia scottante al processo in corso a Palermo.
Già a giugno i pubblici ministeri avevano incalzato la Dna affinchè venissero consegnati tutti i documenti relativi ai contatti del Procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani. Con particolare riferimento a quelli intrattenuti con l’allora procuratore nazionale antimafia Piero Grasso (foto), oggi presidente del Senato, proprio in merito alle ripetute proteste avanzate da Mancino su una presunta mancanza di coordinamento nelle indagini sulla trattativa. Secondo i pubblici ministeri Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi le reiterate richieste dell’ex politico di un intervento a suo favore, nello specifico di una possibile avocazione dell’indagine, sono un tema centrale al processo che riprenderà il prossimo 26 settembre. E hanno quindi preteso chiarimenti sulle sollecitazioni che Ciani inviò a Grasso nel 2012 per ottenere una “relazione” sulle indagini della trattativa: “Poiché debbo dare un seguito alla nota del 4 aprile 2012 del segretario generale della presidenza della Repubblica ti sarei grato se mi farai pervenire con sollecitudine la relazione che ti chiesi nel corso del nostro incontro del 19 aprile” scrisse il Pg della Cassazione, che qualche giorno dopo ricevette una lapidaria risposta di Grasso: a parere dell’ex procuratore nazionale antimafia non era da segnalare alcuna disfunzione nel coordinamento tra le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta, che si occupano delle indagini dove il nome di Mancino viene tirato in ballo come soggetto terminale nel dialogo instaurato tra lo Stato e la mafia vent’anni fa dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca e da Massimo Ciancimino. Pertanto, conclude Grasso, non è possibile nessuna avocazione dell’indagine, ribadendo che “Mai nessun procuratore nazionale si è avvalso di tale prerogativa”.

Sulla vicenda, ancora tutta da chiarire, i pubblici ministeri di Palermo vogliono vederci chiaro e citano in aula lo stesso procuratore Ciani insieme al suo predecessore Vitaliano Esposito, all’ex procuratore Grasso e al segretario della presidenza della Repubblica Donato Marra. Chiamato in causa anche il Capo dello Stato a spiegare i contenuti della lettera, ricevuta in data 18 giugno 2012 da parte di Loris D’Ambrosio – deceduto a luglio 2012 – nella quale l’ex consigliere giuridico dichiarava la propria innocenza subito dopo lo scoppio del caso delle intercettazioni di Mancino. D’Ambrosio si diceva tuttavia preoccupato per “essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” nel periodo a cavallo tra il 1989 e il ’93, proprio gli anni nei quali Stato e mafia scendevano a patti in nome di una ancora oscura “Ragione di stato”. A Napolitano sarà dunque domandato se egli sia stato depositario di altri sfoghi in tal senso da parte dell’ex consigliere.
A proposito di questi “indicibili accordi” sui quali i pm della Procura di Palermo stanno tentando di fare luce nonostante i reiterati attacchi di cui sono bersagliati dentro e fuori la magistratura (su Antonino Di Matteo pende ancora un provvedimento disciplinare per avere svelato su Repubblica l’esistenza delle intercettazioni tra Mancino e Napolitano, mentre in realtà fu Panorama a dare lo scoop) verranno sentiti dal prossimo 26 settembre 176 testimoni, tra cui una trentina di collaboratori di giustizia.

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