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borsellino-farnese-bigdi Lorenzo Baldo - 16 dicembre 2012
Roma. “Il ricorrente (la difesa di Giorgio Napolitano, ndr) non ha dimostrato quale sia la specifica norma di legge ordinaria, violando la quale la Procura di Palermo avrebbe menomato le attribuzioni costituzionali del Presidente.
E ciò è accaduto per il semplice fatto che tale norma non sussiste. Nella astratta e complessa fattispecie normativa applicabile alla specie manca infatti il ‘frammento’ relativo alla norma legislativa di ‘competenza’ concernente i contestati poteri del p.m.”.

Osservi un popolo variopinto assiepato sotto il palco posto in piazza Farnese e ripensi ad alcuni passaggi contenuti nella memoria illustrativa della Procura di Palermo relativa al giudizio per conflitto IMG 20121215 191040di attribuzioni tra poteri promosso dal Presidente della Repubblica. Piove su Roma, un cielo grigio non promette nulla di buono, eppure centinaia di liberi cittadini provenienti da tutta Italia hanno risposto all’appello di Salvatore Borsellino in sostegno del pool di Palermo che investiga sulla trattativa Stato-mafia. Ma è un sostegno molto più esteso quello auspicato dal fratello del giudice assassinato in via D’Amelio. Che va anche a tutela della stessa Costituzione e del diritto penale, entrambi pesantemente colpiti dalla recente sentenza della Consulta relativa alla decisione della distruzione delle intercettazioni telefoniche tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano.

La memoria illustrativa
Lo scorso 23 novembre i magistrati palermitani avevano scritto che era lo stesso ricorso di Napolitano a prefigurare “una vera e propria ‘innovazione normativa’ dell’art. 271 c.p.p. relativamente alla disciplina della distruzione della documentazione delle intercettazioni”. Nel documento i p.m. Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia illustravano minuziosamente i precedenti storici nei quali – pur essendo stato intercettato un presidente della Repubblica – non si era minimamente venuti ad uno scontro istituzionale di questa portata. Il primo riferimento citato riguardava l’intercettazione indiretta e occasionale dell’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, effettuata il 12 novembre 1993 sull’utenza dell’ amministratore delegato della Banca Popolare di Novara. L’intercettazione era stata disposta dalla Procura di Milano e il contenuto di quella telefonata era stato poi pubblicato sul quotidiano Il Giornale il IMG 20121215 16292627 febbraio 1997. In quel caso nessuno si era stracciato le vesti attaccando a testa bassa la procura che aveva disposto le intercettazioni, così come nessuna Consulta era stata chiamata in causa. “Le conclusioni del dibattito parlamentare – scrivevano i p.m. nella memoria citando le interpellanze di Cossiga, De Carolis, Elia, Novi, Contestabile, Pera, La Loggia e Salvi relative al caso in questione –, pur denunciando talune perplessità giuridiche sollevate dalla vicenda soprattutto in conseguenza dell’avvenuta diffusione del contenuto dell’intercettazione sul quotidiano Il Giornale, non evidenziarono che le norme di legge allora (come ora) vigenti fossero state violate dalla Procura”. Lo stesso Cossiga aveva sostenuto a suo tempo che “non fosse necessario l’intervento del legislatore per evitare che analoghi fatti avessero a ripetersi”, tutti gli altri interpellanti, tranne il sen. Novi che si era lamentato soprattutto dell’avvenuto deposito della registrazione dell’intercettazione nonostante la sua irrilevanza processuale, non avevano mosso alcun appunto alla Procura di Milano. L’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi si era limitato a condannare “la pratica sempre più diffusa di usare l’insinuazione per colpire nell’onore (…) anche nei confronti di chi, per obbligo costituzionalmente imposto, non può comunque difendersi”. Dal canto suo l’ex Ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Maria Flick – al di là di aver rimarcato la gravità dell’accaduto –, non aveva mosso alcun addebito alla Procura a livello di legislazione ordinaria. L’On. Flick aveva a tal proposito ricordato un’iniziativa legislativa governativa “intesa a superare la necessità del previo contraddittorio al fine di rendere più agevole, da parte del giudice, di disporre la distruzione delle registrazioni”, per poi concludere “da un lato affermando di non ravvisare nella condotta dei magistrati aspetti di macroscopica inosservanza di norme di leggi o di loro abnorme interpretazione e dall’altro IMG 20121215 163653sottolineando ancora una volta la già citata iniziativa legislativa governativa”. Nella loro memoria i magistrati avevano quindi specificato che ancora più “puntuale” era stato poi l’intervento del sen. Elia che “dopo aver sottolineato, con preoccupazione, come le lacune della ormai lunga vicenda normativa finissero per danneggiare soggetti estranei alle indagini dei magistrati tra cui lo stesso Presidente della Repubblica, concluse ricordando l’importanza delle due iniziative legislative allora in corso, una parlamentare e l’altra governativa, con le quali si intendeva affrontare il problema della distruzione delle risultanze estranee all’oggetto delle indagini”. A dimostrazione della “ineliminabilità dell’intervento del legislatore per l’eventuale modifica della disciplina codicistica delle modalità della distruzione delle intercettazioni ancorché irrilevanti” venivano citate di seguito le parole conclusive del dibattito pronunciate dall’allora Presidente del Senato Nicola Mancino: “Adesso, proprio in presenza delle iniziative governative, tocca al Parlamento introdurre nell’ordinamento norme necessarie a garantire i due valori che ho appena indicato”. Dichiarazioni decisamente paradossali alla luce degli eventi che lo riguardano a distanza di 15 anni. Di fatto la conclusione di quel dibattito parlamentare aveva evidenziato che “l’intercettazione indiretta e accidentale della conversazione del Presidente Scalfaro non costituiva la violazione di alcuna norma di legge da parte della Procura della Repubblica di Milano”. E a tale conclusione si era attenuto il Presidente Scalfaro “non sollevando al riguardo alcun conflitto di attribuzioni nei confronti della Procura di Milano, così come del resto ha fatto anche il Presidente Napolitano con riferimento alle due precedenti intercettazioni accidentali di sue interlocuzioni disposte dalla Procura di Firenze”.

Campo dei Fiori
Ripensando alle parole della memoria illustrativa ecco che la manifestazione contro la sentenza della Consulta assume ulteriore valore e peculiarità. Piove a intermittenza, siamo a due passi da Campo dei Fiori. La statua di Giordano Bruno posta nel luogo esatto dove il 17 febbraio 1600 il grande filosofo di Nola arse vivo sta lì a ricordare la forza della parola che sopravvive alla morte. Sul palco Salvatore Borsellino grida tutta la sua indignazione. C’è uno Stato che vuole impedire ad un pugno di magistrati di arrivare alla verità definitiva sul biennio stragista ‘92/’93. E, così come in guerra, ogni azione per fermarli è “lecita”. Consulta compresa. Tante agende rosse si sollevano in aria quando il fratello del giudice Borsellino ricorda la prima manifestazione “Io so” realizzata nel 2009 sempre in Piazza Farnese. Prima ancora di quel giorno Salvatore aveva già iniziato a gridare tutta la sua sete di giustizia, ma quella data segnava un importante giro di boa nella pretesa della verità che stava accomunando tanti cittadini onesti. Una grande emozione si espande tra il pubblico quando Manuel Agnelli degli Afterhours legge un estratto di “Lampi nel buio” tratto dal libro “Paolo Borsellino e l’agenda rossa”. Così come quando il drammaturgo, attore e scrittore Moni Ovadia grida con forza l’importanza del diritto a sapere, ricordando il IMG 20121215 171058debito che ognuno di noi ha nei confronti dei magistrati che hanno dato la vita per la giustizia e verso i loro colleghi che continuano a lavorare seguendo il loro spirito di servizio. “Il conflitto di attribuzione del Quirinale resterà nella storia come intralcio alla verità”, le parole di Marco Travaglio racchiudono l’indecenza di un’azione giudiziaria che ricorda quei flussi e riflussi storici contrassegnati da stragi impunite. Ed è il ruolo dell’informazione ad essere messo sotto i riflettori. Nella piazza si nota pesantemente l’assenza dei grandi Media; a parte Rainews24, qualche telecamera senza loghi riconoscibili ed alcuni freelance, c’è il vuoto più assoluto. L’arma potentissima della censura rimane quella più utilizzata dal Sistema nei confronti di tutti coloro che hanno promosso questa importante manifestazione (che ha raccolto le adesioni di: Associazione Familiari Vittime di Mafia, Associazione Familiari Vittime di via dei Georgofili, Associazione "I cittadini contro le mafie e la corruzione", Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Marco Tullio Giordana, Carlo Freccero, Giulietto Chiesa Alternativa-laboratorio politico, ARTICOLO54, Francesca Fornario, Associazione nazionale LIberacittadinanza, Maria Ricciardi Giannoni, Antonio Turri,
Cittadini della Nuova Resistenza amici di Borsellino e Schönau, Rete Antimafia Provincia di Brescia). Ed è una censura ancora più strisciante perché molto spesso si basa essenzialmente su comportamenti censori da parte degli stessi giornalisti pronti a vendersi al miglior offerente. Dal canto suo il direttore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro, punta l’indice proprio sul paradosso tutto italiano di un caso giudiziario così rilevante come quello sulla trattativa, che in qualsiasi altro Paese “civile” verrebbe costantemente monitorato dai media, volutamente ignorato in patria. Dello stesso avviso la giornalista Silvia Resta che in una sorta di excursus storico ripercorre le tante volte che la censura televisiva ha colpito i suoi servizi. Se da una parte c’è un vero e proprio occultamento delle notizie, dall’altra parte c’è chi sta lavorando per far emergere elementi di verità, una di queste è sicuramente l’attrice-regista Sabina Guzzanti in piena fase di realizzazione del suo nuovo film sulla trattativa Stato-mafia. La Guzzanti interviene per un rapido saluto in totale solidarietà dei magistrati palermitani. Di seguito è Marco Bertelli del sito 19luglio1992.com a leggere la risposta del magistrato Sebastiano Ardita alle polemiche intercorse dopo le dimissioni dall’Anm di Palermo da parte di Antonino Di Matteo. Nelle mailing list dei magistrati c’è chi ha accusato Di Matteo di aver “tragediato” per quanto riguarda l’iter delle sue dimissioni ed è lo IMG 20121215 165913stesso Ardita a spiegare a chi ha sollevato la polemica il significato reale di “tragedie” legate alla sofferenza delle vittime innocenti della trattativa Stato-mafia. “Io voglio sapere se sono complice o no”, chiede successivamente in maniera provocatoria il noto vignettista Vauro riferendosi alla necessità di conoscere a fondo i protagonisti istituzionali nelle stragi degli anni ’90. Vauro esige chiarezza e manifesta la sua grande determinazione a non “disertare” nei confronti della ricerca della verità. Agli interventi sul palco si intervallano i contributi video di Fiorella Mannoia, Luigi De Magistris, Paolo Flores D’Arcais e Giovanna Maggiani Chelli; vengono lette poi le lettere di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Don Andrea Gallo, e quella dei familiari di Attilio Manca che da anni chiedono di fare luce sull’omicidio del loro congiunto per verificare l’eventuale “ruolo” di Bernardo Provenzano. Dopo le giornaliste Sandra Amurri e  Rossella Guadagnini anche lo scrittore Aldo Busi interviene sul palco per portare una testimonianza di indignazione nei confronti della Consulta e di totale sostegno alla Procura di Palermo. La grande forza del magistrato campano Ferdinando Imposimato vibra tutta nella sua ricostruzione storica del potere deviato in Italia, fino al suo appello accorato (rivolto all’associazione delle Agende Rosse) a  ricorrere alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro la sentenza della Consulta. La gente applaude entusiasta. Con grande passione civile l’avvocato Fabio Repici evidenzia come il Capo dello Stato non possa in alcun modo interferire sulle indagini di mafia. Il legale messinese sottolinea con grande amarezza come sia inconcepibile che in un Paese come il nostro la ricerca della verità sia portata avanti prevalentemente dai familiari di vittime di mafia e non dallo Stato nella sua totalità.  La gente applaude con forza, così come durante l’intervento della presidente della Commissione antimafia europea, Sonia Alfano, che torna sull’argomento per poi proporre come successore di Napolitano Salvatore Borsellino o Giovanna Maggiani Chelli. Con un lunghissimo applauso la piazza dimostra di approvare le proposte lanciate dalla figlia del giornalista ucciso dalla mafia Beppe Alfano. Allo stesso modo Benny Calasanzio Borsellino, nipote di due vittime di mafia, Giuseppe e Paolo Borsellino, sottolinea come senza l’impulso dello stesso Salvatore Borsellino il processo sulla trattativa non si sarebbe fatto. L’importanza della presenza attiva della società civile continua a manifestarsi ancora nelle udienze preliminari di questo complesso procedimento giudiziario (che ancora deve confluire in un vero e proprio dibattimento) attraverso la recente costituzione di parte civile da parte dell’associazione Cittadinanza per la magistratura. Sul palco si susseguono ancora altri protagonisti di questa manifestazione: dal cantante Daniele Silvestri che, seppur febbricitante, sprona la gente “a schierarsi con 622000 10200235011546001 231854518 oi magistrati”, fino all’ex investigatore della Dia Pippo Giordano, già collaboratore di Paolo Borsellino, che, dopo aver ricordato le vittime della mafia, prende le difese di Antonio Ingroia definito “mascalzone” da uno degli indagati nell’inchiesta sulla trattativa, Calogero Mannino, durante la trasmissione di Michele Santoro. “Oggi è alto il rischio di nuovi attentati – spiega successivamente Giorgio Bongiovanni –. Potrebbe nascere una nuova trattativa Stato-mafia”. “Messina Denaro è ancora in libertà nella sua Castelvetrano e nasconde i segreti che un tempo deteneva Riina, come è accaduto in passato Cosa Nostra può essere il braccio armato dello Stato. Noi dobbiamo metterci in mezzo, come cittadini e membri della società civile per impedire nuovi attentati. Dobbiamo difendere i magistrati”. La gente ascolta in silenzio. Dopo aver ipotizzato le “considerazioni” di Mancino e Napolitano (nelle telefonate intercettate) su alcuni magistrati o familiari di vittime di mafia il direttore di Antimafia Duemila stimola la gente a chiedersi il perché queste indagini diano tanto fastidio e quale sia il segreto di Stato che si nasconde dietro alla trattativa. Per Bongiovanni è alquanto emblematica l’ansia di Agnese Borsellino nel raccontare la forte apprensione del marito quando, rientrato da Roma il primo luglio 1992, le aveva detto di avere respirato “aria di morte al Viminale”. Quel giorno Borsellino aveva incontrato Nicola Mancino, Vincenzo Parisi e Bruno Contrada. “La strage di via D'Amelio è un'esecuzione di Stato, realizzata per uccidere chi si era messo in mezzo a quella trattativa. E oggi altri magistrati sono da ostacolo all'occultamento della verità”. Salvatore lo osserva attentamente. Infine un ultimo appello del direttore di Antimafia Duemila per le prossime elezioni: “Prima di andare a votare si ascolti bene quelli che sono i programmi dei partiti che parteciperanno alla corsa elettorale. Chi non mette ai primi punti del programma politico la lotta alla mafia è tra i partiti che sta trattando con la mafia ancora una volta”. Rabbia, dolore, disillusione e poi ancora tanta tantissima speranza rivolta nei confronti dei giovani “che prenderanno il mio posto nella ricerca della verità”, con questi sentimenti Salvatore Borsellino saluta la piazza con la speranza radicata in sè che dopo di lui saranno proprio questi giovani a gridare ciò che rappresenta l’emblema della sua lotta: “Resistenza! Resistenza! Resistenza!”. Il grido di Salvatore si alza imponente nell’aria mentre scandisce tre volte una parola che lo tiene in vita, oltre ogni limite della stanchezza umana. Nella pretesa più assoluta della verità.

FOTOGALLERY © Castolo Giannini
PIAZZA Farnese 15 dicembre 2012 "Noi sappiamo"

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