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lettera-scrivere-webdi AMDuemila - 17 ottobre 2012
Era l'estate del 1992, a cavallo tra la morte di Falcone e la morte di Borsellino, quando una lettera anonima di otto pagine, indirizzata a 39 destinatari (tra cui lo stesso Paolo Borsellino ed il Capo dello Stato), venne pubblicata sulle pagine de “La Sicilia”. Una missiva in cui si parlava del reinserimento dei latitanti nella società attraverso la dissociazione, dell’abolizione del 41 bis e del blocco della confisca dei beni alla mafia. Tutti elementi inseriti nel “papello” di Riina.

Nella lettera l'anonimo, ribattezzato “il Corvo 2”, ripercorreva le tappe della discesa dell'onorevole Andreotti facendo riferimento a personaggi della Dc siciliana come Calogero Mannino e Piersanti Mattarella. Dalla Procura, secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, le bocche restano cucite. Non si sa se in questi anni siano state compiute indagini concrete sull'identità del “Corvo 2”.
Alcuni vedrebbero ancora una volta i Ros come protagonisti. Il maresciallo Carmelo Canale avrebbe raccontato che, secondo quanto gli avrebbe riferito Borsellino, il Prefetto Finocchiaro, allora Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la mafia, sospettava che l’autore della lettera potesse essere Bruno Contrada. Ma è proprio quest'ultimo, ex numero due del Sisde condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e ormai giunto a fine pena, a difendersi ribadendo che i sospetti erano sui Ros: “ Il Sisde mi chiese solo di effettuare le prime verifiche. Da un’analisi del testo emerse che la lettera proveniva da ambienti alti, istituzionali poi non me ne occupai più e non so che iter abbiano seguito le indagini”. Quel che è certo è che la lettera creò un certo clamore. Nei mesi successivi alla pubblicazione, il 7 settembre, il senatore del partito comunista, Lucio Libertini, interviene addirittura a Palazzo Madama, alla presenza dell'ex ministro Nicola Mancino (oggi imputato al processo sulla Trattativa), chiedendo una promessa di impegno per far luce su certe questioni.

“Un tale Di Miceli”
Sempre all'interno della lettera del “Corvo 2” veniva nominata anche una persona, un uomo chiave che metteva in collegamento i big della politica con il capo dei capi Totò Riina, “un tale Di Miceli", che sarebbe stato individuato in Piero Di Miceli, commercialista classe'38, noto a Palermo come “il professore”. Di questi è tornato a parlare oggi il Fatto Quotidiano che lo ha anche intervistato. Si tratta di una figura particolarmente nota negli ambienti palermitani con un passato al consolato Usa e nell'istituto di credito più importante dell'isola, il Banco di Sicilia. Dopo aver aperto uno studio di commercialista, abbandono il Banco per diventare un consulente della Procura di Palermo, in un primo momento con qualche incarico per pareri tributari o fiscali, poi come amministratore di beni sequestrati alla sezione delle misure di prevenzione del Tribunale, poi ancora come curatore alla sezione fallimentare. Addirittura è diventato perito per i beni sequestrati a Vito Ciancimino. Alcuni pentiti lo descrivono come uomo vicino a Cosa Nostra e ai servizi segreti tanto che finisce al centro di diverse inchieste su mafia e politica. Altri dicono che è vicino agli ambienti della massoneria ma lui, intervistato, nega ogni accusa ed anzi si dice convinto che quella missiva era una attacco nei suoi confronti, per le numerose perizie svolte per conto di diversi tribunali che hanno portato alla condanna di mafiosi. “Consideri che l’anonimo è arrivato proprio mentre facevo la perizia sui beni di Ciancimino. Solo a distanza di anni apprendo che proprio in quel momento i Ros contrattavano con lui la famosa trattativa, promettendogli anche la liberazione dei beni. Questo è il fatto grave: una parte dello Stato agisce per sequestrare i beni di questi signori e un'altra parte dello Stato si impegna a restituirgli tutto” ha detto alla giornalista Dina Lauricella. Per quanto riguarda la mano che scrisse quella lettera secondo Di Miceli potrebbe esserci qualche collegamento con due informatori “che sono andati a riferire fatti fantasiosi sul mio conto all’allora prefetto dell’Alto commissario per il coordinamento della lotta alla Mafia, Domenico Sica”.

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