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Gli attentati ai carabinieri parte dell'ampia strategia di attacco allo Stato
di Aaron Pettinari

Dopo quasi tre giorni di Camera di Consiglio la Corte d'assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, ha emesso il verdetto: colpevole il boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, condannato all'ergastolo. Colpevole Rocco Santo Filippone, condannato all'ergastolo.
Entrambi ritenuti responsabili, in qualità di mandanti, di quegli attentati ed omicidi avvenuti tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994, in cui persero la vita anche gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo (uccisi il 18 gennaio 1994 sull'autostrada Salerno-Reggio, ndr). Delitti che, a questo punto, vanno considerati a tutti gli effetti come inseriti nel contesto della strategia stragista di attacco allo Stato. Il Mammasantissima di Meliccuco è stato condannato anche a 18 anni per il reato di associazione mafiosa (la procura ne aveva chiesti 24).
Per anni si è ritenuto che la 'Ndrangheta non avesse mai avuto a che fare con quella stagione di sangue e terrore. Ventisei anni dopo si arriva ad una nuova verità e si può affermare che Cosa nostra e l'appoggio della criminalità organizzata calabrese non era solo morale, ma concreto.
Un altro pezzo che va ad aggiungersi a quanto emerso fino ad oggi in altre inchieste e processi. Perché, come ribadito più volte dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel corso delle cinque udienze di requisitoria, "non si partiva da un foglio bianco". In tre anni di processo sono stati sentiti collaboratori di giustizia, investigatori, gran maestri, politici e piano piano è stato dato corpo ad una ricostruzione che, evidentemente, ha convinto i giudici che hanno accolto le richieste dell'accusa.
Certo, per comprendere bene fino a che punto si dovranno attendere le motivazioni della sentenza (che sarà depositata nei 90 giorni), ma già la requisitoria del pm Lombardo aveva evidenziato i passaggi chiave.
“Attorno alle stragi - aveva ribadito il pm in una delle cinque udienze di discussione - ruotano le grandi componenti mafiose, ad un livello riservato e segreto. Fatti emersi nel processo con svariati collaboratori che hanno parlato di questo livello a cui spettavano le decisioni straordinarie come quelle assunte nel momento in cui si decise di portare avanti la strategia stragista e che passava da tutta una serie di interessi convergenti legati al crollo di una stagione politica specifica. Una stagione che ruotava attorno al crollo comunista e vedeva il disgregarsi di una serie di forze massoniche di ispirazione gelliana e nuovi referenti politici, nel momento in cui i vecchi non erano in grado di garantire più nulla”. E così “si immaginava di sfruttare le potenzialità elettorali della Lega nord - aveva continuato il magistrato - e, come abbiamo visto da alcune testimonianze, su indicazioni di Gelli e anche di enti vaticani si porta avanti il progetto della Lega meridionale. Un progetto che in realtà diventa una mera copertura nel momento in cui quelle componenti criminali sanno che Forza Italia sta per diventare un soggetto politico effettivo. Ecco Provenzano che si muove su quel versante, ecco Bagarella che abbandona Sicilia Libera”.

lombardo magistrati sentenza 24 luglio

Il progetto separatista, ha ricostruito il magistrato, venne accantonato e sostituto con un altro ritenuto “vincente”. E ad appoggiarlo fu tanto Cosa nostra, quanto la 'Ndrangheta con i voti che confluirono in Forza Italia. Nel mezzo stragi e delitti come quel "colpo di grazia" che doveva essere rappresentato dall'attentato allo stadio Olimpico. Anche in quell'occasione l'obiettivo doveva essere rappresentato da militari dell'Arma dei Carabinieri. E la macchina fu imbottita di esplosivo e tondini di ferro che dovevano servire ad amplificare l'effetto distruttivo dell'ordigno. Solo un malfunzionamento del telecomando evitò la consumazione di quell'efferato atto criminale. A raccontare i dettagli di quel progetto è stato Gaspare Spatuzza. Sono state proprio le dichiarazioni dell'ex killer di Brancaccio a dare il via alle indagini confluite nel processo. Accanto a lui decine e decine di collaboratori di giustizia siciliani e calabresi hanno raccontato dei rapporti tra Cosa nostra e 'Ndrangheta, fino a divenire una "cosa unica" all'interno di un medesimo "sistema criminale".
Così è stata ricostruita un'intera stagione.
Della nascita di Forza Italia e dell'ex premier Silvio Berlusconi si è parlato a lungo nel corso del processo. Tra coloro che hanno nominato più volte l'uomo di Arcore figura proprio uno degli imputati: Giuseppe Graviano.
I riferimenti erano già chiari nelle intercettazioni registrate in carcere, ad Ascoli Piceno, durante il passeggio con il detenuto Umberto Adinolfi.
Poi, dopo un silenzio durato vent'anni, "Madre natura" (così lo chiamavano i suoi sodali) ha deciso di rispondere alle domande del pm e degli avvocati. Tanto in aula quanto nella sua memoria, inviata alla Corte, l'ex boss di Brancaccio ha raccontato la sua verità sui rapporti della sua famiglia con Berlusconi. Così è emerso che non solo avrebbe incontrato più volte il Cavaliere, ma la sua famiglia sarebbe stata in società con lui, frequentandolo da ben prima dell'entrata di Forza Italia nell'universo politico.
Nel suo flusso di coscienza Graviano ha anche riferito di "imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi, e di aver saputo che “in quel periodo c’era un ministro degli Interni che cercava un accordo. Per fermare le stragi si sono rivolti alle persone di Enna”. Non una città come tante, ma quella in cui furono compiute una serie di riunioni nel 1991 tra Riina, i vertici di Cosa nostra e non solo, per progettare la strategia stragista.
E ancora ha mostrato la propria rabbia per la morte del padre (Michele Graviano) e quell'arresto improvviso, avvenuto il 27 gennaio 1994. “Vada a indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo e scoprirà i veri mandanti delle stragi, scoprirà chi ha ucciso il poliziotto Agostino e la moglie, scoprirà tante cose. Se i carabinieri diranno la verità su come sono andati i fatti, se anche D’Agostino Giuseppe dirà chi li ha invitati a fare il provino al Milan, e la società di Milano, voi scoprirete chi sono i veri mandanti” aveva detto in udienza. E nella memoria è ancora più specifico: “L’arresto di Milano è stato veramente singolare e inaspettato. Sono certo che un ruolo, oltre chiaramente alle forze dell’ordine, sia da attribuire a Contorno e a Berlusconi”.
Messaggi trasversali proiettati verso l'esterno fino al 29 maggio 2020, data in cui ha deciso di trincerarsi nuovamente nel silenzio.
Le ultime parole le ha lasciate alla sua memoria dove nega ogni responsabilità sulle stragi, torna a parlare di Berlusconi, ed indica nel "gruppo Contorno", in cui a suo dire rientrerebbe anche Gaspare Spatuzza, il principale responsabile di fatti e misfatti. Di quel documento, così come le trascrizioni dei verbali di udienza con le dichiaraiozni rese dal boss di Brancaccio nel corso dell'esame, sono state trasmesse dalla Corte alla Procura "per le determinazioni di competenza". E lo stesso è stato fatto per i verbali e le trascrizioni delle dichiarazioni rese da Giuseppe Calabrò nelle udienze del 19 e del 27 settembre 2019.
Decisione che apre anche a nuovi scenari investigativi, così come lo stesso Lombardo aveva detto nel corso della requisitoria: "Noi abbiamo vissuto una stagione stragista riferibile a un sistema criminale che va oltre le mafie". E dopo la richiesta delle pene lo stesso Procuratore capo Giovanni Bombardieri (anche oggi presente in aula accanto al procuratore aggiunto Lombardo ed il sostituto Walter Ignazzitto) aveva evidenziato come "i carabinieri sono state vittime sacrificate in un più ampio disegno stragista, opera delle mafie, ma di cui i mandanti sono ancora occulti”. E' il filo dei cosiddetti mandanti esterni. Dopo questa sentenza anche a Reggio Calabria ha inizio la caccia per svelare i loro volti.

Foto/Video © ACFB

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