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Il boss di Brancaccio risponde nel processo 'Ndrangheta stragista: “Verità si scopre indagando su arresto mio e di mio fratello"
di Aaron Pettinari

Poco più di tre ore di udienza. Tanto è durato il "Giuseppe Graviano show" al processo 'Ndrangheta stragista, in corso a Reggio Calabria davanti alla Corte d'Assise. Il boss di Brancaccio si trova imputato, assieme a Rocco Santo Filippone, per essere stato mandante degli attentati contro i carabinieri avvenuti in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994 e in uno dei quali furono uccisi i sottufficiali Antonino Fava e Vincenzo Garofalo mentre pattugliavano l'autostrada Salerno-Reggio Calabria all'altezza dello svincolo di Scilla.
Un esame in cui, tra detto e non detto, il capomafia siciliano ha lanciato messaggi, attaccato i collaboratori di giustizia (in particolare ha fatto i nomi di Spatuzza, Tranchina e Brusca, ndr) e offerto la sua chiave di lettura su alcuni discorsi fatti durante l'ora d'aria trascorsa, nel 2016, assieme al camorrista Umberto Adinolfi.
Ma ha aggiunto anche dell'altro, rivolgendosi a Lombardo: "Se lei andrà ad indagare sull'arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità".
E poco dopo ha lanciato un altro messaggio sibillino. Prima riferendosi al plurale a ‘imprenditori di Milano’ e poi, su richiesta di specifica del pm Lombardo, al singolar: "C'era un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero. Chi me lo ha detto? Me lo ha riferito nel carcere di Spoleto (tra il 2006 ed il 2007) un altro detenuto napoletano. Si evince dalle intercettazioni ma non mi chieda di dire il nome perché non farò nessun nome. Non mi sembra corretto e rispetto le confidenze che ho".
Poco prima, rispondendo alle domande del pm, il capomafia siciliano aveva sostenuto che l'ordinanza che aveva portato aveva ricostruzioni false, ma "togliendo le dichiarazioni in carcere con Adinolfi". Un dato che non può passare inosservato tenuto conto che in quei dialoghi si parla di fatti come le stragi, una "cortesia" richiesta e il progetto politico di Sicilia Libera e Forza Italia.

Attentato Calipari
Un esempio è il riferimento ad un progetto di attentato nei confronti di un funzionario della Mobile di Cosenza, su richiesta dei calabresi, approfittando che questi si recava spesso a Palermo per questioni familiari.
In quei dialoghi, registrati e depositati al processo, il riferimento era Nicola Calipari, il poliziotto appartenente ai servizi segreti italiani, ucciso a Baghdad il 4 marzo del 2005, durante le operazioni di liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. E in quel "flusso di coscienza" addirittura Graviano si vantava di aver bloccato l’esecuzione del delitto. Dagli accertamenti compiuti dalla Procura reggina, però, non è mai emerso che Calipari fosse stato a Palermo, mentre invece vi si era recato l'ispettore Antonio Provenzano che all'epoca lavorava alla Squadra mobile di Cosenza.

Un ministro che non voleva le stragi
Durante la deposizione, parlando sempre delle informazioni ricevute dopo il suo arresto, Graviano è tornato ad essere sibillino, riferendo sempre di quelle informazioni raccolte con quell'imprecisato detenuto di Napoli: "Disse che fu chiesto di eliminare un ministro degli Interni di allora affinché non intervenisse per fermare questa situazione delle stragi. Perché questo, tramite un suo figlioccio, si era rivolto a persone siciliane di Enna. E le persone di Enna hanno risposto che non sapevano nulla e che si sarebbero informati. Se sarebbe stata la risposta positiva o negativa chiedevano di portare ad Enna le gare di Formula uno ed un centro commerciale".

L'arresto
Parlando del proprio arresto, avvenuto il 27 gennaio 1994, ha parlato anche del noto provino al Milan per il figlio di un soggetto (Giuseppe D'Agostino, ndr) che fu arrestato proprio con i Graviano. "D'Agostino Giuseppe è stato coinvolto a sua insaputa era la prima volta che veniva a Milano, l’hanno avvicinato con la storia che doveva far fare al figlio un provino con il Milan. Se i carabinieri diranno la verità su come sono andati i fatti, quelli che mi hanno arrestato, se anche D’Agostino Giuseppe dirà chi li ha aiutato a fare il provino al Milan e le società di Milano. Se indagate su questo, voi scoprirete la verità su chi sono i veri mandanti".
Proseguendo con l'esame Graviano, ovviamente, pur dicendo di "rispettare le sentenze ed i giudici che le hanno scritte" ha allontanato da sé ogni responsabilità su stragi e delitti.
A suo dire sono "totalmente false" le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza (nonostante, come evidenziato dal pm, vi siano i riscontri anche di altri collaboratori di giustizia, ndr) "con cui non mi sono incontrato nel 1994 a Roma". E alla domanda se non fosse mai entrato al bar Doney ha ribadito di non esserci mai stato "con Spatuzza" e di non poter ricordare tutti i locali in cui era stato nella Capitale ma ha escluso di esservi stato nel 1994.
Ma perché Graviano parla solo oggi al processo 'Ndrangheta stragista? Dal carcere di Terni, dove era collegato in videoconferenza, ha detto di non aver voluto rispondere al Gip, durante l'udienza preliminare, in quanto "non era preparato e mi aveva contestato solo gli attentati quando mi contestavano anche gli omicidi".
"Per quale motivo, dunque, nei giorni successivi non ha contattato me per dare la sua versione dei fatti?" ha chiesto Lombardo con insistenza. E Graviano ha risposto: "Non ricordo. Forse perché era estate e non volevo disturbarla".
Nonostante le tante domande l'esame non si è concluso, anche perché Graviano nonostante le ordinanze della Corte affinché fosse fornita una strumentazione adeguata per l'ascolto, non è riuscito ancora a sentire tutti gli audio delle intercettazioni con Adinolfi. Così si riprenderà il 7 febbraio prossimo quando Graviano potrà nuovamento "disturbare" giudici e pm. Ma "non sarà un disturbo". Anzi, sarà un'udienza di notevole interesse.

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