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Il pentito annuncia: "Ho pronto un nuovo memoriale sulla massoneria"
di Aaron Pettinari e Davide de Bari

“L’esplosivo per le stragi di Falcone, Borsellino e quelle di Firenze, Roma e Milano? Fu preso da Giovanni Aiello ad Annà, dalla cosca Iamonte. Era stato mandato da Gaetano Scotto. In tutto erano circa 10 quintali e furono portati gran parte in Sicilia, e il rimanente a Firenze, Roma e Milano. Mi parlò delle stragi, dicendomi che i mandanti erano i fratelli Graviano e Rocco Filippone. Anche per quanto riguarda le stragi di Falcone e Borsellino, mi disse che l’esplosivo era quello di Reggio Calabria e che era stato sempre lui a prenderlo, mandato da Scotto e da altre persone". È il collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, detto il Nano, a tirare nuovamente in ballo il nome di Giovanni Aiello (in foto), anche noto alle cronache come "Faccia da mostro" (deceduto nell'agosto 2017), rispetto agli attentati che hanno insanguinato il Paese tra 1992 ed il 1994. Il pentito è stato sentito ieri mattina, intervenendo in videoconferenza davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria, nell’ambito del processo ‘Ndrangheta stragista che vede alla sbarra il capo mafia di Brancaccio Giuseppe Graviano, e il boss Rocco Santo Filippone, entrambi accusati per gli attentati ai Carabinieri avvenuti tra il 1993 e il 1994 in cui morirono anche i due appuntati Garofalo e Fava. Per quasi quattro ore ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, chiamato a riferire proprio su quanto apprese rispetto a quella strategia stragista che fu condivisa dai siciliani e dai calabresi.

Gli attentati ai carabinieri
Di questo aveva parlato nel giugno 2017, in un memoriale scritto a computer, in un file chiamato "L'Innominabile", dedicando un intero capitolo dal titolo piuttosto esplicativo (“Gli accordi con i siciliani e reggini. Gli attentati ai carabinieri”) riguardo le vicende che interessano il processo. Ieri al processo ha riferito di aver appreso sia da Giuseppe Villani che dal figlio di quest'ultimo, Consolato (oggi anche lui collaboratore di giustizia, ndr), diversi particolari su questi fatti: "Tra il 2003 ed il 2004 Consolato Villani, che allora era santista e poi gli venne riconosciuto il grado di Vangelo, mi raccontò dell'uccisione dei carabinieri a Scilla e degli altri attentati. Mi disse anche che aveva fatto una telefonata rivendicandola Falange armata. Mi raccontò come avvenne l’agguato a Scilla, dicendo che erano sull’autostrada e avevano la gazzella davanti e decisero di affiancarla, sparare i primi colpi e poi scendere dall’auto e sparare contro i carabinieri". Ma Villani gli parlò anche dell'agguato a Saracinello. In questo caso gli disse che "si trovavano a casa dei Calabrò, che c’era una scala di legno. La casa confinava con una concessionaria di auto che si affacciava sulla 106. Quando arrivò la prima gazzella iniziarono a sparare".
Su quell'attività di stragi ed attentati il padre di Villani, Giuseppe, gli aveva fatto "una panoramica". "In un'occasione - ha aggiunto Lo Giudice - mi disse che fra il 1993 e il 1994 erano stati chiamati lui, Santo Calabrò, Giuseppe Calabrò e un altro personaggio che non ricordo. Ci fu una riunione ad Oppido Mamertina, nella casa del figlio di Rocco Filippone. Lì hanno iniziato a fare un discorso sugli attentati ai carabinieri. Giuseppe Villani mi raccontò che, in cambio di quello che i siciliani volevano, gli davano armi e droga. Hanno portato a termine un massacro. Giuseppe Villani era coinvolto e sapeva. Ne era a conoscenza. Lui ha trattato con Rocco Filippone. Lui e Santo Calabrò".
Ma vi fu anche un'altra riunione dove, insieme ai calabresi avrebbero partecipato anche i fratelli Graviano.
"I Graviano erano stati mandati da Riina e Provenzano per iniziare a colpire i carabinieri e vennero per chiedere aiuto per colpire nella Piana di Gioia Tauro - ha detto il teste - De Stefano era il capo Crimine e tutte le famiglie di Reggio mandarono lui. Poi c'erano Marcello o Giuseppe Pesce e Filippone. Questi era importante perché rappresentava la Piana per conto dei Piromalli e lui aveva dato appoggio ai Graviano per arrivare ad una soluzione". Sull’aiuto da dare ai siciliani, Lo Giudice ricorda che si sarebbe espresso anche De Stefano: "Disse che erano disponibili ad appoggiarli sia finanziariamente che logisticamente. Ma nessuno doveva sapere dell’aiuto dei reggini, doveva rimanere una cosa strettissima. E i killer non dovevano essere legati a nessuno, per evitare possibili pentimenti".

Gli scontri con Condello e il primo incontro con Faccia da mostro
Nel corso del lungo esame Lo Giudice ha ripercorso la sua storia criminale a cominciare da quel periodo in cui curò anche la latitanza del "Supremo", Pasquale Condello. "Lui era il capo dei capi. Assieme a lui c’era anche Giuseppe De Stefano, capocrimine, ma la ‘ndrangheta reggina la comandava Condello. Questi mi chiese di rappresentarlo nelle riunioni di ‘ndrangheta e nella massoneria. Voleva presentarmi soggetti legati a quel mondo come l’avvocato Marra, Pasquale Rappoccio. Lo stesso Condello era massone". I rapporti con il capomafia in un primo momento si raffreddarono, dopo che il gruppo dei Lo Giudice rifiutò un affare nel settore della droga e si concluse la gestione della latitanza, poi divennero critici nel 2007, dopo il suo arresto nell'inchiesta Bless. "Leggendo le carte, mi resi conto che Condello aveva attuato nei confronti miei e della mia famiglia una tragedia - ha detto al pm - già da quando fu ucciso Fortunato Audino e ferita un’altra persona. Di quel delitto si autoaccusò il pentito Giuseppe Lombardo. Ma Condello aveva avuto il coraggio di farsi proteggere da me dopo aver fatto una tragedia come quella. Allora io decisi di prendere dei contatti per far uccidere Condello". Un tentativo che non andò a buon fine, dunque si optò di agire per far arrestare il capomafia: "Luciano, mio fratello, aveva molti contatti alla Dna, al Ros, aveva amicizie anche con il Sisde, rapporti nati grazie all'amicizia con Mollace, Cisterna e l'ex capitano Spadaro Tracuzzi. Noi facevamo di fatto i confidenti. Avevamo informazioni su dove si trovasse, sebbene non fossero certe. Mio fratello mi chiese quale persone potessero aiutarci a farlo catturare. Mi venne in mente suo genero, Giovanni Barillà. Così passammo l’informazione al maresciallo del Ros Maesano. Misero le videocamere e le cimici a Barillà, arrivarono a Condello e lo arrestarono. A quel punto c’era gente che piangeva o che rideva. Ricordo che Luciano voleva andare a vedere come era stato arrestato, ma Maesano gli disse di stare calmo".
Quei contatti di alto livello tra la famiglia Lo Giudice e figure istituzionali portarono il "Nano" a conoscere Giovanni Aiello. “A farmi conoscere Faccia da mostro fu il capitano Spadaro Tracuzzi, visto che loro si incontravano a Gioia Tauro, Livorno ed in altri posti - ha spiegato il teste - Nel 2007 le nostre armi scarseggiavano e non sarebbero bastate per un eventuale scontro con i Condello. Così mi misi in contatto con il comandante Spadaro Tracuzzi e lui mi disse che mi avrebbe fatto conoscere uno dei servizi. Una sera, mentre mi trovavo al tavolo con Consolato e Giuseppe Villani nel nostro esercizio commerciale di Pineta Zerbi, si presenta Spadaro Tracuzzi con questo suo amico che ci viene presentato come collega. Ci appartiamo e Spadaro ci disse: 'Questo è Giovanni Aiello dei servizi segreti. Lui ha la possibilità di farti avere quello che vuoi'". Poi successivamente dopo alcuni giorni, Aiello insieme a una donna sarebbe tornato da Lo Giudice: "Mi fornì un numero di telefono. Era un numero estero, mi disse di chiamare questa persona e che se la sarebbe vista lui. Noi la contattiamo, sappiamo che era un siriano che stava in Romania, ma non risponde. Io per diversi motivi non mi potevo muovere, così partì Antonio Cortese assieme al siriano e si recarono in Libano. - ha continuato - Si mettono d’accordo per una cifra di 150mila dollari per un container pieno di armi. Come garanzia, Cortese doveva rimanere in Libano fino a che le armi fossero arrivate al porto di Gioia Tauro e io gli avessi consegnato i soldi. Allo sdoganamento delle armi, se la sarebbe vista il capitano Spadaro Tracuzzi. Le cose non andarono bene perché io non riuscii a cambiare gli euro in dollari”. Il collaboratore, prima ancora di conoscere direttamente Aiello, ne sentì parlare in carcere quando era detenuto all’Asinara, tramite Pietro Scotto, fratello di Gaetano. “Tra il ’92 e ’95, in un momento di smarrimento iniziò a gridare delle cose. Eravamo a passeggio io lui ed altre persone. Iniziò a dire di Aiello, chiamandolo proprio come quello con la faccia butterata. Diceva che lavorava nella Questura di Palermo insieme a Contrada e che aveva parlato male della propria famiglia. - ha detto - Disse che lui era innocente”. Quando fu sentito al processo Borsellino quater aveva anche aggiunto ulteriori dettagli su quella discussione aggiungendo che “Scotto a l’Asinara era una furia. Disse che non c’entrava nulla e che era stato lui, Aiello a premere il pulsante. Che era stato lui a far scoppiare la bomba in casa Borsellino”. Lo Giudice ha anche confermato di aver parlato di certi fatti anche con il suo braccio destro, Consolato Villani ("Era persona riservata") e con il padre di questi, Giuseppe.

Gli incontri tra Aiello e Lo Giudice
Lo Giudice ha poi detto che con Aiello si è incontrato circa 10 o 15 volte fra il 2007 e il 2010. “Ci incontravamo nella profumeria di Antonio Cortese e la prima volta con me c’erano Tracuzzi, Consolato Villani e un certo Mercurio che faceva parte della famiglia Latella di Reggio e lui cercava delle armi in particolare bazooka. - ha ricordato - Poi in un incontro sempre nella profumeria insieme a me, Cortese, Antonella (“una guerrigliera, addestrata militarmente a Capo Marrargiu” e sarebbe legata a Gladio, ndr) e una volta c’era Luciano mio fratello che arrivò all’improvviso e ci vide all’entrata che parlavamo e quindi glielo presentai e gli dissi che era amico dei dottori Mollace e Cisterna. Lui già dall’inizio voleva conoscere Luciano per via delle sue amicizie, ma non so il perché di questo interesse”. Secondo il teste in questi incontri Aiello avrebbe tenuto un “corso” di confezionamento di origini e modifica di armi ad Antonio Cortese. “Il ‘corso’ alla fine si tenne, - ha spiegato - tanto che la bomba del 3 gennaio 2010 alla Procura generale (vi furono una serie di attentati anche contro il Pg Di Landro) fu confezionata da Cortese tenendo conto delle istruzioni di Aiello. E così pure quella successiva”. L’ex boss calabrese ha poi ricordato delle circostanze in cui ha fatto dei regali ad Aiello: “Gli facevamo anche regali profumi e orologi. Io gli ho regalo un rolex mentre Antonio profumi e tinte per i capelli per lui e per questa Antonella. - ha spiegato - Io gli facevo i regali per tenerlo vicino a me. Lui voleva informazioni su Condello, su come era stata decisa la pace, domandava dei latitanti. Insomma faceva domande”. Lo Giudice ha poi raccontato che il fratello Luciano era sospettato dalla polizia e quindi “bisognava fare qualcosa”. E qui sarebbe entrato in gioco anche Aiello: “Io lo misi a conoscenza di quello che volevamo fare, lui mi disse che era a disposizione, che se non si riusciva a fare qualcosa per mio fratello ci pensava lui. Ma non gli chiesi aiuto perché ero preso da tantissime cose”. Il pentito ha poi detto che Aiello non sarebbe andato a Reggio solo per questi incontri, ma che sarebbe venuto più volte per incontrare esponenti dei servizi segreti nei pressi dell’università Mediterranea.

Le confidenze di Aiello: dagli omicidi Agostino e Domino alla strage di Pizzolungo
Successivamente Lo Giudice, visti anche i ripetuti incontri, entrò anche in confidenza con Aiello il quale gli avrebbe rivelato tutta una serie di episodi che lo avrebbero visto protagonista. "Mi parlò delle stragi, dicendomi che i mandanti erano i fratelli Graviano e Rocco Filippone - ha detto il Nano - Anche per quanto riguarda le stragi di Falcone e Borsellino, mi disse che l’esplosivo era quello di Reggio Calabria e che era stato sempre lui a prenderlo, mandato da Scotto e da altre persone”. Non solo. Aiello gli avrebbe parlato anche di episodi precedenti. "Mi raccontò dell’omicidio di un bambino in Sicilia il cui padre lavorava in un’aula bunker - ha proseguito - mi parlò dell’omicidio di Ninni Cassarà, di quello di Nino Agostino. Mi parlò anche di una bomba messa a Trapani, dove morirono due bambini e una donna e rimase illeso il magistrato Carlo Palermo". Quindi ha spiegato il motivo per cui di Faccia da mostro non ha parlato nei 180 giorni di collaborazione: "Di lui non ho parlato nel corso dei 180 giorni perché avevo paura. Mi ha minacciato dicendomi di stare attento a quello che faccio perché mi avrebbe trovato ovunque, anche in carcere. Mi disse che non avrei dovuto fare il suo nome".

Un nuovo memoriale
Nel corso della sua deposizione il collaboratore ha anche riferito della vicenda dell'interrogatorio con il magistrato della Dna Gianfranco Donadio ma anche della vicenda della sua ritrattazione avvenuta dopo che fu sequestrato da presunti carabinieri che lo condussero ad incontrare altre persone che suggerirono di dimenticarsi totalmente di Aiello. Dopo l'incontro con Donadio, infatti, avrebbe dovuto consegnare a uomini dei Servizi delle foto fatte da Cortese ad Aiello in un pedinamento. Foto che non sono state più ritrovate: “Io non mi fidavo per questo misi - ha spiegato - nella busta due fogli bianchi e lasciai le foto in un computer che poi ho distrutto, salvando i file in un altro hard disk che però non ho più trovato”. Dopo questi fatti il pentito si dileguò dalla località protetta scrivendo una lettera indirizzandola alle procura di Reggio Calabria, Catanzaro e Milano, poi divenuta un memoriale. Ma non fu quello l'unico documento realizzato dal teste. Ne scrisse anche un secondo, un elenco di nomi e di soggetti di cui gli avrebbe parlato Pasquale Condello ma anche un gran maestro: Cosimo Virgiglio. "Nel secondo memoriale c’erano cose criptate - ha detto rivolgendosi alla Corte - Non potevo dire tutto perché mi dovevo difendere da quello che dicevano di me pentiti, magistrati, avvocati, carabinieri. Quel memoriale fu scritto a Reggio Calabria. Lo scrissi perché volevo scoperchiare il marcio che c’è a Reggio ed in Italia. In tutti i posti vi sono massoni e servizi segreti deviati". Rispondendo alla domanda del pm su come apprese certi nomi ha risposto: "Prima dei domiciliari, a Rebbibia, ho incontrato il grande Maestro Cosimo Viriglio e ci siamo confrontati prima, mentre passeggiavamo. Mi faceva un sacco di nomi e la maggior parte lo sapevo che erano massoni. Nella ’Ndrangheta si sa tutto. In quell’elenco c’erano nomi che facevano parte della massoneria che avevo appreso da Pasquale Condello, mio fratello e tanti altri che si sono uniti in tutto il marcio che c’era in Italia". Ed è a questo punto che il teste ha realizzato un vero e proprio colpo di scena: "Dottore Lombardo, quello che ho scritto è solo una parte. Una buona parte deve essere ancora consegnata. Poi glielo darò".

Lo Giudice tornerà a deporre il prossimo 3 maggio.

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