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Il vice questore per la prima volta sentito a processo

Tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta era forte il legame tra le famiglie criminali siciliane e quelle calabresi. Un dato che sta emergendo con forza durante il processo ’Ndrangheta stragista, in corso davanti la Corte d'Assise di Reggio Calabria, in cui sono imputati i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone con l’accusa di essere i mandanti di una serie di agguati agli uomini dell’Arma dei carabinieri fra il 1993 ed il 1994 (tra cui gli omicidi degli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo), inseriti nell'ambito della strategia stragista di ricatto allo Stato.
Se nel 1991 venne ucciso il giudice Scopelliti proprio per fare un favore a Cosa nostra, sul finire degli anni Ottanta e primi del Novanta erano stati i calabresi a chiedere ai palermitani di uccidere un funzionario di polizia, l'ispettore Antonio Provenzano che all'epoca lavorava alla Squadra mobile di Cosenza. Quest'ultimo è stato oggi sentito in udienza ed ha confermato alcuni dati che erano emersi nel corso delle indagini compiute dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. "Tra l'85, l'86, l'88, l'89, ma anche qualche anno dopo mi recavo a Palermo per alcune visite che effettuava mia moglie, che non stava molto bene - ha confermato il poliziotto - Io in genere quando andavo in Sicilia ero tranquillo mentre nelle zone dove operavo adottavo diverse precauzioni".
La notizia del possibile attentato era emersa da alcune intercettazioni in carcere, nel 2016, tra Giuseppe Graviano e la sua dama di compagnia, Umberto Adinolfi. Graviano spiegava che i calabresi avevano chiesto di uccidere un funzionario della Mobile di Cosenza, approfittando proprio della circostanza che lo stesso si recava nella città per ragioni familiari. Ma in quel "flusso di coscienza" il soggetto a cui faceva riferimento il boss di Brancaccio era Nicola Calipari, il poliziotto appartenente ai servizi segreti italiani, ucciso a Baghdad il 4 marzo del 2005, durante le operazioni di liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Addirittura Graviano si vantava di aver bloccato l’esecuzione del delitto. Dagli accertamenti compiuti dalla Procura reggina, però, non è mai emerso che Calipari fosse stato a Palermo, invece vi si era recato proprio l'ispettore Provenzano.

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Nicola Calipari © Fotogramma


Il collaboratore di giustizia siciliano, Giovanni Drago, ha raccontato delle rimostranze che i fratelli Notargiacomo (appartenenti alla cosca di Cosenza dei Perna) "avevano chiesto di essere autorizzati dal Graviano ad uccidere questo funzionario... quando, accompagnando la moglie, veniva a Palermo. Se non ricordo male ci dissero anche il tipo di macchina che utilizzava…".Nicola Notargiacomo, oggi collaboratore di giustizia, ha confermato agli inquirenti che al tempo c'era la volontà di uccidere proprio l’ispettore Antonio Provenzano. Il fratello Dario Notargiacomo, anch'egli pentito, disse anche che Graviano in un primo momento aveva dato l'assenso ma poi vi fu lo stop di Riina per proseguire con il pedinamento.
A offrire ulteriori spunti il fatto che il fratello di Nicola, Dario Notargiacomo (anch'egli oggi pentito), al tempo aveva avviato una relazione, poi convogliata in matrimonio, con la sorella dell'ispettore.
"Io non avevo rapporti - ha detto oggi Provenzano - Che andavamo a Palermo non lo avevamo detto a nessuno. Forse alla madre di mia moglie ma i colloqui tra loro erano limitati e sporadici". Il vice questore ha anche escluso di aver detto a qualche collega che al tempo si recava a Palermo. Eppure, come ha evidenziato il procuratore aggiunto Lombardo, è singolare la circostanza che vi fosse anche l'indicazione precisa della macchina che lo stesso al tempo guidava.
Ma perché la 'Ndrangheta cosentina voleva colpire l'ispettore? "La chiave di lettura che mi sono dato è che a loro dava fastidio il controllo che veniva fatto anche pubblicamente, in mezzo alle persone, nei loro confronti. Io l'ho fatto con i Notargiacomo ed anche con altri".
Provenzano ha anche parlato del rapporto che lo legava al tempo con Nicola Calipari e che andava "oltre il rapporto professionale". "C'erano spiriti di vendetta nei nostri confronti da parte dei gruppi criminali e risultava. Fu allontanato tre mesi in Australia? Io sapevo che un certo periodo fu allontanato perché era ad un corso".
L'udienza è stata rinviata a venerdì prossimo.

Dossier Processo 'Ndrangheta stragista

Foto di copertina © Imagoeconomica