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graviano giuseppe dietro sbarredi Aaron Pettinari e Claudia Marsili
L'ispettore Briguglio spiega le intercettazioni del colloquio tra il boss, la moglie, il figlio ed il nipote

22 gennaio 2018. Il capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano, la moglie, Rosalia Galdi, il figlio ed il nipote, hanno un colloquio in carcere. Ad un certo punto della conversazione il boss inizia a parlare con i suoi interlocutori di un telefonino che venne sequestrato il giorno del suo arresto, nel gennaio 1994. Dei contenuti di questo colloquio in carcere ha riferito ieri al processo 'Ndrangheta stragista, l'ispettore Giuseppe Briguglio della Squadra mobile di Reggio Calabria che ha svolto attività integrativa di indagine. "In quel dialogo lui tiene a precisare che quel telefonino, intestato ad un altro soggetto di cui inizialmente non ricordava il nome, secondo l'accusa sarebbe stato accollato come un telefonino usato per conversazioni compromettenti e sostiene che era nella disponibilità della moglie ogni volta che la stessa lo doveva raggiungere dove trascorreva la latitanza, quindi per forza di cose attraversava la dorsale della penisola. Graviano si concentra sulla vicenda dicendo alla moglie, al figlio e al nipote che 'lo avevi tu, è fondamentale che voi capiate e spieghiate al collegio che serviva a te per contattare i tuoi genitori e tu mi raggiungevi regolarmente dove era la latitanza e quindi non ha nulla a che vedere con noi'". Secondo quanto raccontato dal teste importanti sono le reazioni di primo stupore e di non comprensione dimostrato dagli altri interlocutori. "Nel riascolto - ha aggiunto - della conversazione oltre alle parole è importante anche la mimica che le parti assumono e la moglie appare un po' spaesata, come se non comprendesse esattamente, ma il marito insiste con tono e sguardo deciso, sia rivolti a lei che al figlio e al nipote. E all'inizio nessuno comprende dove si vuole arrivare. Poi in un secondo momento si capiscono". Dalle indagini è emerso che da quel telefono, intestato ad un soggetto (Taormina Costantino), che risulta essere stato residente in Via Conte Federico, a Palermo, una delle vie in cui ha abitato il nucleo storico della famiglia Graviano fino a quasi metà anni ’90, in un arco temporale ristretto da gennaio al dicembre del 1993, vi erano stati dei contatti con alcuni soggetti che gravitavano attorno all'entourage di Graviano, come Giusto Bocchiaro, o Fabio Tranchina. "In particolare con riferimento specifico ai contatti del 17 dicembre 1993 - ha detto il teste - tra le ore 19.55 e le ore 19.58, ci sono dei tentativi di chiamata che agganciano la centrale commutativa della Calabria, che copre un’area territoriale che abbraccia un’area compresa tra la parte meridionale della Calabria e la parte settentrionale della Sicilia, compatibile con la piana di Gioia Tauro". Ma perché il riferimento assume importanza? Secondo il racconto di alcuni collaboratori di giustizia come Consolato Villani o Antonino Lo Giudice, i vertici apicali di Cosa nostra tennero una riunione con i vertici della 'Ndrangheta proprio nella Piana di Gioia Tauro.
Secondo il teste "la premura con cui Graviano interloquisce con la moglie in riferimento al cellulare, non avrebbe avuto senso se veramente i fatti fossero quelli da lui descritti. Lui è molto preciso e insistente. Ad un certo punto la moglie comprende e recepisce il messaggio, e conferma quanto detto da Giuseppe Graviano. Secondo noi Graviano insiste così tanto con i suoi familiari, per evitare di essere collocato nella zona di Gioia Tauro come affermato dai collaboratori di giustizia. L’interesse di Graviano è che il collegio difensivo recepisca questo dato che per lui è determinante per discolparlo".
Altro tema affrontato è quello dell'eventuale conoscenza tra Giuseppe Graviano e i Vadalà di Bova Marina. In una nota presentata da Briguglio il 18 aprile 2018 compare la trascrizione di un colloquio in carcere tra Domenico Vadalà, la moglie, la figlia ed i nipoti del 29 agosto 2017. Ad un certo punto si parla di una perquisizione subita dalla famiglia proprio nell'ambito delle indagini su 'Ndrangheta stragista.
"Vadalà - ha riferito Briguglio - risulta sorpreso e amareggiato, perché vuole capire se risulta indagato, ma la figlia gli dice di no, che è stato solo menzionato. Ed è in quel momento che Vadalà chiede se è stato Graviano a nominarlo, la figlia dice di no, che è stata la procura a nominarlo, che si tratta del solito abuso della magistratura. Ma lui dice che vuole capire cosa è accaduto". Durante il proseguo della conversazione è poi emerso che a nominarlo sarebbe stato un tale Costa che la figlia dice di essere probabilmente un collaboratore di giustizia. Contestualmente, in quel dialogo, successivo al richiamo dei nominativi di Graviano e Filippone che erano presenti nell'intestazione del decreto di perquisizione, Vadalà ha poi fatto anche riferimento al carcere di Tolmezzo. "Dagli approfondimenti fatti - ha aggiunto il teste - è emerso che Vadalà è stato effettivamente a Tolmezzo ed ha anche beneficiato della socialità con una serie di soggetti esponenti della criminalità organizzata tra cui anche Giuseppe Graviano, Francesco Matrone e Mariano Agate".

Replica Graviano e parla anche del ponte Morandi
Prima della fine dell'udienza il boss di Brancaccio è tornato, così come era accaduto in altre occasioni, a rilasciare dichiarazioni spontanee parlando in particolare del telefonino. "Io e mia moglie non abbiamo mai avuto il telefonino. Quando mi hanno arrestato non mi hanno contestato nessun telefonino, poi in seguito ho appreso di questa cosa, ma non era nostro. Io nel colloquio non ho detto che doveva dire che il telefono era suo. Ma le ho detto che volevano appioppare a me il telefono di mia cognata Francesca, moglie di mio fratello Filippo, arrestata insieme a noi. Durante quel colloquio parlando con mio nipote gli ho detto che doveva chiamare sua madre (Francesca) per dirle che doveva riferire all’avvocato se aveva il telefonino con sé in quel periodo. Per quanto riguarda mio nipote io a lui dico che c'era un confronto tra Spatuzza e suo padre e gli chiedevo di dire a sua madre se poteva trovarlo perché gli avvocati non ci riuscivano. Serviva per smentire a Spatuzza e gli dissi anche della possibilità di revisione dei processi. E lui mi dice: A 'Mio papà non interessano queste cose'. E poi mi ha detto: 'Non mi dire niente che io di processi non ne voglio sapere!'". Poi ha aggiunto: "Noi non chiamiamo mai a testimoniare i familiari ai processi, per cui non ho chiesto a mia moglie quella cosa... Non c’è motivo. Questa è la verità, altrimenti neanche sarei intervenuto. Se questo telefonino esiste è di mia cognata, non mio, né di mia moglie".
Nel suo flusso di coscienza ha anche parlato della sua latitanza, dei viaggi per "andare a sciare" nelle zone del Courmayeur ed anche delle "puntatine" fatte al Casinò di Saint-Vincent o a quello di Sanremo.
Graviano ha anche chiesto alla Corte di acquisire tutte le intercettazioni nel carcere di Ascoli Piceno con il detenuto Umberto Adinolfi. "Tra queste - ha detto - ve ne è anche una in cui mi lamento del ponte Morandi, quello che poi è caduto il 14 agosto; avevo paura. Una sera ci sono passato per andare a Viareggio, guidava mia moglie, pioveva tantissimo e le ho detto di fermarsi, perché non potevamo proseguire. Avevo paura". Come a dimostrare che si parla del passato ma lui è perfettamente aggiornato sul tempo presente e sul disastro avvenuto lo scorso agosto. L'udienza è stata poi rinviata al primo ottobre.

Dossier Processo 'Ndrangheta stragista

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