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Il killer dei Carabinieri Fava e Garofalo: “Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, sono i massoni 'ndranghetisti per eccellenza” 

di Francesca Mondin

Gli attentati ai carabinieri tra dicembre 1993 e febbraio 1994, in cui morirono i due agenti Fava e Garofalo, secondo quanto raccontato dal pentito Consolato Villani, sarebbero “stati voluti anche” da  “falsi rappresentanti dello Stato che fanno parte dei servizi segreti deviati e che hanno partecipato anche a livello organizzativo alle stragi in Sicilia” e che il suo superiore in grado Nino Lo Giudice gli aveva raccontato poter “avere a che fare anche con gli agguati ai carabinieri”. Lo ha raccontato stamane  il collaboratore di giustizia chiamato a testimoniare al processo 'Ndrangheta stragista in cui sono imputati Rocco Filippone, per gli inquirenti all’epoca dei fatti a capo del mandamento tirrenico della ’ndrangheta reggina ed il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già all'ergastolo per le stragi del 1992-1993.
I Graviano, “non ricordo se tutti e due i fratelli o se uno solo”, ha spiegato oggi Villani riferendo quanto gli avrebbero detto Nino Lo Giudice e Giovani Ghilà, erano “tra i fedelissimi di Riina presenti alla riunione della Piana" di Gioia Tauro. Riunione nella quale, secondo quanto detto dal pentito venerdì scorso, sarebbero stati fatti degli accordi tra 'Ndrangheta e Cosa nostra. “Quando sono salito di grado - ha aggiunto oggi Villani - Nino Lo Giudice mi disse che c’era stato un patto tra 'Ndrangheta di Reggio Calabria e i Corleonesi di Cosa nostra per portare avanti la strategia anche in Calabria”. Strategia a cui “altre famiglia in rappresentanza anche della Piana e di Reggio, non vollero partecipare” ma a cui “i De Stefano e i Piromalli avevano partecipato proponendo gli agguati ai carabinieri” ha detto Villani riferendo quanto sentito dire dai suoi superiori.
Dopo gli attentati, ci sarebbe stata un' altra riunione “verso il Vibonese”, ha raccontato ancora il pentito, in cui “Lo Giudice mi dice che Giuseppe De Stefano, rappresentando Reggio, va per prendere delle decisioni, assieme ad esponenti di Cosa nostra e altre consorterie criminali, sul da farsi perchè si vuole alzare un po’ il tiro dopo gli attentati contro lo Stato”.

Dopo il primo agguato, in cui Consolato Villani e Giuseppe Calabrò non riuscirono ad uccidere alcun carabiniere, i due killer misero in atto il duplice omicidio del 18 gennaio 1994 in cui morirono gli appuntati Fava e Garofalo. “L'ho rivendicato io personalmente - ha spiegato il pentito davanti la Corte d'Assise di Reggio Calabria - Calabrò mi disse che dovevamo fare qualcosa tipo come quella delle Falange Armata, una minaccia terroristica”.
"Calabrò poi mi disse: 'Ora fermiamoci per qualche giorno poi riprendiamo'”, di lì a poco infatti i due killer avrebbero eseguito anche il terzo e ultimo agguato “vicino casa di Calabrò, nel piazzale Citroen” per “colpire una pattuglia di carabinieri che arrivava da Melito Porto Salvo o transitava da lì, con un plico di documenti importanti sulla macchina, lui sapeva che c'erano questi documenti e voleva colpire quella gazzella... non so come faceva a saperlo”.

Il vero potere è la 'Ndrangheta- massoneria”
Consolato Villani oggi è tornato a parlare degli “invisibili” quei personaggi che farebbero parte di un'élite ristretta di potere “che è il cervello non solo della 'Ndrangheta” e che secondo il pentito “si presume potesse essere anche Rocco Filippone perché “si capiva, per come mi dicevano all’epoca Ghilà e Lo Giudice, che faceva parte del circuito ristretto” . “Il vero potere è l’ndranghetista massone, se è solo 'ndranghetita è a metà - ha sottolineato Villani - da quello che mi hanno detto quelli della mia famiglia (mafiosa) Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, sono i massoni ndranghetisti per eccellenza riconosciuti a tutti gli effetti che favoriscono e gestiscono la 'Ndrangheta in generale, poi ci sono altri politici e avvocati”.

Calabrò e la collaborazione “anomala”
Il collaboratore di giustizia ha ripercorso le fasi successive all'arresto di Giuseppe Calabrò evidenziando le diverse anomalie della collaborazione con la giustizia iniziata poco dopo l'arresto nel 1994. “La collaborazione di Giuseppe Calabrò è assolutamente non veritiera e lo sa anche lui” ha detto oggi in aula Villani. “Quando mi hanno portato in carcere e mi hanno dato il dispositivo d'arresto vedo subito delle bugie enormi: in un primo momento non mi accusa dell’omicidio ma solo i tentati omicidi, nel secondo episodio mette sulla macchina due innocenti, Vittorio Quattrone e Maurizio Carella che non c'entravano nulla negli agguati; poi noto che non c’è nemmeno un Filippone, neanche il cugino che ci ha dato le armi”. Secondo Villani, Giuseppe Calabrò “li voleva coprire perché erano famigliari e perchè aveva paura per la potenza che avevano”.
L'altro fatto singolare è che la famiglia di Calabrò in seguito alla collaborazione decise di rimanere a Reggio “non aveva deciso di spostarsi in località protetta - ha detto Villani -. Io quando inizio a collaborare non ho mai pensato di restare a Reggio Calabria”. Probabilmente, loro “avevano una sorta di garanzia” ha concluso il pentito rispondendo alle domande del pm Lombardo, pubblica accusa nel processo. Una volta uscito dal carcere pochi mesi dopo l'arresto, Villani per vendicarsi decise “di mettere una bomba” ma “l'innesco fallì” e la famiglia Calabrò venne spostata per poi ritornare anni dopo.
Il processo è stato rinviato al 15 gennaio 2018 in cui riprenderà il contro esame del collaboratore di giustizia Consolato Villani.

Dossier Processo 'Ndrangheta stragista

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