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di Aaron Pettinari
L'ex funzionario Sisde sentito al processo sul depistaggio

"Il giorno successivo alla strage di via d'Amelio alla Procura generale di Palermo, dove avevo accompagnato il commissario Sergio Costa, genero dell'allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi, incontrai Giovanni Tinebra, all'epoca procuratore di Caltanissetta. Il procuratore fece presente la situazione che si stava delineando e la necessità di aprire immediatamente scenari investigativi efficienti perché si navigava nel buio più totale. Chiese un supporto, una collaborazione fattiva". E' questa la genesi del contributo che il Sisde, il servizio segreto civile, diede alle indagini sulla strage di via d'Amelio, secondo le parole di Lorenzo Narracci (oggi in pensione) all'epoca, dal 2 dicembre 1991 alla fine del 1992, vice capocentro della sede di Palermo.
Narracci, fedelissimo di Bruno Contrada, allora numero tre del servizio civile con delega all’antimafia, fu indagato con quest'ultimo a Caltanissetta in una delle inchieste sui “mandanti esterni” delle stragi, poi archiviata nel 2002. Quindi fu indagato nuovamente nel 2010 con l'ipotesi di reato di concorso nella strage di via D'Amelio ed archiviato nel 2016. Nel processo Borsellino quater, quando fu chiamato a testimoniare, si avvalse della facoltà di non rispondere. Stavolta, però, citato dall'avvocato Fabio Repici, legale di parte civile di Salvatore Borsellino e altri nipoti del giudice, non ha trovato nuovi scudi per non essere sentito come teste nel processo sul depistaggio di via d'Amelio che vede imputati i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. Tra gli argomenti più caldi affrontati in udienza lo scorso 22 luglio, vi era sicuramente il coinvolgimento del Sisde nelle indagini sul delitto.
Un'iniziativa che nelle motivazioni della sentenza Borsellino quater viene definita dai giudici della Corte d'assise come "decisamente irrituale" in quanto non permessa dalla normativa vigente all'epoca.

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Palermo, 24 luglio 1992. Vincenzo Parisi, capo della Polizia, ai funerali del giudice Borsellino insieme a Oscar Luigi Scalfaro, al tempo Presidente della Repubblica, alla sua destra © Imagoeconomica


La richiesta di Tinebra
E l'ex Sisde non ha avuto difficoltà ad ammettere che quella era la prima volta che un Procuratore capo chiedeva direttamente supporto ai Servizi in materia investigativa. "Ma si trattava di raccolta di informazioni - ha subito specificato - niente di strano. Già altre volte era capitato di andare incontro a esigenze investigative delle polizie giudiziarie, in particolare modo della squadra mobile, dando supporto tecnico. In particolare per dare strumenti e risorse per poter portare avanti attività investigativa".
Narracci, dunque, ha ricordato come pervenne la richiesta: "Tinebra lo chiese a me, ma io ero imbarazzato perché non avevo né il grado né il potere per dire sì o no. E a quel punto Tinebra disse 'Se ci fosse Bruno Contrada sarebbe interessante parlargli'. Ed io risposti che era a Palermo e che si poteva chiamare. Lui si trovava in una riunione, in corso presso la nostra sede in via Roma dove c'era il capocentro Ruggeri, c'era La Barbera (Capo della Squadra Mobile) e Obinu per il Ros. Così io lo chiamai e gli dissi che Tinebra aveva l'esigenza di incontrarlo. Ricordo che era pure contrariato perché a quella riunione sarei dovuto essere presente anche io. Così dissi di non dire nulla ai presenti e di raggiungerci. Tinebra ripetè la richiesta a Contrada che disse che avrebbe messo in comunicazione il vertice del Servizio ed assicurò la massima collaborazione".
In questa ricostruzione c'è una prima discrasia con quanto riferì Contrada nell'aprile 2019, che aveva collocato la riunione con La Barbera e l'allora maggiore Obinu in data successiva al colloquio con Tinebra. Ricciardi, invece la indica come antecedente, seppur di poche ore.
Una riunione "nel corso della quale emerse che ci sarebbe stata una collaborazione con la polizia in quanto i Ros dichiararono di avere indagini importanti dalle quali era difficile distogliersi". Lui non partecipò direttamente in quanto aveva ricevuto una telefonata dal vice direttore operativo, il prefetto Aldo Gianni. "Lui mi disse di recarmi all'Aeroporto di Palermo per prelevare un funzionario - ha ricordato l'ex Sisde - Mi fu detto di non dire a nessuno che andavo all'aeroporto. Una volta lì vidi Costa. In un primo momento 'inseguimmo' il Capo della Polizia. Andammo in Prefettura, poi al palazzo di giustizia dove aveva l'incontro".

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Giovanni Tinebra e Gianni De Gennaro © Imagoeconomica


Il 19 luglio 1992
Narracci ha anche un nitido ricordo di quel che avvenne il giorno prima, ovvero la domenica dell'attentato in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. "Ricordo il giorno dell'attentato di via d'Amelio. Andammo in barca assieme a Paolo Zanaroli, all'epoca comandante del Nucleo Radiomobile - ha spiegato - Con noi c'era anche la sua fidanzata e andammo a prendere altre due signore. Andammo a Isola delle Femmine, poi attorno a l'una incontrammo l'imbarcazione di Valentino dove c'era anche Bruno Contrada. Noi dovevamo riportare indietro una delle donne, poi raggiungemmo nuovamente Valentino a Capo Gallo. Mentre ci trovavamo a bordo dell'imbarcazione pervenne la telefonata della figlia di Valentino che comunicava di aver udito un enorme boato, e che era rimasta molto spaventata. Non seppe dire altro. Poteva essere stata una bombola del gas esplosa, un deposito di carburante. In quel momento non c'era modo di pensare ad altro. Comunque provai a mettermi in contatto con l'ufficio ma il cellulare non prendeva. Bruno Contrada riuscii a prendere la linea, ma senza parlare o avere una comunicazione definita". Una volta tornato verso Palermo Ricciardi si recò con un altro funzionario del Sisde, Antonio Pellegrino, sul luogo della strage. "Quel giorno andai due volte in via d'Amelio. La prima con Pellegrino, poi la sera anche con Contrada. C'erano anche altri colleghi dei quali, però, non ricordo i nomi. Si possono individuare. Ricordo una ripresa del Tg3".

Le informative del Sisde
Narracci ha anche risposto ad alcune domande sulle ormai famose note del Sisde di quel lontano 1992. La prima è l’appunto con cui, in data 13 agosto 1992, il Centro Sisde (il servizio segreto civile) di Palermo comunicò alla Direzione di Roma del Sisde che “in sede di contatti informali con inquirenti impegnati nelle indagini inerenti alle recenti note stragi perpetrate in questo territorio, si è appreso in via ufficiosa che la locale Polizia di Stato avrebbe acquisito significativi elementi informativi in merito all’autobomba parcheggiata in via D’Amelio, nei pressi dell’ingresso dello stabile in cui abitava la madre del Giudice Paolo Borsellino. (...) In particolare, dall’attuale quadro investigativo emergerebbero valide indicazioni per l’identificazione degli autori del furto dell’auto in questione, nonché del luogo in cui la stessa sarebbe stata custodita prima di essere utilizzata nell’attentato”.
Secondo Narracci quello "non è un appunto classico. La provenienza delle informazioni è al 99% dalla squadra mobile. Evidentemente da Roma si chiedevano informazioni sullo stato delle indagini e si fa riferimento a notizie apprese dalla polizia giudiziaria in ambito di rapporti apicali tra capi d'ufficio".
Poi ha aggiunto altri elementi su ulteriori lavori: "Furono fatte delle proiezioni. Sin dal primo momento c'era l'intenzione di approfondire sul clan Madonia. Ritenevamo che non potesse essere estraneo. Il nome di Scarantino? Avemmo contezza di lui il giorno in cui fu arrestato perché ne parlavano i media. Noi non riuscivamo a collocare questo nome nell'alveo delle famiglie mafiose ed i mafiosi di Palermo. Le informazioni sulle parentele non erano altro che una constatazione". Eppure il 10 ottobre 1992 fu inviata alla Squadra mobile, in maniera riservata, un'informativa del Sisde nella quale si segnalavano i rapporti di parentela e affinità di taluni componenti della famiglia Scarantino con esponenti delle famiglie mafiose palermitane, i precedenti penali e giudiziari rilevati a carico dello Scarantino Vincenzo e dei suoi più stretti congiunti.
Insomma quasi come se si volesse evidenziare proprio la vicinanza a certi ambienti.

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Bruno Contrada


Narracci, però, non ha ricordato altro se non che fu creata una squadra di lavoro fortemente voluta da Bruno Contrada con colleghi che venivano anche da altre sedi come Padova, Firenze, e dirigenti dell'Alto Commissariato. "Su via d'Amelio lavoravamo praticamente tutti e c'era il pericolo di sovrapporsi. Noi facevamo solo attività di analisi - ha proseguito il teste - anche sugli immobili vicini. Il palazzo dei Graziano? No quello no. I fratelli Graziano vennero fuori dopo in merito alla strage di via d'Amelio". Nel corso dell'esame Narracci ha anche escluso che nel Castello Utveggio vi fosse una sede del Sisde, anche se vi lavoravano dei soggetti che in passato erano appartenuti ai Servizi come il Prefetto Verga e Coppolino. Ugualmente l'ex vice capocentro ha anche detto di non aver mai saputo della collaborazione di La Barbera con i servizi di sicurezza, anche se questi era in stretti rapporti con Luigi De Sena.

Il bigliettino sul cratere di Capaci
Nel corso della deposizione Narracci ha anche spiegato il motivo per cui a Capaci, nei pressi del punto in cui esplose l'autostrada, fu rinvenuto un bigliettino con un numero di telefono che era nelle sue disponibilità. La vicenda è stata ripercorsa rispondendo alle domande dell'avvocato Fabio Repici e del Pm Gabriele Paci. "All'inizio il cellulare era stato consegnato a Ruggeri. Non era in mio possesso. Dopo l'omicidio Lima, il nostro centro ricevette due cellullari. Considerato che uno dei due cellulari non funzionava, quello funzionante venne consegnato al capo del Centro Sisde, Andrea Ruggeri, perché nel fine settimana si recava a Messina mentre l'altro che venne assegnato alla mia persona d'ufficio, venne portato in riparazione. Il bigliettino fu scritto dal segretario Festa, a lui dissi di prendere contatto con la Sip per risolvere il problema. Compilò il bigliettino con il numero della matricola del cellulare e l'azienda a cui era intestato, la Gattel, e la via della Sip. Lo diede a Pellegrino perché vantava una parentela nella Sip e avrebbe accelerato la pratica. Poi, quando portò su Capaci i nostri tecnici deve averlo perso, evidentemente lo teneva in tasca. Della presenza del foglietto a Capaci lo appresi nel 1995-1996 tramite un giornalista. Io non ne sapevo nulla. Per questa storia più volte sono stato interrogato ma quel foglietto non era né bruciato, né bagnato, né stropicciato. Quindi non fu messo prima della strage e neanche dopo. Altrimenti sarebbe stato bagnato o bruciato. Questo l'ho sempre detto ogni volta che mi è stato chiesto".
Anche in questo caso il ricordo di Narracci appare offuscato perché il bigliettino che fu repertato dalla Polizia scientifica vedeva scritto: “Guasto n-2 portare assistenza. 0337806133 G.u.s., Via in Selci, 26 Roma. Via Pacinotti”.
Certo è che nel luogo dell'Attentatuni i Servizi furono autori di altre operazioni anomale. E' un fatto noto, e ne ha parlato anche Narracci in aula, che il 25 maggio 1992, due giorni dopo l’esplosione lungo l’autostrada di Capaci, il Sisde inviò personale per “il prelievo di materiale roccioso da sottoporre a successivo esame chimico-esplosivistico”. "Ricordo che nei giorni successivi la strage pervenne una telefonata del direttore scientifico che preannunciava l'invio di tecnici e mi chiedeva solo la disponibilità di un mezzo e qualcuno che li accompagnasse sul luogo della strage. Ci fu detto che dovevano rendersi conto dello scenario. Poi hanno fatto i prelievi. Ricordo la Boccassini che si adirò moltissimo, perché fu fatta una repertazione illegittima e irrituale. Fui anche convocato a Roma per fare una relazione assieme al Capo Centro. La dottoressa Boccassini stava emettendo un mandato di cattura nei miei confronti".

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Vincenzo Scarantino in uno scatto d'archivio


Le anomalie sulle intercettazioni di Scarantino
La prima parte dell'udienza è stata dedicata alla testimonianza di Luigi Lazzara, funzionario della Dia di Caltanissetta, chiamato a riferire sulle anomalie riscontrate nell'ascolto delle registrazioni delle telefonate effettuate dal falso pentito Vincenzo Scarantino, mentre si trovava nella località protetta in Liguria. Così come aveva già fatto la scorsa volta il colonnello della Dia di Caltanissetta, Francesco Papa, sono stati individuate alcune anomalie dal confronto tra i brogliacci, le registrazioni per l'autorità giudiziaria e quelle per la polizia giudiziaria. "Utilizzavamo tutti l'Rt2000 - ha detto - e a questo apparecchio veniva collegata un'altra apparecchiatura. Seppure diverse, avevano il compito di registrare contemporaneamente le stesse cose". Tra le presunte anomalie riferite dal teste, un "nastrino, trovato in una scatola con una bobina e spezzato in tre parti. Uno recava una striscia rossa sul nastro termico, mentre gli altri due erano normali. Uno di questi nastrini presentava uno strappo inusuale". A proposito invece delle presunte discrasie riscontrate, il teste ha riferito che "dal 2 al 6 marzo 95, nel brogliaccio non c'è scritto nulla. C'è un vuoto di quattro giorni. Il 6 marzo si procede ad una riprogrammazione. L'8 marzo c'è una conversazione tra Scarantino e Mario Bo. Scarantino dice che non ce la fa più e che la moglie deve scendere a Palermo. Era un po' agitato. Vi sono poi delle telefonate in cui si sentiva comporre un numero e successivamente la cornetta veniva abbassata. Su un nastrino ho rilevato dei suoni mentre sulla bobina non ho rinvenuto nulla".
Il 9 marzo '95, l'utenza in uso a Scarantino chiama il centralino della questura di Palermo. "La telefonata non viene registrata, come riporta l'operatore, per cause tecniche. In un'apparecchiatura si sente che la cornetta viene alzata, nell'altra invece no. Questo silenzio dura 17 minuti. Comincia alle 10.03 e si conclude alle 10.20. Non c'è in quei 17 minuti nessuna registrazione audio sulle bobine, ma rimane la traccia magnetica degli impulsi che la macchina registra". Un'altra telefonata è quella del 3 giugno verso un'utenza in uso alla procura di Caltanissetta. "Il numero viene composto più volte, dalle 17.03 alle 18.22 ma non c'è nessuna comunicazione. Si verifica anche un'inversione di giri, come se tornassero indietro. Nelle bobine delle apparecchiature non c'è nessuna registrazione, nessun suono. Poco dopo c'è una telefonata, sempre ad un'utenza della procura della durata di 7 minuti". E infine il 22 giugno, altra telefonata diretta alla procura di Caltanissetta. "La durata è di 9 minuti - ha spiegato il teste - Risulta nello scontrino ma non nel brogliaccio". Esauriti i testi il processo è stato rinviato al prossimo 14 settembre.

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