Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Aaron Pettinari
"Nel primo periodo in cui fui di servizio a San Bartolomeo a Mare per seguire Scarantino ricordo che ad un certo punto il collega Di Ganci mi fa: 'Dobbiamo andare a staccare il registratore perché Scarantino deve parlare con i magistrati'. Non so con quale magistrato. Andiamo ad Imperia, dove si faceva il servizio di ascolto. Lui stacca, c'è la telefonata e poi riattiva l'intercettazione". E' questa la rivelazione improvvisa che l'ispettore di Polizia Giampiero Valenti ha fatto ieri in aula al processo sul depistaggio della strage di via d'Amelio che vede come imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino, accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. In passato anche Valenti era finito sotto inchiesta della Procura di Caltanissetta finché, lo scorso febbraio, il Gip ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dai pm nei suoi confronti e di altri tre poliziotti (Giuseppe Antonio Di Ganci, Domenico Militello e Piero Guttadauro, ndr). Non era la prima volta che Valenti testimoniava in un processo sulla strage di via d'Amelio (era già stato sentito al processo d'appello Borsellino bis e al Borsellino quater, ndr) ma mai certi dettagli erano stati riferiti.
Così come non fu fatta una relazione di servizio su quell'atto che rappresentava un atto illecito, come ha sottolineato lo stesso Presidente della Corte Francesco D'Arrigo.
"Al tempo mi risposi che era normale che dall'ufficio non avessero interesse alle conversazioni tra Scarantino e un magistrato. All’epoca, non mi sembrò una cosa illecita a chi dovevo fare una relazione di servizio? Al mio ufficio, che mi aveva chiesto di staccare quella intercettazione?".
"Voglio parlare senza condizionamenti" ha detto ancora rivolgendosi alla Corte e rispondendo alle domande dei pm Gabriele Paci e Stefano Luciani che hanno chiesto come mai, soltanto dopo così tanti anni si è deciso a riferire questi elementi. Ed il teste si è giustificato sfogandosi anche tra le lacrime: "Certe cose mi sono venute in mente da quando sono finito sotto indagine. Io con questa storia non c’entro proprio nulla. Io sono finito indagato, definito depistatore, servo infedele. Quando Scarantino ha sbagliato il mio cognome. Il Giampiero di cui parlava non ero io, ma un altro collega (Guttdauro), che si presentava col mio nome. Tempo dopo ho anche saputo che un episodio simile era accaduto ad un altro mio collega, Francesco Trippodo. Mi raccontò che Giacalone (altro membro del gruppo Falcone e Borsellino) si era presentato con il suo nome a Candura".
Ma non è solo questo l'elemento nuovo emerso nel corso del lungo esame. Perché Valenti, pur riconoscendo la firma nel verbale conclusivo in cui si attestava l'attività di intercettazione all'utenza di Scarantino, ha dichiarato: "Io non ho redatto quel verbale. Riconosco la mia firma ma non credo proprio di essere più tornato al Tribunale di Imperia per quell'attività. Solo nel primo periodo mi sono recato lì. Il mio compito era quello di gestire la famiglia di Scarantino e le loro esigenze: la spesa, i bambini da portare a scuola; mi è capitato pure di accompagnare lui o la signora a Imperia per una visita oculistica. Non ricordo esattamente dove si trovasse il telefono in quella casa. Quando poi finì l’attività di intercettazione ci chiesero di firmare dei brogliacci. Riconosco la mia firma ma nego di conoscere quella che è l’attività di intercettazione".
“Sono stato uno stupido - ha proseguito Valenti - perché non avevo alcuna esperienza. Non capisco perché questo verbale non lo firmò chi gestiva l’attività e lo fecero firmare all’ultima ruota del carro. Tutto quello che veniva fatto all'interno del gruppo era opera di Ricerca e Maniscaldi, che erano i superiori. Ripeterò fino alla morte che riconosco la mia firma ma non conosco quell'attività di indagine”.
Tra le dichiarazioni riferite in aula anche il ricordo "di aver visto Arnaldo La Barbera quando portammo a Roma Scarantino per i confronti con i collaboratori di giustizia".
Ed ancora ha ricordato di un interrogatorio di Scarantino che vi sarebbe stato con la dottoressa Palma ("C'era un registratore e ricordo anche che vi fu una pausa perché la dottoressa doveva fumare") mentre ha detto di non avere memoria di aver partecipato ad un interrogatorio con il pm Di Matteo, che invece è agli atti.
Dopo Valenti a salire sul pretorio è stato un altro ex membro del Gruppo Falcone e Borsellino, Domenico Militello, anche lui un tempo indagato e poi archiviato.
Nel suo esame ha dapprima ricostruito le prime fasi di indagine che portarono poi agli arresti di Candura e Valenti, quindi ha raccontato del giorno in cui fu chiamato dall'ex capo della Mobile, Arnaldo La Barbera: "Fu una chiamata inusuale dove mi disse di andare all'aeroporto il giorno dopo alle sei del mattino e chiuse il telefono. Io chiamai anche il dottor Ricciardi per conferma. Così il giorno dopo andammo io e Guttadauro. Partimmo per Roma dove raggiungemmo La Barbera che ci aspettava a Pratica di Mare. Andammo a Pianosa con l'elicottero per prendere Scarantino. Arrivammo a Boccadifalco con un aereo Piper. Io non sapevo nulla ma non ero stupido. Avevo capito che Scarantino aveva iniziato a collaborare".
Quindi ha riferito dei sopralluoghi che si tennero direttamente in quel giorno e di cui non si trova traccia di alcun verbale: "Questi sopralluoghi durarono fino alle cinque del mattino del giorno seguente. Entrammo in macchina io e l'ispettore Zerilli dietro. Guttadauro alla guida e a lato passeggero c'era il dottor Arnaldo La Barbera. Scarantino dava indicazioni ma solo La Barbera parlava con lui. Chi prendeva appunti? Io no. Zerilli non credo. La Barbera aveva dei fogli, credo i verbali di interrogatorio del giorno precedente ma non so se appuntava. Perché non fu fatta relazione? C'era il dirigente. Non ho fatto domande". Il teste ha quindi ricordato i luoghi in cui andarono in quella notte ma ha detto di non ricordare se andarono alla carrozzeria di Orofino.
L'esame si è poi interrotto e riprenderà il prossimo 8 novembre.

Dossier Processo Depistaggio via d'Amelio

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos