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di Aaron Pettinari
Anni di maltrattamenti, violenze subite, pressioni, dichiarazioni false (mescolate anche a segmenti di verità) e ritrattazioni. E' la storia di Vincenzo Scarantino, balordo della Guadagna, passato alla storia come il "falso pentito" della strage di via d'Amelio. Nella sentenza del processo Borsellino quater si riconosce che quel suo agire non era riconducibile ad una sua volontà ma perché era stato "indotto a mentire". Ed è anche su quell'induzione che oggi si scava nel processo che vede come imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino, presenti nell'aula bunker di Caltanissetta, che devono rispondere all'accusa di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. Presente in aula anche Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice Paolo Borsellino, parte civile nel processo.
Così come aveva fatto nel corso del quarto processo sulla strage di via d'Amelio Scarantino, sentito come imputato di reato connesso, ieri ha iniziato la propria testimonianza davanti al Tribunale di Caltanissetta, raccontando quel che avvenne dal momento del suo arresto in poi: "Sono stato arrestato il 26 settembre 1992 assieme a Salvatore Profeta, mio cognato, ma a Profeta lo hanno subito liberato e a me no. L'imputazione era per strage. Mi accusavano Salvatore Candura e Valenti, ma anche il dottor La Barbera, il dottor Bo e il dottor Ricciardi. Io iniziai a collaborare nel giugno del 1994 dopo che mi hanno portato a Pianosa. E sono rimasto in carcere fino al giugno 1994. Dopo Firenze andai a Torino, poi dalle parti di Venezia. A Jesolo. In Liguria siamo andati nel settembre o ottobre 1994. E ci sono rimasto fino a luglio 1995". E' in quell'anno che vi fu la prima ritrattazione, quella "televisiva", con l'intervista rilasciata al giornalista di Mediaset, Mangano. La seconda sarà nel settembre 1998, "quando è stato confermato l'ergastolo per Orofino e Profeta. Tornai a collaborare con la giustizia, nel 2002, mi sembra. Sono rimasto in carcere sedici anni. E sono stato anche condannato per calunnia a otto anni e mezzo con l'articolo 7 perché avevo favorito i mafiosi. E pure per i danni morali a Andriotta. Io offendevo il dottor La Barbera, il dottor Bo e i magistrati".
Rispondendo alle domande dei pm (in aula presenti il procuratore aggiunto Gabriele Paci ed il sostituto procuratore Stefano Luciani), Scarantino ha ripercorso quegli anni difficili: "Per anni ho gridato dal carcere la mia innocenza, ma non venivo creduto. Per me sentire Spatuzza che diceva 'Ma chi sei?', che mi scagionava, era una cosa mi… non lo so…". Eppure, nonostante le dichiarazioni dell'ex boss di Brancaccio fossero datate 2008 ed un successivo confronto con Candura, come ricordato dai magistrati, solo nel 2009 deciderà di ritrattare nuovamente, accusando in particolare i poliziotti di quelle sue dichiarazioni false. "Io sono stato tanti anni in carcere e dicevo sempre che ero innocente - ha detto oggi - per me era impossibile che si cercasse la verità, io non mi fidavo e dopo mi sono reso conto che era inutile". Quindi ha ricordato il periodo vissuto nel carcere di Pianosa dove subì pesantissime violenze: "A Pianosa quando andavo a colloquio, mi facevano spogliare nudo, con una paletta mi davano dei colpi nelle parti intime. Dopo mi dicevano di guardare a terra e mi davano schiaffi in bocca perché guardassi a terra. Poi mi davano calci con gli anfibi. Sembrava il carcere di 'fuga da mezzanotte'. Avevo paura, stavo tutta la notte sveglio. Spesso entravano nella mia cella per fare perquisizioni. Ero disperato, soffrivo e non mi lamentavo. Mi hanno fatto mangiare i vermi per la pesca, pisciavano dentro la minestra, mettevano le mosche nella pasta. Smisi di mangiare e passai da 103 kg di peso a 53 kg e tutti dicevano che avevo l'Aids. Io non capivo ma oggi posso dire che lo facevano per fare terrorismo psicologico. Sono stato sei mesi con la stessa tuta, non me la facevano cambiare. Tante umiliazioni, tantissime. Ho subito tante cose schifose che mi hanno fatto. Dovevo stare tutto il giorno in piedi perché appena mi mettevo a letto, c'era la perquisizione, e la notte facevano casino e non mi facevano dormire. Se ho deciso di collaborare è solo perché ero stanco delle botte e delle torture, fisiche e psicologiche, che subivo in carcere. Io chiedevo i magistrati ma venivano sempre quelli del gruppo Falcone e Borsellino, il dottor La Barbera e il dottor Bo”. Scarantino ha dunque spiegato di aver avuto almeno quattro o cinque incontri con Bo ed altrettanti con La Barbera, prima di iniziare la sua collaborazione il 24 giugno 1992. Agli atti del processo, però, formalmente ne risulterebbero solo quattro: "Ad un certo momento io a loro dicevo che volevo collaborare, ma per le cose che potevo sapere. Ad esempio diedi io le indicazioni per arrestare Giuseppe Calascibetta, che era latitante.  Era amico di mio cognato e a lui vendevo le sigarette quindi diedi indicazioni per alcuni luoghi a Villabate e Montelepre. Poi dissi anche cose su traffici di droga. Ma a loro queste cose non interessavano. Volevano sapere della strage di via d'Amelio".

"Colpevole di essere innocente"
In riferimento al periodo di detenzione vissuto a Venezia, a partire dall'ottobre del 1992, ha ricordato la presenza di Vincenzo Pipino, il "ladro gentiluomo". "Ad un certo punto arrivò questo che ha portato cioccolati, caramelle, mentre io stavo facendo lo sciopero della fame… Io ho continuato il mio sciopero perché volevo parlare coi magistrati. Mi aiutava a scrivere le lettere per mia moglie, che firmavo con la mia impronta della mano. Pipino - ha poi aggiunto - mi chiedeva di continuo perché ero stato arrestato, io rispondevo che era per la strage di via d’Amelio. Ma lo sapevo che pure lui era uno spione di La Barbera, me lo disse un detenuto, un ragazzo della cella di fronte alla mia. Dopo un po’ Pipino avendo capito che non c’entravo niente con la strage, mi diceva 'stai attento, perché dove vai vai devi dire solo sono colpevole di essere innocente', l’unica cosa che ho memorizzato è stata questa, e io l’ho ripetuto sempre. Lui non diceva né di accusarmi né di dirmi innocente, mi ripeteva sempre quella frase. Lui parlava di La Barbera, mi diceva qualche cosina, oggi non mi ricordo più".
Il "pupo vestito", come lui stesso si era definito tempo fa, rispondendo ad una domanda dei pm ha anche detto di non aver "mai visto un telefono in cella a Venezia e se lo avessi visto avrei subito avvertito le guardie carcerarie". Una domanda lecita tenuto conto del racconto dello stesso Pipino, che aveva parlato della presenza, oltre ai microfoni, di un telefono nero.

La collaborazione indotta
Durante la deposizione non sono mancati i "non ricordo" o le difficoltà di comprensione ma si è comunque riusciti a sviscerare le modalità con cui iniziò la falsa collaborazione: "La Barbera, ma anche Bo, mi diceva che per essere chiaro dovevo prendere le cose che io conoscevo. Così quello che sapevo del traffico di sigarette lo usavo, per spiegare il trasporto della macchina in via d'Amelio. O anche la vicenda della casa di Calascibetta. Sapevo descriverla perché io ci andavo. Perché indicai la casa di Calascibetta come il luogo della riunione? Non ricordo bene; inizialmente dissi lo Zen ma non andava bene. Poi i partecipanti alla riunione vennero inseriti tramite la visione di un album fotografico. Avevano sotto i nomi. Aggiungere persone a me non costava niente. Murana e Gambino a me risultava che questi erano in viaggio di nozze in quel periodo ma La Barbera mi diceva che in base alle sue indagini c'entravano e così li ho messi". Successivamente Scarantino ha ricordato il giorno dei sopralluoghi alla carrozzeria di Orofino ed ha raccontato che anche in quell'occasione, dopo che aveva mostrato clamorose incertezze nell'individuare il luogo ("dentro al furgone è Giampiero Guttadauro ad indicarmi la carrozzeria") gli furono mostrati degli album fotografici grazie ai quali "davanti al magistrato Tinebra diedi una descrizione come se ci abitassi in quel magazzino". Altri suggerimenti sarebbero avvenuti anche a Pianosa con i poliziotti che piantonavano la sua cella: "Si parlava della strage, come era stata fatta. Ma anche della compsizione delle famiglie mafiose. Io non sapevo nulla e mi dimenticavo".  Nel corso dell'esame al teste sono stati fatti visionare anche i "famosi" verbali di interrogatorio con le annotazioni e gli appunti che sarebbero stati usati per "istruirlo" nel corso della sua falsa collaborazione, sulla base del primo interrogatorio. "Io ricordo di aver studiato nel periodo in cui ero a San Bartolomeo a Mare. Lo studio lo facevo con Mattei e Ribaudo (oggi imputati), per farmi ricordare si vedeva se c'erano le contraddizioni e si aggiustavano, se c'era da aggiungere qualcosa - ha riferito il teste - Ho studiato anche a Roma, allo Sco o alla Mobile. Ricordo che a San Bartolomeo c'erano appunti". Leggendo i nomi aggiunti di Carlo Greco, Cancemi, Zu Di Maggio e Raffaele Ganci ha detto: "Non ricordo bene ma rispetto al primo verbale sono stati messi dopo. La Barbera diceva che più ne accusavo più era meglio per me e man a mano aggiungevo. La mattina dell'interrogatorio mi vidi con La Barbera e all'ultimo aggiungemmo Riina nella riunione a casa di Calascibetta". Scarantino non ha saputo dire se quelle annotazioni venivano fatte in preparazione di un'audizione in dibattimento o per un interrogatorio, ma di una cosa si è detto certo: "Io quando andavo dai magistrati ho sempre rettificato delle cose ma non perché me lo chiedevano loro. Con loro io parlavo solamente. Io avevo a che fare con la polizia".  E nel corso dell'esame ha anche fatto un esempio di aggiustamento: "Grazie a Ricciardi mi ricordai l'apertura della saracinesca di Orofino che inizialmente avevo detto sbagliato".  
Rispondendo sempre ad alcune domande sull'attendibilità o meno di certe sue rivelazioni messe a verbale nel 1994, Scarantino ha anche parlato dell'ex premier Silvio Berlusconi: "mio fratello mi disse che gli vendeva la droga a Berlusconi. Parlai anche con Pipino, il ladro gentiluomo, che stava in carcere con me a Venezia, della possibilità di accusare Berlusconi. La Barbera non voleva che facessi tali dichiarazioni, ma io le feci lo stesso". Parlando dell'ex capo della mobile di Palermo e dei poliziotti che erano con lui ha raccontato alla Corte che "La Barbera mi diceva sempre che ‘ero come Buscetta‘. Mi chiamava ‘Buscetta junior‘. Mi davano lezioni di grammatica facendomi guardare i video di Buscetta, ma io non volevo un capello di Buscetta. Io rubavo e vendevo sigarette di contrabbando”.

A Busto Arsizio la detenzione con Andriotta
Proseguendo l'esame Scarantino ha poi parlato del periodo vissuto nel carcere di Busto Arsizio, nel 1993, dove non mancarono gli avvicinamenti con quelli che il teste chiama "altri Pipino" che gli chiedevano perché fosse in galera e che "mettevano pressione di paura, perché mi parlavano di lui, di La Barbera, mi dicevano di stare attento, e io questa cosa me la sono portata dietro". Tra i soggetti con cui venne a contatto a quel tempo vi era anche l'altro falso pentito, condannato per calunnia nel processo Borsellino quater, Francesco Andriotta, già sentito in questo processo.
"Era un bugiardo. Io parlavo solo con la guardia carceraria - ha ricordato Scarantino - Segreti con Andriotta non ne avevo, lui non mi piaceva. Si vedeva che era una microspia umana, era uno sbirro e uno spione che hanno messo apposta lì per me. Prima mi avevano messo pure un altro ragazzo, un bombolaro, anche lui con l’ergastolo, ma è stato onesto e si è fatto trasferire subito, se n’è andato perché ha visto la mia disperazione". Poi però ha anche aggiunto: "Andriotta scriveva tutto quello che dicevo. Io mi sfogavo. L'unica colpa che ho avuto è stata che non ho messo la museruola. C'erano detenuti che stavano nella sezione di mio cognato Salvatore Profeta che mi dicevano che non parlava con nessuno. Era proprio il suo carattere. Lui diceva solo buongiorno e buona sera". Andriotta sarebbe stato anche piuttosto pesante: "Mi diceva sempre che avrei fatto la fine di Nino Gioè. Ma io pensavo che mi sarebbero rimasti gli ematomi, che si sarebbe capito, perché prima mi avrebbero dovuto acchiappare. Ma lui rispondeva che mi avrebbero messo in un congelatore per fare sparire poi gli ematomi e farlo passare per un suicidio. Lui parlava attraverso il dottor La Barbera". Dopo quasi sei ore di udienza, a causa della stanchezza del teste, il processo è stato rinviato ad oggi.

Dossier Processo Depistaggio via d'Amelio

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