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brusca giovanni udienza processo depistaggio fatto quotidianodi Aaron Pettinari
"Mi fu detto da Matteo Messina Denaro"

Onorato ricorda "Faccia da mostro" in moto con Scotto

Nell'estate 1995 Giovanni Brusca, in un incontro assieme a Matteo Messina Denaro, a Vincenzo Sinacori, oggi collaboratore di giustizia, e Nicola Di Trapani venne a sapere che Giuseppe Graviano, capomafia di Brancaccio, aveva visto al polso dell'ex premier Silvio Belusconi un orologio da 500 milioni. L'episodio è stato riferito per la prima volta in un processo, ieri, durante l'udienza del processo contro i funzionari di polizia Mario Bo e i due sottufficiali Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra, per aver suggerito una falsa ricostruzione della fase esecutiva della strage che portò alla condanna di soggetti estranei all'attentato di via d'Amelio.
"Si parlava di orologi - ha raccontato Brusca davanti al Tribunale di Caltanissetta, in trasferta a Roma - e a un certo punto lui (Matteo Messina Denaro, ndr) mi fa che Giuseppe Graviano in uno di questi incontri - non so quanti ne abbia avuti se uno, due, tre, non lo so - aveva visto un orologio di lusso del valore di 500 milioni di lire dell’epoca e io allora gli risposi: ‘e che è? Avrà avuto diamanti, tutti brillanti?’. Allora lui mi rispose: ‘è glielo ha visto’. E finì”. "Visto a chi?" ha subìto chiesto il sostituto procuratore Stefano Luciani. La risposta di Brusca è stata perentoria: "Al polso di Silvio Berlusconi in un incontro a quattr’occhi (…) non lo aveva visto su una rivista. Messina Denaro mi dice che Giuseppe Graviano gli ha visto un orologio a Berlusca, come lo chiamavano loro, non con nomi in codice, così chiaro”. L'episodio era già stato messo a verbale davanti ai magistrati di Palermo, ed oggi l'avvocato di Berlusconi, Nicolò Ghedini, a Il Fatto Quotidiano ha commentato di non sapere nulla del processo e nuovamente è tornato a ribadire"che la notizia di un incontro è totalmente infondata. O Brusca mente o riporta una falsità”.
L'ex boss di San Giuseppe Jato ha spiegato il motivo per cui, fino ad oggi, non aveva mai parlato di quell'episodio: "Pensavo di averla già detta e non ci tornai mai sopra. Quando poi ho letto la sentenza Trattativa più le altre dichiarazioni di Giuseppe Graviano, mi sono fatto il quadro della situazione e subito, alla prima occasione che ho avuto ho riferito questa circostanza”.

"Un papello così"
Durante la sua deposizione, durata cinque ore, Brusca è tornato a parlare del "papello", l'elenco delle richieste che Cosa nostra ha presentato allo Stato per porre fine alle stragi. "Dopo la strage di Capaci - ha raccontato - ho incontrato più volte Riina. La prima saranno passati 8-10 giorni. Riina mostrava soddisfazione per aver tolto dalla scena Andreotti che voleva diventare presidente della Repubblica. Quest'incontro è avvenuto dietro Villa Serena. In un successivo, a casa di Guddo, mi dice che 'si erano fatti sotto'. In quel momento non chiesi nulla e poi aggiunse: 'gli ho fatto un papello così', tipo un foglio A4, con le richieste. Quali? La revisione del maxi processo, l'eliminazione dell'ergastolo, il sequestro dei beni, la possibilità di intervenire sui collaboratori di giustizia, i benefici penitenziari".
L'omicidio Lima, la morte di Falcone, quella di Borsellino e poi l'omicidio di Ignazio Salvo. Brusca ha passato in rassegna la scia di sangue che ha colpito la Sicilia in quel 1992. Ma non erano i soli che dovevano essere colpiti ("Tra i politici da colpire io mi occupai anche di Mannino ma poi fui stoppato") e nel frattempo si cercavano contatti con la politica ("Riina mi disse che si erano proposte la Lega di Bossi, Dell'Utri e Ciancimino ma in quel momento non era entusiasmato, quasi superficiale. Come a dire 'vediamo'"). Ai magistrati che gli hanno chiesto il motivo per cui di Dell'Utri non ha parlato fino al 2010 il teste ha ricordato il travaglio vissuto nella sua collaborazione fino all'incontro con Rita Borsellino. "Una giornata memorabile per me, alla presenza di mio figlio e mia moglie. Ho capito lo sforzo che aveva fatto questa persona nell'incontrare me. Cercava giustizia nei confronti del fratello. Sono diventato un mostro per dare l'anima a Cosa nostra. A un certo punto mi sono domandato: a che cosa è servito fare tutto questo?".

La strage di via d'Amelio
Rispetto alla strage di via d'Amelio Brusca ha riferito che nel giorno dell'omicidio di Antonella Bonomo, la fidanzata del boss di Alcamo Vincenzo Milazzo, si era recato da Salvatore Biondino e che vide Carlo Greco e Giuseppe Graviano. "'Siamo sotto lavoro' mi disse Biondino. Io mi misi a disposizione ma non fu necessario. Quando ci fu la strage di Borsellino capii e commentai 'Presto hanno fatto'".
L’ex boss, arrestato nel 1996, ritenuto responsabile (anche) della brutale uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, ha anche riferito del progetto di attentato al magistrato Pietro Grasso ("A settembre-ottobre Riina disse che ci voleva un altro colpetto per riportare quelli a trattare") e che aveva capito, sempre dal boss corleonese, che c'erano difficoltà con le richieste: "Riina mi disse che le richieste contenute nel papello erano troppe. Lui non è che si accontentava di due o tre. E tornarono indietro perché c'era un ostacolo". Quell'ostacolo, secondo il collaboratore, così come aveva riferito al Borsellino quater, aveva capito poter essere Borsellino, che per questo fu ucciso. Altro argomento trattato ha riguardato anche Vincenzo Scarantino, il principale dei falsi pentiti che si autoaccusò della strage, ribadendo la sua inattendibilità: "Lui non c'entrava nulla. A quanto pare era stato maltrattato, malmenato…erano discorsi che giravano, da Biondino a Di Trapani, giravano queste voci insomma - ha detto riferendosi a Scarantino -. Aveva subito minacce da parte delle forze di polizia o in carcere, non lo so con certezza, si parlava di maltrattamenti. Mi ricordo che mi raccontarono che la polizia lo voleva buttare giù da un elicottero in volo, cercavano di intimorirlo, questo era il senso".
Il pentito ha anche parlato degli incontri con Paolo Bellini ("Con lui ci fu l'inizio dell'ideazione degli attentati al nord, Roma, Firenze e Milano") e di una riunione nella quale Salvatore Biondino, l'autista di Totò Riina, mostrò alcune pagine dei verbali resi da Gaspare Mutolo dove riferiva degli incontri che Borsellino ebbe con gli uomini delle istituzioni. "Biondino commentò che 'quando il bugiardo dice la verità non è creduto'. Ma come avesse avuto quei documenti non lo so".
Infine, prima di lasciare l'aula, ha voluto chiedere perdono "a tutte le vittime della mafia, allo Stato e alla società civile".

Giovanni Aiello ("Faccia da mostro") nelle parole di Onorato
Successivamente a salire sul pretorio è stato il collaboratore di giustizia Francesco Onorato, uno dei killer dell'omicidio di Salvo Lima e dell’agente del Sisde Emanuele Piazza, il poliziotto che si occupava della ricerca di latitanti la cui storia potrebbe essere legata anche a quella del poliziotto Antonino Agostino. Se durante la deposizione ha detto di non saper nulla dell'omicidio Agostino, su chi siano stati i killer o su chi si è occupato delle indagini, però ha fornito dei nuovi dettagli che potrebbero essere degli importanti riscontri alle dichiarazioni rilasciate da altri pentiti come Vito Galatolo e Vito Lo Forte.
Infatti ha dichiarato di aver visto in più occasioni, a Vicolo Pipitone, un luogo in cui da sempre regna incontrastata la famiglia mafiosa dei Galatolo e che era stato ribattezzato “lo scannatoio dei Corleonesi”, soggetti di primo livello come "il maresciallo dell'Acquasanta, che era sempre in mano alla famiglia, poi vedevo Gaetano Scotto assieme con la moto a 'Faccia da Mostro', Aiello". Ecco la novità. Prima d'ora, infatti Onorato non aveva mai riferito del poliziotto, deceduto nel 21 agosto 2017, descritto dai pentiti come un agente dei servizi segreti e sospettato di essere stato anche partecipe a diversi delitti. Lo Forte aveva parlato del ruolo di Aiello nell'omicidio del poliziotto Agostino e della moglie, che avrebbe prelevato con una macchina Nino Madonia e Gaetano Scotto che avevano eseguito l'omicidio, dopo avergli aiutare a bruciare la motocicletta usata nell'attentato.
Ieri Onorato ha raccontato che Aiello veniva a Vicolo Pipitone "con la moto che era di Scotto, una Suzuki abbastanza grossa e vistosa. Io all'inizio non conoscevo il suo nome ma sapevo che era un poliziotto. Che era Aiello l'ho saputo dopo. Di che periodo parliamo? Siamo nel 1988-1989. Ma anche Scotto guidava quella moto".
Rispondendo alle domande di pm ed avvocati Onorato ha anche detto che "nella posizione dei collaboratori di giustizia non è facile affrontare certi argomenti. Non ci vuole niente per essere bruciati. Io ho visto persone denunciate per calunnia, finite male, fuori dal programma di protezione. Persone che so che hanno detto il vero. Noi viviamo in una situazione delicata. Ci sono personaggi strutturalmente forti. E se poi non si trovano i riscontri ecco che siamo buttati in mezzo alla strada".
Quando l'avvocato Repici, legale di Salvatore Borsellino e della famiglia Gatani, ha chiesto di essere ancora più chiaro nel definire i "certi argomenti" il collaboratore ha risposto: "Finché accusi un mafioso non succede niente. Quando accusi persone delle istituzioni, politici, polizie e servizi segreti... si chiudono le porte". Onorato ha dunque confermato di aver conosciuto Vito Lo Forte e che quando questi si era pentito lo "eravamo anche andati a cercare per ucciderlo. A portare la notizia di dove era, mi sembra Viterbo, era stato Gaetano Scotto, boss dell'Arenella (definito dal teste "portaacqua dei Madonia", ndr), che io conoscevo da sempre. Lui si vantava sempre che poteva aggiustare le situazioni, che poteva sapere le soffiate dei blitz e delle perquisizioni. Anche quando c'era Armando Bonanno che era latitante all'Arenella era lui che lo avvisava se c'era qualcosa. E di Lo Forte lo avevamo saputo da Scotto che lo aveva appreso sempre dalle istituzioni. Ma non so chi porta la soffiata".

Il progetto di morte contro La Barbera
Così come aveva fatto al processo trattativa ed al Borsellino quater il collaboratore di giustizia ha raccontato del progetto di morte contro l'ex questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, che "fu stoppato per volere di Riina e Madonia". "Io mi ero occupato di studiare i movimenti - ha detto ieri al processo sul depistaggio - sapevamo che frequentava spesso la "Perla del Golfo" e avevamo già l'idea di come colpirlo". Ma perché si voleva morto La Barbera? "Negli anni '86-'87 La Barbera aveva ucciso un ragazzo durante una rapina ad un barbiere, dove lui si trovava per farsi la barba - ha raccontato ai pm - C'è una regola chiara che solo Cosa nostra può sparare e quando succedeva un omicidio comunque si prendevano provvedimenti. Cosa c'era chi lo voleva colpire ma la situazione si accantona perché i Madonia e Riina non lo volevano toccato". Poi ha aggiunto: "Da Biondino venni a sapere che era nelle mani del mandamento di Resuttana, il che vuol dire dei Madonia. Del resto loro si erano sempre vantati di avere amicizie con i servizi segreti e che si scambiavano cortesie. Negli anni Settanta avevano messo delle bombe per i Servizi. C'erano questi rapporti con Contrada, con La Barbera, insomma con queste persone delle istituzioni".
Successivamente, ripetendo quanto detto al Borsellino quater, ha anche ricordato i commenti che si facevano in Cosa nostra rispetto le indagini che l'allora capo della Squadra mobile stava conducendo sulla strage di via d'Amelio: "Mi trovavo in carcere con Pino Galatolo e Giovanni Leon di Mazara del Vallo e commentiamo della questione di La Barbera, del braccio di ferro all'interno di Cosa nostra. Poi quando Scarantino collabora commentammo quasi mettendoci a ridere dicendo che si stava comportando bene, che aveva le corna dure perché si stava indirizzando la strage Borsellino in un'altra strada con dei poveracci che non c'entravano niente. Noi sapevamo che era stata Cosa nostra".
Alla contestazione del pm che ad essere condannati per le dichiarazioni di Scarantino furono anche dei mafiosi come Profeta e Gaetano Scotto Onorato ha risposto: "Alcuni uomini d'onore erano soddisfatti perché venivano coperti. Lui mischiava le carte con questi personaggi. Ma anche di loro si parlava che non c'entravano niente". Ciò significa che qualcuno all'interno di Cosa nostra poteva essere sacrificato pur di non far arrivare alla verità?
Sul motivo per cui queste dichiarazioni non furono fatte al "Borsellino bis", quando già il percorso di collaborazione era stato avviato, il teste ha riferito che "Alcuni episodi non mi venivano in mente. Ho fatto tanti anni in Cosa nostra e anche oggi mi tornano in mente certe cose e certi personaggi che prima magari non ricordavo".
Nel corso della deposizione Onorato è tornato a parlare dei rapporti tra i soggetti istituzionali ed i Madonia. "Si parlava che loro erano forti proprio per questo - ha ricordato - Loro avevano rapporti anche con Contrada che già era stato molto disponibile con Stefano Bontade e Rosario Riccobono. Io l'ho visto quando veniva a trovare Riccobono".
Il processo è stato rinviato al 21 febbraio quando si terrà il controesame di Andriotta.

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