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caltanissetta acfbdi Aaron Pettinari
L'ex Questore racconta anche l'attentato subito: "Io sono stato un miracolato"

Nuova udienza a Caltanissetta nel processo che vede imputati l'ex ispettore di polizia Fabrizio Mattei, ora in pensione, Mario Bo, ex funzionario e oggi dirigente della polizia a Gorizia (non presente in aula), e Michele Ribaudo, agente di polizia, che nel '92, dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio, fecero parte del cosiddetto gruppo investigativo "Falcone Borsellino" che si occupò delle indagini sulla strage di via d'Amelio. Contro di loro l'accusa è di calunnia aggravata dall'avere favorito Cosa nostra.
A salire sul pretorio di fronte al Tribunale nisseno sono stati l'ex questore Rino Germanà l'ex prefetto Luigi Rossi.
Rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Gabriele Paci, Germanà, che nel 1992 era vicequestore aggiunto, ha raccontato delle indagini fatte, su delega della Procura di Marsala, nel periodo in cui si trovava alla Criminalpol di Palermo. "Quella attività investigativa era concerto l'avvicinamento, da parte di un notaio, che c'era stato nei confronti del Presidente della Corte d'Assise Scaduti in relazione al processo per l'omicidio del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Il nome del personaggio che veniva indicato era quello del notaio Pietro Ferraro. Per agganciare il Presidente disse che doveva soddisfare l'esigenza del ministro Mannino, ma poi disse che aveva ricevuto mandato da un parlamentare 'trombato' di nome 'Enzo' - ha raccontato Germanà - Fui avvicinato da un giornalista di Campobello che faceva il segretario a un parlamentare di nome 'Enzo' di Partanna che mi disse che il parlamentare che cercavo di nome 'Enzo' è Vincenzo Inzerillo* e non Vincenzo Culicchia, che mi disse, 'non è mai stato nella corrente manniniana'".
Per quella attività investigativa l'ex questore redasse un rapporto che consegnò alla Procura. In quello stesso giorno fu chiamato a Roma dall'allora vicecapo della Polizia Luigi Rossi. "Rossi mi chiese se nella relazione vi fosse qualcosa di specifico su Mannino. Io dissi che l'avrei dovuto rileggere perché non lo avevo con me e che lo avrei richiamato l'indomani. Quando lo chiamo per aggiornarlo ed è in corso la conversazione passa il Questore Di Costanzo che mi chiede con chi parlo. Gli faccio capire che era Rossi e lui mi dice: 'Già lo hanno il rapporto, l'ho già portato io'. E io quando terminai la conversazione non chiesi ulteriori spiegazioni". Secondo quanto detto dal teste, rispondendo alle domande del pm e dell'avvocato Fabio Repici, "quella è stata l'unica volta in cui sono stato direttamente chiamato alla direzione della polizia criminale nel giorno in cui ho depositato un'informativa".
In quel rapporto venivano indicati anche alcuni collegamenti con la massoneria rispetto a certi personaggi ("Il padre del notaio Ferraro era un Gran maestro ed era in contatto con un altro soggetto, Luigi Savona, che emergeva da altre indagini pregresse, e dei mazaresi anche vicini alla mafia").
Proprio queste inchieste, secondo la tesi dell'accusa, potrebbe aver provocato il suo 'strano' trasferimento, l'8 giugno 1992, dalla Criminalpol di Palermo a Mazara del Vallo per dirigere, di nuovo, il commissariato, una sorta di retrocessione della carriera. "Quando ci fu il trasferimento andai a salutare Borsellino. In quel momento mi disse 'Va bene, poi ne parliamo'. Io lo salutai e il giorno dopo mi sono presentato alla questura di Trapani come dirigente, per la seconda volta".
Il 4 luglio, quando Borsellino si recò a Marsala per il commiato alla Procura di Marsala i due parlarono nuovamente: "Borsellino quella volta mi diede del tu e mi disse 'Rino preparati a venire a Palermo. Non so se alla Squadra mobile o alla Dia ma devi venire'. Io dissi ok". Del resto Germanà era un uomo fidato per Borsellino e proprio lui si era speso per portarlo in precedenza a Palermo. Il 19 luglio, però, Paolo Borsellino e gli agenti della scorta saltano in aria e Germanà non farà ritorno nel Capoluogo siciliano.

L'attentato
Durante la deposizione Germanà ha anche raccontato l'attentato subito il 14 settembre 1992. "Io sono un miracolato, e lo ripeto. Sono un vero miracolato e non capisco perché gli altri colleghi siano morti e io no. Io quel 14 settembre del 1992 mi salvai solo per la mia prontezza di riflessi... Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro erano su una Fiat Tipo e poi c'era un'altra macchina. C'erano già andati la settimana prima, ma siccome non dormivo sempre nello stesso posto, erano tornati. Quel 14 settembre, verso le 14, tornando a casa, avevo un motorino, e stavo per andare via. Ma, per fortuna, mi chiamò il mio autista e mi ricordò che nel pomeriggio dovevamo andare a parlare con il Questore di Trapani. Così decidemmo di portarci due macchine da lasciare poi dal meccanico. Io ero solo e l'autista era sull'altra auto. Lasciai il mio motorino a un agente che doveva fare un servizio di osservazione e presi una Panda con le pastiglie del freno difettose. Quando ero sul lungomare fui avvicinato dalla macchina, sentii il rombo del motore ma ero sovrappensiero. Guardo indietro e mi vedo puntare addosso un fucile che spara. Io scappo sulla spiaggia, ma loro fanno inversione di marcia, e tornano, sparando un colpo di kalashnikov".

Il confronto con Rossi
L'udienza è proseguita con l'audizione del Prefetto Luigi Rossi che ha riferito in merito a quella "convocazione" di Germanà a Roma: "Gli chiesi una relazione e lui me la trasmise, e lo convocai perché il Capo della Polizia Parisi mi chiese di convocarlo. Il suo trasferimento a Mazara del Vallo? Non dirigevo il personale, ignoro le motivazioni di questo trasferimento". Per stabilire le modalità con cui quella relazione finì nelle sue mani vi è stato un confronto proprio tra Rossi e Germanà, deciso dopo una camera di consiglio. "limitatamente i contenuti dei colloquio svoltosi a Roma a all'oggetto relativo la consegna della documentazione di cui era portatore lo stesso dottore Germanà". Ascoltata direttamente la versione di Germanà l'ex Prefetto ha rivisto la propria posizione: "Evidentemente c'è un cattivo ricordo, non posso smentire quello che dice Germanà, può darsi che si sia svolto tutto diversamente. Io ricordo di un documento, una relazione che chiesi e che lui mi portò e che io portai a Parisi. Può darsi che il mio ricordo è falsato. Potrebbe averlo portato qualche altro funzionario prima? Non lo so. Ricordo solo di aver interloquito con lui. Se mi dice di avermi riferito oralmente su Mannino, non ho che dare atto a quello che dice Germanà, la stima per lui non mi dà motivo di smentirlo. In quel periodo c'erano tante di queste attività, che potrei confondere una cosa con l'altra. Comunque quella copia di rapporto diretto alla procura non passò mai da me. Può darsi che mi ha detto Parisi di chiedere di Mannino. Il mio ricordo è piuttosto lontano, io non posso escludere niente, confondo tante cose, e se n'è scritto tanto, ne ho letto tanto. Quello che dice Germanà per me è vangelo".
Tornando all'esame di Rossi l'ex prefetto, rispondendo alle domande del Pm Paci, ha anche affermato che al tempo della strage non vi fu "alcuna pressione all'allora dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera per l'immediata chiusura delle indagini per cercare di trovare i responsabili. Ma vi era una ovvia sollecitazione per la conclusione in un caso così clamoroso. Se si chiedeva, si chiedeva di arrivare a una soluzione. Le modalità con cui dovevano raggiungere il risultato era un problema esclusivo di polizia giudiziaria e di magistratura". Quando il Procuratore aggiunto nisseno ha chiesto se ci fosse stata "una sinergia o un coordinamento tra l'attività dell'organo investigativo e dell'allora Sisde", Rossi, ha risposto che "non era di mia competenza" e di non essere a conoscenza se Parisi ebbe mai a riferire ciò. Ugualmente ha dichiarato di non avere saputo nulla, all'epoca, di una collaborazione esistente tra La Barbera ed il Sisde. "No. Lo appresi dopo dai giornali - ha detto il teste - non sarebbe stata una cosa normale. Non avrei più avuto rapporti, è una cosa anomala". Durante la sua deposizione, ai "non so" si sono accompagnati anche diversi "non ricordo" tuttavia, a dispetto dell'avanzata età, in diverse occasioni la memoria è sembrata più che mai lucida. "Lei ha detto di non aver mai assistito ad incontri tra il Prefetto Parisi e i dottor Borsellino?" ha chiesto Fabio Repici. "Per quello che ricordo no" ha detto il teste. A quel punto il legale di Salvatore Borsellino ha contestato un verbale quando depose davanti ai pm con la Procura di Caltanissetta, del 24 giugno 1993 in cui disse di "essere stato presente, come di solito peraltro accadeva in simili occasioni, ad un incontro tra il capo della Polizia prefetto Parisi e Borsellino nel mese di luglio 1992". "Non posso smentirla. Ma troppo tempo è passato non mi ricordo. Ho ricordi confusi dell'epoca. Non ricordo se ero presente all'incontro in cui si disse che poi Borsellino era andato dal ministro" ha aggiunto il teste. Ma poi ha ricordato che l'atto dl verbale contestato fu redatto dal pm Cardella. Insomma, una memoria apparentemente a "fasi alterne". Alla fine il teste ha confermato di essere stato presente ad un incontro tra Parisi e Borsellino ma "senza ricordare il contenuto del loro discorso. Suppongo parlassero di attualità. Cose inerenti le indagini".

*Per quanto riguarda l'ex seantore Vincenzo Inzerillo, che fu indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, furono compiuti gli accertamenti da parte della Procura della Repubblica. Il Tribunale di Caltanissetta, il 17 marzo 2005, dichiarò il "non luogo a procedere a carico di Inzerillo Vincenzo per non aver commesso il fatto”. A tal proposito il Tribunale sottolineava l’erronea indicazione contenuta nella nota del 21 marzo 1992, a firma del Maggiore Enrico Brugnoli, nella quale lo stesso veniva indicato quale deputato della Regione siciliana e Senatore D.C. uscente. Tali dati non risultavano corretti nel momento in cui lo stesso non aveva mai ricperto la carica di deputto regionale o nazionale e alla data del 21 marzo '92 non era ancor stato eletto Senatore della Repubblica.

Foto © ACFB

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