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falcone giovanni 610 c shobhaDepositate le motivazioni della sentenza del processo Capaci bis
di Aaron Pettinari
“Nel presente procedimento 'viene a formarsi un quadro, sia pure non ancora compiutamente delineato, che conferisce maggiore forza alla tesi secondo cui ambienti esterni a cosa nostra si possano essere trovati, in un determinato periodo storico, in una situazione di convergenza di interessi con l’organizzazione mafiosa, condividendone i progetti ed incoraggiandone le azioni'”. Riprendendo le parole presenti nella memoria dei pm, depositata il 25 luglio 2016, i giudici della corte d’assise di Caltanissetta (presidente Antonio Balsamo, a latere Graziella Luparello) affrontano il delicato tema dei “mandanti esterni” sulla strage che il 23 maggio 1992 uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Le motivazioni della sentenza che ha portato nel luglio 2016 alla condanna all'ergastolo per Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro e Giorgio Pizzo, e all'assoluzione “per non aver commesso il fatto” di Vittorio Tutino, sono state depositate nei giorni scorsi.
Sulle responsabilità di soggetti esterni si era a lungo dibattuto nel corso del processo e nelle stesse motivazioni vengono esposti gli approcci della difesa, “rivolto all'affermazione di una meta-mafia intra-statuale, allo scopo di escludere la responsabilità dei mandanti organici alla mafia nella sua forma associativa”, e quello dell'accusa con una prospettazione, durante la requisitoria “per lo più, negatoria” ritenendo che “l'invocazione di 'poteri occulti' sia stata strumentalmente diretta a distogliere l'attenzione dal vero primum movens della stagione stragista, da individuarsi nei livelli superiori, ma in ogni caso intranei, di Cosa Nostra (e in primis, nella “commissione” provinciale)”. I giudici dunque spiegano che “sul piano meramente logico, la ipotetica configurabilità di una ideazione, da parte di 'poteri occulti', della stagione stragista non si pone necessariamente come alternativa alla ideazione del medesimo piano in ambito mafioso”. Rispetto alla possibilità di una duplice regia sulla strage sostengono che “tale questione deve essere adeguatamente circoscritta, non potendosi riconoscere, rispetto ad essa, il crisma della definitività alla verifica processuale compiuta nell'odierno giudizio” anche perché “le esplorazioni istruttorie svolte su eventuali concorrenti esterni sono state incidentali e limitate ai punti di interferenza della questione rispetto ai capi di imputazione effettivamente contestati”.

Giuffré e la “tastata di polso”

Nelle 1581 pagine di motivazioni della sentenza ampio spazio viene dato alla testimonianza del collaboratore di giustizia Antonino Giuffré. Dichiarazioni che avallano l'idea che la strage di Capaci non sia stata un fatto di mafia “puro”. L'ex boss di Caccamo ha più volte evidenziato come la “campagna di delegittimazione di Giovanni Falcone, partita dentro 'Cosa Nostra', si sviluppò grazie al fattivo apporto di settori del mondo professionale, imprenditoriale, politico, e alcuni magistrati “complici”. Inoltre viene ricordato il riferimento alla “tastata di polso” di Cosa nostra verso l'esterno per “sondare” la reazione rispetto al proposito di eliminare Falcone; una attività ricognitiva che aveva riguardato non solo le posizioni di ambienti imprenditoriali operanti in settori allora controllati da "Cosa Nostra", ma anche una parte “occulta” e “deviata” del mondo massonico.
E il magistrato andava eliminato perché “andava a ledere quelli che erano i rapporti professionali, economici, questo intrigo tra la mafia e organi esterni”.

Perché Capaci?
Altro capitolo affrontato dai giudici è quello sui motivi che hanno portato Totò Riina a richiamare il commando inviato a Roma, dove Falcone poteva essere ucciso con un metodo più tradizionale, optando per quello più eclatante, sventrando un'intera autostrada. “Sembra difficile sostenere che il mutamento di programma rispondesse semplicemente a ragioni logistiche. Una simile ipotesi si pone in irrimediabile contrasto con la particolare complessità che contrassegnava l’organizzazione dell’attentato di Capaci. Appare, invece, molto più plausibile che la decisione di Salvatore Riina costituisse una coerente attuazione di quella finalità che Antonino Giuffré ha sintetizzato con la frase del capo di 'Cosa Nostra': 'Facciamo la guerra che poi viene la pace' (...) Una strategia, questa, che fallì per effetto della forte reazione dello Stato, ma che, con ogni probabilità, fu alla base della scelta di Salvatore Riina di procedere prima all’eliminazione dell’onorevole Lima e poi alla realizzazione di un attentato che costituiva un vero e proprio atto di guerra contro lo Stato, come la strage di Capaci”.

Mafia e servizi
Per quanto riguarda l'eventuale coinvolgimento dei Servizi segreti nelle fasi di esecuzione della strage i giudici smentiscono la tesi “orientata ad attribuire connotati diffusamente degenerativi ai servizi segreti in quanto tali, colti non già nelle singole individualità che per essi agiscono, ma nella loro integrità istituzionale” alla luce delle operazioni che videro la famiglia Ganci protagonista di appostamenti per individuare il momento del probabile arrivo di Giovanni Falcone a Palermo. “Una attiva partecipazione all'impresa criminosa da parte dei servizi segreti - scrivono in sentenza - non avrebbe necessitato di alcun contributo per il monitoraggio degli spostamenti della vittima”.

La manomissione dei supporti informatici
Tra i temi “suscettibili di ulteriori approfondimenti” viene indicato anche quello inerente i responsabili della manomissione dei supporti informatici di Falcone (un personal computer Olivetti che si trovava presso il suo ufficio del Ministero di Grazia e Giustizia e l'agenda elettronica Casio SF 9000). Di questo ha parlato in particolare il superconsulente informatico, Gioacchino Genchi.
I giudici sottolineano che “come spiegato dal teste Genchi, la sostituzione di file nel personal computer fu certamente successiva alla morte di Giovanni Falcone, della datazione della cancellazione dei dati presenti nell'agenda elettronica non vi è alcuna certezza scientifico-informatica; è però del tutto verosimile che anche essa sia stata compiuta dopo la strage di Capaci, essendo incomprensibili le ragioni per cui lo stesso Dott. Falcone avrebbe dovuto eliminare dalla sua agenda tutte le annotazioni ivi presenti, comprese quelle che si riferivano ad appuntamenti da lui presi per date posteriori al 23 maggio 1992”. Da tutti questi elementi dovrà proseguire il lavoro del pool della procura di Caltanissetta guidata da Amedeo Bertone. E come ha dichiarato il procuratori aggiunto Lia Sava durante la requisitoria le indagini sono tutt'altro che interrotte.

Foto originale © Shobha

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