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falcone giovanni c shobha 3di Miriam Cuccu
La sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta al processo "bis"

Il presidente della Corte d'Assise di Caltanissetta Antonio Balsamo ha pronunciato la condanna all'ergastolo per Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro e Giorgio Pizzo, imputati al processo Capaci bis. E' stato invece assolto Vittorio Tutino per non aver commesso il fatto.
Era il 23 maggio di due anni fa quando ebbe inizio il secondo processo sulla strage di Capaci, la bomba che fece saltare in aria l'autostrada all'altezza dello svincolo uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
A dare il via a un nuovo capitolo sull'“attentatuni” quegli otto arresti scattati l'anno precedente, nell'aprile 2013. Chiave di volta delle indagini le dichiarazioni del pentito di Brancaccio Gaspare Spatuzza, insieme a quelle di Fabio Tranchina, che hanno consentito di fare emergere il ruolo della famiglia mafiosa di Brancaccio nella preparazione ed esecuzione dell'attentato. È grazie ai due collaboratori che è stata ricostruita la fase di recupero e la lavorazione dell'esplosivo poi immesso nel cunicolo autostradale. Per questo sul banco degli imputati erano finiti Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello, tutti appartenenti al mandamento amministrato dal pugno di ferro dei due boss Graviano oggi al 41 bis, Giuseppe e Filippo. Unica presenza “esterna” al feudo di Brancaccio, quella del boss Salvino Madonia, imputato per aver preso parte alla riunione nella quale si decise di eliminare Falcone.
Spatuzza ha raccontato di aver recuperato l'esplosivo a Porticello grazie ad un'altra figura chiave, nonché ultima a collaborare con la giustizia: il pescatore Cosimo D'Amato, che al processo racconta di come fu istruito dallo zio, Pietro Lo Nigro, affinché quest'ultimo fosse informato dell'acquisto di “cassette di pesce”, la frase in codice per avvertire dell'esplosivo da recuperare.
Così è stato definitivamente accertato il ruolo di Brancaccio nell'eccidio del 23 maggio '92. “Abbiamo un diluvio di prove che ci portano a concludere che l’esplosivo usato per la strage di Capaci era nella totale disponibilità del mandamento di Brancaccio”, e che l’esplosivo “arrivava da residuati bellici inesplosi rimasti in fondo al mare, poi sconfezionati”, aveva dichiarato il pm Onelio Dodero durante la requisitoria. “E la scelta di collaborare con la giustizia di Cosimo D’Amato - aveva aggiunto - scrive la parola ‘fine’ essendo il principale riscontro al narrato di Spatuzza e alle intuizioni dei consulenti tecnici” dalle quali “restava da individuare chi avesse procurato gli ordigni”.capaci copyright shobha Insomma, sulla fase esecutiva sembra non esserci più dubbi. Eppure quanto alle “possibili cointeressenze di ambienti esterni a Cosa nostra, riferibili ai servizi segreti, alla massoneria o a forze politiche più o meno strutturate" ciò che viene restituito, aveva evidenziato il pm Luciani, è un quadro “né esaustivo, né sufficiente” sul contesto in cui maturò la decisione di far saltare in aria l'autostrada di Capaci. Davvero fu solo Cosa nostra a volere e a voler attuare l'eccidio contro il tanto odiato Giovanni Falcone? Secondo Lia Sava, procuratore di Caltanissetta facente funzioni, la ricerca della verità non può finire qui: “Gli spazi sulle cointeressenze di chi poteva avere interessi coincidenti con Cosa nostra possono ancora essere sviluppati” aveva detto al termine della requisitoria. Per questi aspetti ancora tutti da esaurire, aveva quindi annunciato, “potrebbe esserci un Capaci ter”. Precisando però che la pista ancora tutta da chiarire sui mandanti esterni “nulla toglie e nulla aggiunge a questo processo e alle posizioni degli odierni imputati”.

Foto © Shobha

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