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falcone c shobha 3di Miriam Cuccu
Già nell'89 c'era chi voleva neutralizzare politicamente il giudice Giovanni Falcone, anche all'interno degli ambienti di polizia. E' quanto ha riferito il pentito Francesco Di Carlo, ex boss di Altofonte e collaboratore dal '96, ieri all'udienza del processo "bis" sulla strage di Capaci: "All'inizio del 1989  - ha raccontato il teste - vennero da me in carcere, quando ero in Inghilterra a Full Sutton, a chiedere se potevo far avere un contatto per cercare di calmare la situazione di omicidi e attentati. Ma poi parlando" dissero nel corso di più di un incontro "che volevano stagionare Falcone, sradicare, toglierlo perché stava rovinando l'Italia, perché voleva costruire la Dia e la Procura nazionale antimafia". Al primo incontro era presente anche l'ex dirigente di Polizia Arnaldo La Barbera, insieme ad altre due persone, tra cui uno che rispondeva al nome di "Giovanni", appartenente ai servizi segreti. La Barbera, deceduto per una malattia incurabile, era già sospettato dalla Procura di Caltanissetta di essere al centro, con altri funzionari di polizia del gruppo investigativo Falcone-Borsellino, del colossale depistaggio orchestrato per ostacolare la ricerca della verità sulla strage di via d'Amelio. "I servizi volevano cercare di annientare Falcone - ha continuato Di Carlo - con calunnie o qualsiasi cosa, e sapevano che al tempo Cosa nostra controllava centimetro per centimetro". "Ho avuto piacere - ha continuato - di conoscere Falcone (in carcere, ndr) quando era venuto in Inghilterra, una persona umile e disponibile. Lo ricordo con simpatia, era entrato e mi aveva stretto la mano chiedendomi come stavo".
L'ex mafioso, condannato in Inghiterra a 25 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti, ha anche raccontato davanti alla Corte d'assise nissena che fin dagli inizi degli anni Novanta i servizi segreti arabi erano particolarmente interessati a quanto accadeva in Italia e in particolare in Sicilia. In particolare, nel ’91, durante un incontro, questi 007 “si misero a completa disposizione” per risolvere eventuali “questioni italiane”. Secondo Di Carlo avrebbero voluto dare il proprio contributo per “aggiustare la sentenza sul maxiprocesso. Dissero che avevano possibilità di arrivare ovunque tramite le ambasciate e salvaguardare i processi, c’era il maxiprocesso e altri in appello. Cosa nostra non era abituata a subire pesanti condanne. Sostenevano di conoscere bene il giudice Falcone e dicevano che faceva parte dei servizi segreti americani. Li misi quindi in contatto con mio cugino Antonino Gioè” che dopo il loro incontro a Roma "mi disse 'sono persone importanti, hanno le mani in pasta ovunque' e io gli risposi 'stai attento che ti possono usare e poi ti abbandonano'".

Il pentito ha poi raccontato di una riunione della P2 alla quale ha preso parte: "Era il 1980, avevo accompagnato Nino Salvo, ci vedevamo sempre a Roma, ma conoscevo tante persone compreso l'avvocato Guarrasi, conosciutissimo in Sicilia e a Roma, uno dei capi della massoneria in base a quello che mi ha detto Nino Salvo, dove arrivava lui si aprivano le porte. Io non facevo parte di logge perché ero già in Cosa nostra e in questi casi, soprattutto nella provincia di Palermo, non si poteva fare parte della massoneria. Avevano in mente di capovolgere la situazione italiana, un seguito del '69-'70 quando volevano fare un colpo di Stato con il principe Borghese. Dopo pochi mesi è stato scoperto l'elenco della P2 contenente i nomi di generali, questori, prefetti e politici".
La vicenda della strage di Capaci, come molti altri episodi oscuri della storia italiana, è entrata a far parte del libro "Doppio livello" di Stefania Limiti, giornalista sentita ieri in qualità di teste indagata in procedimento connesso (per il reato di falsa informazione al pubblico ministero, nonostante la teste non avesse mai ricevuto alcun avviso di garanzia) in quanto la Limiti si è avvalsa del segreto professionale non rivelando al pm la fonte di cui si è servita. "Ho ripreso il lavoro fatto dal pm Luca Tescaroli - ha spiegato la Limiti - mi è stato di grande aiuto nel ricostruire la vicenda come la propongo del 'doppio livello' di Capaci. In sede giornalistica e non solo autorevoli personaggi hanno fatto spesso cenno a presenze esterne a Cosa nostra all'interno della vicenda di Capaci e non solo. Da lì ho descritto quella che potrebbe essere la realizzazione della strage partendo dall'analisi proposta da Tescaroli, usando i suoi documenti processuali". "Ho ascoltato questa persona - ha aggiunto la teste, facendo riferimento alla fonte - che mi disse di aver fatto parte della Gladio siciliana e mi chiese di mantenere l'anonimato. Questo è l'unico strumento che ho come giornalista".
Oltre all'esame di Fernando Termentini, consulente tecnico della difesa in merito alle dinamiche dell'esplosione della bomba di Capaci, la Corte di Caltanissetta ha sentito ieri Corrado Carnevale, ex presidente della prima sezione penale della Cassazione soprannominato "ammazzasentenze". "Non ho mai mantenuto un particolare atteggiamento per i processi di mafia. Per me erano come tutti gli altri", ha affermato. Carnevale ha negato di aver mai detto che Falcone era un cretino dicendo che "non ho mai parlato di Falcone, non avevo motivo per farlo", spiegando poi che di Falcone trovò "solo una lettera dell'aprile del 1991 con la quale chiedeva di predisporre il trasferimento degli atti relativi al maxiprocesso da Palermo a Roma, cosa che non era possibile perché dovevano rimanere a Palermo a disposizione del relatore. Lettera che non ebbe nessun seguito. Nel dispositivo - ha aggiunto Carnevale - furono commessi molti errori materiali". Carnevale è stato più volte invitato dal presidente della Corte d'Assise, Antonio Balsamo, a non esprimere giudizi sul giudice Giovanni Falcone, del quale lo Stato italiano ha ampiamente riconosciuto le doti umane e professionali.

Foto © Shobha

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