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falcone c shobha 4Le deposizioni dei pentiti Anzelmo e Galliano
di Miriam Cuccu
Già dalla metà degli anni '80 si parlava di uccidere Giovanni Falcone. Ne è sicuro il pentito Francesco Paolo Anzelmo, ex sottocapo del mandamento palermitano della Noce, teste al processo bis per la strage di Capaci del 23 maggio '92: "Bisognava trovare il modo: si parlava di farlo con un bazooka - racconta il collaboratore di giustizia - poi con un fucile di precisione. Ma Falcone cercava sempre di cautelarsi e imparava dagli altri omicidi. Vedendo come avevamo ucciso Cassarà non scendeva più dalla macchina in via Notarbartolo (dove il giudice abitava, ndr) ma la vettura saliva sul marciapiede e si fermava davanti all'androne, così non era scoperto. 'Si guardava', mentre il dottor Borsellino no". "Non ricordo di aver partecipato a progetti veri e propri - aggiunge Anzelmo - non sono mai stato operativo per uccidere Falcone, per Borsellino invece sì. Sia Falcone che Borsellino erano nel mirino di Cosa nostra da tanto". Anzelmo non ricorda se la deliberazione della morte di Falcone venne fatta nell'ambito di una commissione regionale: "In seguito si fecero delle commissioni non plenarie, non allargate - spiega - si cercava di fare tre o quattro incontri con diversi capimandamenti per concludere tutto il giro, per motivi di sicurezza, per evitare un grande assemblamento di persone".

"Già prima che iniziassi a pedinarne la macchina Domenico Ganci mi diceva che c'era il progetto di uccidere Falcone" racconta poi il pentito Antonino Galliano, in passato "uomo d'onore riservato" della famiglia della Noce, in strettissimi rapporti con Raffaele Ganci, capo del mandamento, e con Domenico Ganci, il figlio, che subentrò a Raffaele quando quest'ultimo venne arrestato. "Del fallito attentato all'Addaura non ne ho mai sentito parlare - dice poi Galliano - ma fra uomini d'onore non si parlava mai di fatti avvenuti o che dovevano avvenire, a meno che non si ricopriva un incarico. Del pedinamento di Falcone lo sapevamo solo io, Mimmo e Raffaele Ganci, non potevo parlarne nemmeno con i miei cugini, i fratelli di Domenico".

Foto © Shobha

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