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capaci web5di Miriam Cuccu
L’esame del pescatore di Porticello: così recuperammo il tritolo

Cosimo D’Amato sapeva che “l’uomo del mattino”, il Gaspare presentatogli dal cugino Cosimo Lo Nigro, era Gaspare Spatuzza, pentito ed ex mafioso di Brancaccio che nel descrivere la fase di recupero del tritolo per l’attentato a Falcone indicò D’Amato come il pescatore che glielo fornì. A dichiararlo è stato lo stesso D’Amato (oggi collaboratore ma al tempo pescatore di Porticello) interrogato al processo Capaci bis dal pubblico ministero Onelio Dodero.
Che si trattasse di Spatuzza, D’Amato sostiene di averlo appreso direttamente dal cugino, quando venne a prelevare degli ordigni esplosivi che, secondo l’accusa, sarebbero stati utilizzati per imbottire di tritolo l’autostrada in prossimità dello svincolo di Capaci. In occasione del primo incontro, racconta il pentito, Lo Nigro presentò a D’Amato il suo accompagnatore solo come “Gaspare”. “Quando la seconda volta vidi che non c’era lo dissi a mio cugino e lui rispose ‘chi, Spatuzza?’”. A questo punto Lo Nigro, che segue l’udienza in videoconferenza, cerca di intervenire prima della conclusione dell’esame, chiedendo di poter interagire con D’Amato. “Non vogliamo intimidazioni” protesta invece Dodero.
“L’uomo del mattino è Gaspare Spatuzza” ribadisce nuovamente D’Amato. Né durante gli interrogatori, quando ebbe modo di visionare gli album fotografici, né al confronto faccia a faccia con lo stesso Spatuzza, il neo collaboratore di giustizia aveva collegato in maniera così certa l’uomo che accompagnava il cugino a Porticello per caricare l’esplosivo con l’ex mafioso di Brancaccio. “Era un po’ più magro e più basso di me – dichiara in aula davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta – capelli solo ai lati, più giovane di me… in tutto l’ho visto tre o quattro volte… veniva con mio cugino e per questo lo vedevo, per il fatto delle bombe” collocando gli incontri nel periodo “tra gli inizi di aprile ‘92 e maggio-giugno ‘94”. “Non mi ricordavo tanto bene” aggiunge, spiegando perché non avesse riconosciuto prima Spatuzza. Una frase che ripeterà più volte in corso d’udienza, dando numerose versioni, più volte contestate, degli stessi episodi.

Primo prelievo a Porticello
“Se pescano qualche cosa me lo fai sapere” così Pietro Lo Nigro, zio di Cosimo D’Amato e anche lui pescatore, tra l’86 e l’87 aveva istruito il nipote affinchè rintracciasse lui o il cugino in caso di ritrovamento di ordigni esplosivi, usati da alcuni pescatori per la pesca di frodo. Solo nel ’92, però, D’Amato diventa tramite effettivo per la fornitura di tritolo, dopo aver ricevuto indicazioni anche dal cugino Cosimo. Dopo una ventina di giorni, racconta D’Amato, “mi chiama un pescatore, tra fine marzo e i primi di aprile ‘92. Ho rintracciato mio cugino e gli dico ‘puoi venire a Porticello che ho comprato una cassetta di pesce?’ (ripetendo l’espressione precedentemente indicatagli dallo zio, ndr). Dopo un’ora o mezz’ora – prosegue – mi ha raggiunto al bar di fronte al mercato del pesce, dove io lo aspettavo”. Quella mattina Lo Nigro arrivò “a bordo di una moto, una Transalp” accompagnato da un altro uomo. “Dopo avergli indicato la barca – continua – mio cugino si mette a parlare con il pescatore, mentre l’altro aspetta vicino alla strada con la moto. Dopo circa mezz’ora torna con quest’altra persona che mi ha presentato come ‘Gaspare’ e mi dice ‘stasera le vengo a prendere, mi dai una mano a caricarle?’. Mi dice anche ‘quando ci vediamo di nuovo ti bagno le mani’ (ti pago, ndr) ma io soldi non ne ho visti mai”.
La sera stessa racconta D’Amato di aver aiutato il cugino nel recupero degli ordigni (mentre al primo interrogatorio aveva sostenuto di non essere presente): “Vedo arrivare tre macchine – ricorda, entrando più volte in contraddizione sul numero di persone presenti e sui modelli delle autovetture – Erano in quattro. Tra questi c’era anche Gaspare. Mio cugino va a parlare col pescatore, gli altri si mantengono a distanza. Saliamo sulla barca in tre, io mio cugino e un altro che non ricordo, poi lui (Lo Nigro, ndr) è andato dentro la cabina a parlare”. Le bombe, prosegue, “erano mezzo metro sott’acqua, legate con delle funi al fianco della barca, non ricordo se tutte e due dalla stessa parte”. Tirando le funi (gli altri due erano rimasti sulla banchina, ndr) gli ordigni vennero “messi in barca, e poi dalla barca alla macchina, una Renault station wagon” dove “abbiamo ribaltato i sedili posteriori”. Le bombe “erano rotonde senza appigli – descrive D’Amato – come i fusti dell’olio, in lamiera tutta arrugginita senza sigle nè scritte. Un ordigno era più a punta dell’altro, tipo un imbuto, entrambi di circa un metro di altezza e 50 centimetri di larghezza, pesavano 40-50 chili”.

La spiaggia di Sant’Elia
Il secondo episodio in cui D’Amato racconta di aver preso parte al recupero di esplosivo risale al ’93. L’ordigno, spiega il pentito, era stato nascosto sul fondale da un pescatore presso la spiaggia di Sant’Elia, tra gli scogli, non lontano dall’Hotel Cafara, contrassegnato da una bottiglia di candeggina galleggiante. La sera stessa, dopo aver indicato a Lo Nigro il luogo, D’Amato accompagnò il cugino per il recupero dell’esplosivo. “Siamo andati assieme io, lui e altre tre persone – spiega – c’erano Gaspare e altri due. Uno aveva i capelli lunghi all’indietro, più alto di me, sui 25-26 anni, più giovane di Gaspare” identificandolo con colui che guidava la Renault a Porticello. “L’altro – prosegue – era magro, altezza e corporatura normale. Quei tre li ho visti a Porticello, l’altro solo al Cafara” dice, riferendosi all’ultimo uomo descritto.
Dopo aver parcheggiato, continua “andiamo a piedi sulla scaletta” per dirigersi verso la spiaggia, mentre “uno (che poi indicherà essere Gaspare, ndr) rimane sopra dove c’erano le macchine”. L’ordigno, dopo essere stato trascinato con una barca, “viene aperto con martello e scalpello e messo dentro sei o sette sacchi di iuta e poi di plastica, quelli neri per la spazzatura. Ci hanno messo dalle tre alle quattro ore”. L’esplosivo, aggiunge, “era giallastro, dentro c’era anche ruggine”. “Dopo un paio di mesi mi ha chiamato un altro pescatore – ricorda D’Amato, collocando l’episodio nell’aprile ‘94 – dicendo di avere una cosa che interessava a mio cugino. Lui poi è venuto a Porticello con Gaspare, ho indicato la barca che ce l’aveva, si sono messi d’accordo, gliel’ha pagato 500 mila lire. Poi è venuto a prenderla (la bomba, ndr) la sera, l’avevano sulla barca, ma io non c’ero”.

Capo Zafferano
Un altro episodio, che il pentito ricorda essere avvenuto dopo aprile ’94, riguarda un ordigno posto a mezzo miglio da Capo Zafferano: “Venne un sub a dirmi di rintracciare mio cugino, gliel’aveva detto un pescatore. Quella mattina mio cugino venne con Spatuzza – continua D’Amato, descrivendo le circostanze in maniera confusionaria – mio cugino e il subacqueo sono usciti con una barca presa in prestito” mentre Spatuzza “rimase vicino al mercato”. L’indomani il pentito ricorda di essersi incontrato con il subacqueo, il quale gli raccontò di essere andato con Lo Nigro per indicargli il luogo in cui si trovava la bomba, collegata da una fune a una bottiglia di plastica galleggiante che faceva da segnale, “poi mio cugino è andato con la barca da Palermo e se l’è andata a prendere”. D’Amato però afferma di non aver visto ritornare sulla barca Lo Nigro insieme al sub, né di sapere se quest’ultimo avesse effettivamente partecipato al recupero dell’ordigno (in precedenza ha sostenuto che le persone fossero quattro, sempre a quanto riferitogli dal subacqueo).
Successivamente, racconta ancora D’Amato, venne ricontattato dal sub intorno al giugno ’94, affinchè contattasse Lo Nigro per un carico di tritolo presso alla spiaggia di Sant’Elia. L’esplosivo era diviso in due sacchi, ricorda il pentito, “era vicino alle barchette nella spiaggia e coperto con un telo cerato”. Anche in quell’occasione, aggiunge, era presente Spatuzza: “Li abbiamo portati su (i sacchi, ndr) salendo la scaletta fino in cima, dove abitava il subacqueo”. A un certo punto, però, questi rapporti si interrompono: “Avevo chiesto a mio cugino dei soldi – spiega D’Amato – mi ha detto che non ne aveva, allora gli ho risposto di non cercarmi più”. “Io sapevo che (l’esplosivo, ndr) era per la pesca di frodo, pesavo servisse a mio zio” chiarisce il neo pentito, dicendo di non sapere in alcun modo dell’appartenenza del cugino a Cosa nostra e dell’effettivo utilizzo del tritolo. “Si tratta di fatti gravissimi – replica il pm – è sicuro che le persone che ha accusato siano veramente i responsabili?” “Sì – risponde D’Amato – su questo non mi sbaglio”.